Made in Italy

Fusioni, poli e pharma valley: così si evolve il farmaceutico in Italia

Con la fusione tra Alfa Wassermann e Sigma-Tau nascerà una società capace di fatturare un miliardo di euro e di quotarsi in Borsa. È l’ultimo segnale di alcune tendenze in atto nella farmaceutica: aggregazioni, concentrazioni e investimenti dall’estero

Pubblicato il 20 Feb 2015

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Sarà ufficiale entro la fine di febbraio l’accordo che prevede la fusione tra l’Alfa Wassermann di Bologna e le attività di Sigma-Tau nell’industria farmaceutica tradizionale. Un’operazione che dovrebbe portare alla creazione di un polo i cui obiettivi sono ambiziosi: puntare a raggiungere ricavi per un miliardo di euro e quotare il titolo in Borsa. Nel nuovo polo poi entrerebbe come socio anche Intesa Sanpaolo, che al momento risulta azionista di Sigma-Tau con una partecipazione del 5%.

A guardare le ultime evoluzioni del settore farmaceutico in Italia ci si accorge di come le fusioni tra le aziende siano diventate quasi una costante del settore, spesso accompagnate anche dalla creazione di poli specializzati. Oltre all’affare Alfa Wasserman Sigma-Tau è di qualche settimana fa la notizia della acquisizione dell’azienda milanese Ph&T da parte della statunitense Wise. Con un investimento iniziale di 15 milioni di euro Wise punta oltretutto alla creazione di un polo farmaceutico italiano che abbia come marchio fabbrica sia l’esportazione dei prodotti, sia la capacità di integrare aziende di piccole e medie dimensioni.

Nel polo di Latina ha deciso invece di orientare i propri investimenti la Jansenn, che produrrà in questo stabilimento un nuovo farmaco per l’epatite C, il piano di sviluppo industriale prevede investimenti per 80 milioni nei cinque anni che vanno dal 2016 al 2021. I numeri d’altra parte sono tutti a favore del polo italiano che negli ultimi 5 anni ha ottenuto investimenti pari a cento milioni, utili ad ampliare la struttura di oltre tre mila metri quadrati, ad innalzare l’occupazione con 300 inserimenti nel personale, e a un sostanziale aumento della produzione di compresse — così come si legge su Corriere.it — che ha raggiunto il tetto dei 4 miliardi nel 2015.

E anche Novartis, colosso svizzero della farmaceutica, a dispetto del recente trasferimento dei centri di ricerca e produzione di vaccini di Siena e Rosia alla GlaxoSmithKline, ha dichiarato l’intenzione di investire in Italia se sarà presente anche un piano meticoloso del governo. 221 milioni di investimenti in ricerca, 26 dipendenti in più, +5% di ricavi sono solo alcuni dei numeri con cui il colosso svizzero ha chiuso il 2014 in Italia.

Detto ciò sembra che, nonostante la crisi imperi da anni nel nostro Paese, il made in Italy del farmaco abbia saputo tenere botta e anzi rappresenti l’unico settore in cui le multinazionali hanno deciso di investire. Una situazione vera a tal punto da paragonare l’espansione farmaceutica italiana a quella high-tech statunitense, con l’intenzione di creare una “Pharma Valley” alla stregua di quella “Silicon Valley” molto più famosa che ha invaso la baia di San Francisco.

Il progetto è già pianificato e la Toscana dovrebbe essere la regione, scelta dalle istituzioni, adatta a ospitare un centro d’eccellenza farmaceutico. Lo scorso settembre, in un workshop tenutosi a Firenze a cui hanno preso parte Farmindustria, Regione Toscana e molte aziende disposte a investire in questo campo, si sono gettate le basi per un progetto che produrrebbe numeri importanti.

Ai sei miliardi di fatturato col 63% di export verso l’Ue, si aggiungerebbero 12 mila posti di lavoro (di cui ben duemila nel settore ricerca e sviluppo), la presenza di istituti di alta specializzazione, di start up e incubatori di impresa.

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