“L’Italia è un Paese che sta crescendo e ha buone prospettive per il futuro. Ha un’ottima tradizione ingegneristica, imprenditorialità, innovazione, creatività e un forte expertise nel life-science, ma le imprese tecnologiche hanno bisogno di poter accedere al mercato finanziario. Per questo Euronext ha deciso di investire in Italia”. Così Stéphane Boujnah, president del Managing Board e CEO di Euronext, il più grande mercato finanziario paneuropeo, annuncia a EconomyUp l’apertura di un nuovo ufficio a Milano per “aiutare le imprese tecnologiche a sviluppare il loro business su più larga scala attraverso i mercati finanziari”. Una sorta di nuova Borsa pensata per le piccole e medie imprese (pmi) italiane dell’hi-tech, e in particolare per quelle del Life Science, in un contesto totalmente europeo. L’Italia non è sola in questa avventura. Euronext, che è già presente in Portogallo, Francia, Belgio, Olanda e ha una divisione operativa in UK, aprirà altri uffici in Spagna, Germania e Svizzera. Tutte nazioni scelte per le opportunità di crescita nel settore tecnologico. Perché Euronext ha deciso da tempo, e ha annunciato a luglio scorso, una nuova strategia.
Euronext nella sua forma attuale è nata nel 2014 e da allora abbiamo vissuto tre fasi della nostra crescita: siamo diventati indipendenti attraverso una IPO (Initial Public Offering, il collocamento in Borsa, ndr), poi dall’indipendenza ci siamo concentrati sulla performance, quindi siamo passati a una fase di performance accompagnata dalla crescita vera e propria. Il nostro obiettivo era crescere in modo significativo. Euronext in questo momento non ha debiti, perciò è in grado di combinare l’ottima situazione finanziaria con la capacità di generare un forte flusso di cassa allo scopo di realizzare acquisizioni importanti, le quali a loro volta potrebbero generare un ulteriore flusso di cassa. Combinando la cassa disponibile, i flussi generati e la capacità di leva Euronext potrebbe avere circa 1,5 miliardi di euro disponibili per crescere. È chiaro che, con questo cash flow, la priorità è diversificare gli investimenti su asset differenti tra loro per classe e tipologia di business. Euronext non è mai stata così profittevole ma nemmeno così piccola, quindi ha deciso di crescere per linee interne ed effettuando acquisizioni con l’obiettivo di raddoppiare le dimensioni e diversificare i ricavi.
Quanto ha pesato la Brexit sul nuovo corso di Euronext?
In Europa sta avvenendo una crescita post Brexit, mentre molti a Londra stanno pianificando il ricollocamento di attività imprenditoriali e finanziarie. Euronext è il mercato europeo finanziario più grande, perché comprende Portogallo, Spagna, Francia, Belgio, Olanda e una divisione operativa in UK, dunque è il recettore naturale di questo rinnovato interesse per l’Eurozona. Eurozona che, in questo momento, è un’area di crescita e stabilità, mentre altri Paesi alla periferia dell’Eurozona appaiono meno stabili e più fragili.
L’UE ha 27 Stati, 19 dei quali hanno la stessa moneta. Quale città europea è destinata a diventare la capitale finanziaria dell’Europa post Brexit?
Negli ultimi 30 anni ha funzionato un sistema in base al quale la maggior parte delle grandi industrie internazionali si trovava nel continente, la maggior parte delle banche e dei banchieri a Londra. La valuta dell’Europa è l’euro, eppure finora il tra il 40% e il 60% degli scambi finanziari denominati in euro si svolgeva a Londra. Dal 75% all’80% dei risparmi europei arrivano dal continente, ma la maggior parte degli asset manager sono basati a Londra. Tutto questo è andato bene finché c’era in comune la volontà di credere, quantomeno implicitamente, nel federalismo europeo e la condivisione di una cornice regolatoria comune. Nel momento in cui il Regno Unito ha deciso di abbandonare l’idea implicita del federalismo e di regolamenti comuni, è normale che si sia sviluppato un nuovo trend per 450 milioni di europei. È certo che una parte significativa delle operazioni finanziarie che si svolgevano in Gran Bretagna saranno riallocate nel continente e nella Repubblica di Irlanda. Dove ancora non si sa, così come non è dato sapere quale spessore, obiettivi e visione avranno le attività che lasceranno Londra per altri lidi. Io credo che saranno riattivati diversi centri finanziari distribuiti in territorio europeo. Non ci sarà più una sola Londra che domina sugli altri, ma emergeranno vari poli a Francoforte, Parigi, Amsterdam, Dublino, Milano, Madrid ecc. ecc.
Aprirete altri uffici in alcune città. È il momento giusto?
Tutte le nazioni europee hanno sperimentato un intenso sviluppo dei progetti hi-tech negli ultimi anni. Questo è potuto avvenire grazie a una sorta di cocktail in cui si sono combinate le nuove generazioni di imprenditori, il tessuto imprenditoriale e il panorama di piccole aziende, il miglioramento nella connettività delle nuove società, la ricerca e l’università. A tutto questo vanno aggiunti il denaro proveniente da venture capital, business angels, ma anche dai governi. Tuttavia le società hi-tech in Europa hanno 2 problemi: un funding gap, ovvero il problema di reperire fondi in ripetuti round di finanziamento; e un liquidity gap, perché è necessario garantire a ogni investitore la possibilità di uscire e valorizzare il proprio investimento. Il solo modo di soddisfare le necessità finanziarie delle società tecnologiche è creare un mercato finanziario europeo dedicato all’hi-tech. Euronext è diventato il principale mercato europeo nel settore tecnologico ed è stato scelto da circa 330 società hi-tech quotate e un pool di oltre 700 investitori internazionali attivi nel segmento. Vogliamo offrire questa opportunità anche ad altre aziende europee, al di là dei mercati “core” storici, ecco perché apriamo nuovi uffici.
Ha parlato di Milano. Ci spiega i dettagli del progetto?
Abbiamo appena aperto un ufficio in centro a Milano dedicato un segmento del nostro business, quello delle imprese tecnologiche. È gestito da Giovanni Vecchio, un professionista che viene dal mondo IPO e venture capital, conosce i principali player italiani ed è parte di un team centrale a Parigi. Sappiamo che le imprese tecnologiche in Italia risiedono principalmente a Milano, Torino, nel Veneto, Emilia Romagna e a Roma, ma non solo: l’imprenditorialità in Italia è diffusa in ogni angolo dal nord al sud. Vogliamo assicurarci che ogni area sia coperta. Il team sta già cominciando a lavorare sul territorio. Ci sono stati alcuni incontri, io stesso mi sono recato a Milano a luglio. Stiamo facendo progressi.
Perché proprio l’Italia?
L’Italia è storicamente un paese caratterizzato da un’ottima tradizione ingegneristica, imprenditorialità, innovazione, creatività e un forte expertise nel settore life-science , ma le imprese tecnologiche necessitano dell’accesso al mercato finanziario. Investiamo nell’Italia perché è un Paese che sta crescendo e crediamo che le crescita aumenterà in futuro. Negli ultimi cinque anni l’Italia ha realizzato riforme significative, il settore finanziario ha cominciato a consolidarsi, ha natura competitiva e desiderio di internazionalizzazione.
In generale è un Paese dove si può fare – bene – impresa? In quali settori?
Ha molti imprenditori di talento, istituzioni accademiche di grande qualità, istituzioni scientifiche, una forte tradizione dell’ingegneria tecnologica: non dobbiamo dimenticare che nel XX secolo in Italia sono state realizzate numerose invenzioni tecnologiche di particolare complessità. È un Paese dove l’industria della finanza è stata in grado di svilupparsi e di effettuare significativi investimenti seed. In particolare il settore delle biotecnologie è molto forte, ed è anche il settore in cui è forte Euronext. Noi siamo il primo mercato finanzario europeo per imprese del bio-tech e secondi nel mondo.
Finora le piccole e medie imprese italiane non sono sembrate troppo interessate ai mercati finanziari. Come pensate di convincerle?
Nei Paesi dove il mercato dei capitali non è abbastanza “profondo”, le società tecnologiche preferiscono vendersi, giovanissime, a una multinazionale o proseguire con successivi round di private equity. Quello che noi offriamo è una situazione nella quale possono coltivare le proprie ambizioni, crescere e raccogliere denaro, con trasparenza sui costi. Devono farlo presto, e cogliere l’opportunità, resa più semplice dal mercato borsistico, di diventare essi stessi ‘consolidatori’ attraverso la loro azienda, invece di lasciarsi acquisire da altri. Inoltre ci occupiamo di tutto il lavoro di preparazione per la quotazione. Riteniamo che decidere di quotarsi sia un processo molto lungo e sfidante, perciò restiamo costantemente al fianco delle imprese prima, durante e dopo questo percorso.