“Il posto fisso non esiste più”. Le parole di Matteo Renzi dal palco della Leopolda hanno contribuito a rendere incandescente un clima già infuocato dai numeri drammatici sulla disoccupazione e dalle polemiche su Jobs Act e articolo 18. Ma mentre lo scontro tra governo e sindacati raggiunge i suoi livelli più elevati dal giorno in cui l’ex sindaco di Firenze ha messo piede a Palazzo Chigi, c’è una parte del mondo produttivo che prova a fare qualcosa di concreto per creare più occupazione.
Un’iniziativa che si muove in questa direzione è YTalent, un progetto di ManpowerGroup che dà a 50 giovani diplomati e laureati la possibilità di seguire un percorso di formazione e lavoro per rafforzare le soft skill, ovvero le competenze relazionali, linguistiche e caratteriali, e mettere alla prova le proprie attitudini professionali. La prima tappa è stata una due giorni di formazione gratuita, il 23 e 24 ottobre, per permettere ai ragazzi di farsi conoscere da alcune aziende partner (tra cui Sky, Adler, Dana e Rossopomodoro) in vista di un tirocinio o di un lavoro.
Secondo Stefano Scabbio, presidente e amministratore delegato di ManpowerGroup Italia, iniziative come queste rientrano nello stesso concetto di mobilità invocato dal presidente del Consiglio con la sua affermazione. E la fine del posto fisso, come spiega a EconomyUp, non equivale alla precarietà ma è un fatto che contribuisce a rendere più fluido il mercato del lavoro.
Presidente Scabbio, “il posto fisso non esiste più”. Fino a che punto Renzi ha ragione?
Fatta da Renzi, questa affermazione assume un significato molto più forte. Non significa che non ci saranno più contratti a tempo indeterminato, ma che la mobilità nell’ambito del lavoro è cresciuta molto negli ultimi anni. I talenti si muovono e le aziende vanno continuamente in cerca di persone talentuose. Non possiamo immaginare di avere un posto fisso per tutta la vita. Dobbiamo pensare a una carriera con numerose opportunità, fatta mediamente di cinque-sette esperienze lavorative diverse, al di là della tipologia contrattuale. L’enfasi del premier quindi è sul non rimanere fermi alle ideologie, come nel caso dell’articolo 18. Difendiamo certamente i diritti e i doveri di ogni lavoratore ma facciamo anche in modo che il Paese sia nelle condizioni di attrarre nuovi talenti e di creare innovazione.
A proposito di innovazione, il Jobs Act è una buona ricetta per innovare il mercato del lavoro in Italia?
Le sfide che si propone il Jobs Act sono condivisibili: semplificare la normativa, passare da politiche passive per il lavoro a politiche attive, migliorare i servizi al lavoro. Quest’ultima “gamba” della riforma mi sembra la più importante. Bisogna introdurre un’articolazione maggiore e più efficace tra pubblico e privato, sfruttando meglio i centri per l’impiego, magari facendo in modo che si concentrino sulle questioni burocratiche-amministrative, e lasciando il resto dei servizi ai privati, che possono vantare rapporti più stretti con le aziende e con il territorio.
Basta il Jobs Act per rendere più fluido e dinamico il mercato del lavoro in Italia?
Certo che no. Bisogna fare molto di più. Occorre prima di tutto puntare sull’education e sulla didattica. Preparare i talenti in modo diverso con
attenzione non solo sulle competenze chiave ma anche sulle cosiddette soft skill. Poi, serve una politica industriale finalizzata a far emergere le competenze distintive di questo Paese. Si deve scommettere su quei settori industriali in cui siamo già forti e rafforzarli ancora di più: meccanica di precisione, abbigliamento, agroalimentare. Il made in Italy, insomma, gestito da talenti forgiati da percorsi di studi a vocazione internazionale e basati sul merito.
Nascono sempre più startup innovative: quanto può essere benefico l’impatto di questo “movimento”, pur limitato nei numeri, nella creazione di nuova ricchezza e di nuovi posti di lavoro?
Le startup, portando logiche nuove, costituiscono la maggiore opportunità di creare nuova occupazione e innovazione. Ce ne sono alcune veramente interessanti. Pensate alle ragazze siciliane che hanno creato un filato dagli scarti delle arance (Orange Fiber, ndr). O a Yoox, che è già una realtà affermata e che ha generato molte nuove opportunità di lavoro. Anche in questo campo, però, bisognerebbe disegnare una legislazione ancora più favorevole al venture capital: è necessario rendere favorevole gli investimenti in queste realtà, defiscalizzando ulteriormente.
Lei ha parlato di soft skill. Una delle iniziative lanciate da Manpower per individuare talenti e competenze di cui le aziende hanno bisogno è YTalent. A che punto è il progetto e cosa è emerso dall’evento di formazione del 23-24 ottobre?
Abbiamo fatto una selezione su 5.000 giovani diplomati e laureati individuando 50 talenti. A loro abbiamo offerto questa due giorni di formazione gratuita, tutta in inglese, mirata a far emergere le soft skill più importanti e a verificare le abilità professionali di questi ragazzi. A osservare c’erano diverse aziende partner, che proprio in questi giorni stanno facendo colloqui con questi ragazzi per coinvolgerli con esperienze di stage/tirocinio o con altre forme di inserimento nel mondo del lavoro. I ragazzi che hanno partecipato erano molto motivati, preparati e con una cultura digitale molto sviluppata. Ce n’erano da tutta Italia, sia donne che uomini, e con vari percorsi formativi, dall’ingegnere al diplomato all’istituto tecnico. Ora monitoreremo con attenzione lo sviluppo di YTalent. Entro tre-quattro settimane saremo in grado di far sapere quanti di questi ragazzi hanno trovato un’opportunità presso le aziende che partecipano all’iniziativa. In più, abbiamo inserito i giovani nei nostri database, assegnando ai loro profili un carattere di priorità perché hanno già passato una selezione impegnativa e hanno già dimostrato di possedere skill e soft skill importanti.