Si parla tanto di work for equity come di uno strumento innovativo per le imprese. E’ davvero così?
Il concetto di work for equity è solitamente utilizzato per indicare quelle situazioni in cui il lavoro che è stato o sarà prestato a favore di una società è remunerato mediante l’assegnazione di quote, azioni, strumenti finanziari partecipativi o diritti aventi ad oggetto l’acquisizione degli stessi. Tale concetto era già noto nel nostro ordinamento prima ancora che entrassero in vigore le norme sulle startup innovative.
Il legislatore aveva già previsto la possibilità per le società per azioni (“SPA”) di emettere azioni e strumenti finanziari a favore di prestatori di lavoro dipendenti, di soci o terzi anche a seguito dell’apporto di opera o servizi, nonché di compensare gli amministratori con partecipazioni agli utili o con l’attribuzione di diritti di opzione su azioni di futura emissione.
Per le società a responsabilità limitata (“SRL”) mancavano delle norme ad hoc come per le SPA, ma era ed è possibile, previa disposizione statutaria, offrire, in sede di aumento del capitale, quote di nuova emissione a terzi, intendendo per terzi sia soci, che dipendenti che terzi prestatori d’opera e servizi. Inoltre, è sempre stato possibile per i sottoscrittori di quote di nuova emissione conferire opere o servizi, purché fossero prestate specifiche garanzie.
Ciò detto, quali sarebbero le novità in tema di work for equity? Le novità riguardano le società qualificabili come startup innovative a favore delle quali sono state previste alcune deroghe alla disciplina ordinaria delle SRL, nonché taluni benefici fiscali e contributivi.
Più precisamente, le SRL che sono qualificate come startup innovative possono, in deroga alla normativa vigente, emettere strumenti finanziari partecipativi a favore di soci o terzi e possono acquistare quote proprie da assegnare a dipendenti, collaboratori, amministratori o prestatori di opera e servizi purché in attuazione di piani di incentivazione. Entrambe tali attività sono precluse alle SRL che non sono startup innovative.
Il reddito di lavoro derivante dall’assegnazione di diritti d’opzione o strumenti finanziari o ogni altro diritto, che preveda l’attribuzione di strumenti finanziari o diritti similari, ad amministratori, dipendenti o collaboratori continuativi di startup innovative non è soggetto ad alcuna imposizione fiscale o contributiva, purché siano rispettate talune condizioni. Infine, le azioni, quote o gli strumenti finanziari partecipativi assegnati a terzi per le opere o servizi da questi eseguiti a favore di una startup innovativa non concorrono alla formazione del reddito complessivo del soggetto assegnatario.
La logica di tali misure è quella di incentivare e fidelizzare i lavoratori dipendenti, i collaboratori, nonché gli amministratori delle startup innovative stabilendo l’irrilevanza fiscale e contributiva degli strumenti finanziari ad essi assegnati, ovvero dell’esercizio dei diritti di opzione aventi ad oggetto detti strumenti finanziari, che altrimenti costituirebbero reddito di lavoro. In questo modo, dovrebbe essere incrementato e facilitato l’utilizzo del work for equity da parte delle startup innovative. Tuttavia, non ci sembra che il legislatore abbia fornito gli strumenti adeguati per raggiungere tale scopo.
Innanzitutto, la normativa sulle startup innovative su tali punti risulta piuttosto lacunosa e ci si chiede se il vuoto normativo debba essere colmato facendo riferimento per analogia alla normativa vigente in tema di SPA sia per gli strumenti finanziari che per l’acquisto di azioni proprie. Inoltre, l’implementazione di tali novità comporterebbe l’espletamento di una serie di formalità e la previsione di costi che di fatto hanno finora scoraggiato le startup innovative ad avvalersi di tali disposizioni, nonostante i prospettati benefici fiscali e contributivi.
Facciamo degli esempi.
L’acquisto di quote da parte di una SRL ai fini dell’assegnazione a dipendenti, collaboratori, amministratori o prestatori di opera e servizi richiede la sottoscrizione di atti di cessione alla presenza di un notaio, l’approvazione dell’assemblea ordinaria che deve verificare l’esistenza di riserve disponibili e la predisposizione di un piano di incentivazione che stabilisca i termini e le condizioni di assegnazione delle quote. Tale piano è necessario anche nel caso in cui l’assegnazione di quote sia eseguita a seguito di aumenti di capitale riservati ai suddetti assegnatari.
L’emissione di strumenti finanziari a favore di soci, amministratori, dipendenti o terzi deve essere espressamente prevista dallo statuto ed un apposito regolamento deve essere approvato dall’assemblea che potrà affidare all’organo amministrativo gli adempimenti necessari per l’assegnazione di tali strumenti, definendone termini e condizioni.
I terzi che si impegnano a prestare opere e servizi a fronte dell’assegnazione di quote o azioni o strumenti finanziari partecipativi devono concordare con la società beneficiaria i contenuti e le caratteristiche dell’opera o dei servizi e devono presentare polizza assicurativa o fideiussione bancaria per l’intero valore dell’opera o dei servizi i quali saranno oggetto di perizia da parte della società beneficiaria una volta completati.
Appare evidente che la normativa delle startup innovative in tema di work for equity non sia di immediata e facile implementazione e si comprende come mai tale strumento, così come disciplinato dalla suddetta normativa, sia di fatto poco utilizzato e non possa, a mio parere, essere considerato uno strumento innovativo.
Sarebbe auspicabile che il legislatore prendesse atto dello stato di attuazione della normativa in esame e si rendesse conto della opportunità di intervenire a semplificare, ove possibile, le suddette procedure così da incentivarne l’utilizzo. Le startup non dovrebbero essere solo espressione di innovazione ma anche di semplificazione.
* Antonia Verna è socia dello studio legale Portolano Cavallo.