Non solo le piccole e medie imprese italiane hanno reagito alla crisi economica adottando nuove tecnologie, puntando ai mercati internazionali e cercando di tenersi al passo con la quarta rivoluzione industriale, ma hanno anche capito l’importanza di arruolare manager di talento, dotati di competenze digitali, da individuare anche all’esterno del nucleo familiare. Un modo di gestire il business che, fino a poco tempo fa, non era così scontato. Ne è convinto Paolo Zocchi, Mediterranean Growth Markets Leader, EY Italia, che ha curato l’EY Growth Barometer 2017 – Italy. Una ricerca per tastare il polso alle pmi italiane, quelle che contraddistinguono il nostro tessuto economico e che hanno rischiato di essere travolte dalla crisi economica iniziata nel 2008.
Innovazione 2018, per le Pmi crescita fino al 10% grazie a robot e talenti digitali
Dall’indagine emerge un quadro piuttosto roseo: la metà prevede un crescita dal 6 al 10% nel 2018. Addirittura le nostre pmi risultano essere avanti, rispetto al resto del mondo, nell’adozione dell’automazione robotica dei processi in fabbrica. Le leve dello sviluppo, sostiene l’indagine, sono le nuove tecnologie, l’innovazione, la ricerca ma anche e soprattutto l’investimento sui talenti aziendali. “Le competenze digitali – dice Paolo Zocchi – aiuteranno l’Italia e le micro e medie aziende italiane a svilupparsi e ad entrare in mercati nuovi”.
Stanno cadendo alcune barriere: un tempo se eri grande potevi entrare più facilmente in mercati lontani, oggi con le nuove tecnologie puoi dire la tua sui mercati internazionali anche se hai un’azienda di medie dimensioni. E la nostra ricerca dimostra che le pmi italiane, su questi aspetti, hanno una percezione maggiore rispetto al resto del mondo.
Finora si pensava che le pmi avessero meno cultura dell’innovazione. Non è più così?
È stato forse così fino a poco tempo fa, ma dopo il 2008 le aziende italiane sono cambiate e hanno capito che, proprio a causa della crisi economica, dovevano investire all’estero. Perciò hanno intrapreso nuove vie di internazionalizzazione, di innovazione, di ricerca. Soprattutto hanno cominciato a investire in nuove risorse e in talenti aziendali. Questo è il New Deal delle imprese italiane 4.0.
Quindi le pmi stanno rispondendo alla chiamata dell’Industria 4.0?
Dal nostro osservatorio lo si desume chiaramente. Le aziende italiane sono intenzionate a incrementare sempre più i propri processi organizzativi per poter competere nel mondo. Stanno vivendo un momento di forte entusiasmo, anche perché c’è grande offerta di capitali, quindi un imprenditore oggi ha anche i mezzi per poter finanziare i suoi progetti.
Quali?
Recentemente abbiamo assistito a un aumento delle quotazioni in Borsa sull’AIM, il mercato finanziario per le piccole e medie imprese. Sono nate nuove realtà come le Spac, Special Purpose Acquisition Company, veicoli di investimento contenenti esclusivamente cassa e costituiti specificatamente per raccogliere capitale al fine di effettuare operazioni di fusione e/o acquisizione di aziende. È partito il progetto dei Pir, Piani Individuali di Risparmio, che consentono ai privati di investire sulle imprese con una modalità vantaggiosa dal punto di vista fiscale, esenzione dal capital gain e esenzione dalla tassa di successione: attraverso i Pir sono già stati raccolti più di 5 miliardi di euro. Tutto questo porta linfa e capitali alle imprese. Certo, loro devono mettersi in gioco e affrontare la sfida. Ma molte sono pronte a farlo e molte sono già partite.
Nelle pmi ci sono le competenze giuste o c’è carenza di talenti?
Con i cambi generazionali degli ultimi 10 anni, molte imprese hanno dovuto inserire in azienda, oltre alla famiglia, dei manager competenti. Quindi sì, c’è una continua ricerca di talenti, non solo a livello nazionale ma anche internazionale. Del resto, se vogliono crescere nel mondo, devono portare nel management persone competenti che si occupino di linee di business in Cina, in India, nei mercati americani…In Italia la stragrande maggioranza delle pmi sono imprese familiari. Ma le famiglie hanno capito che non sempre il nucleo familiare può gestire il business come in passato. Vediamo sempre più, anche con i patti familiari, azionisti che salgono sulle holding di controllo e lasciano i manager o i migliori componenti della familgia ad occuparsi del business. È un’evoluzione del modello familiare più integrato, più aperto e più digitale.