Alcuni giorni fa mi sono imbattuta in un’esperienza affascinante quanto divertente. Anche questa volta nei panni di giudice di una competizione tra startup, ma con la differenza che si trattava dei ragazzi delle scuole superiori, chiamati a presentare progetti innovativi come potenziali mini-imprese.
Si chiama “Impresa in Azione” la competizione articolata su scala nazionale ed organizzata da JA Italia, svolta a livello regionale presso Impact HUB Bari, con l’obiettivo principale di capitalizzare il potenziale dei progetti, cioè delle “Mini-Imprese”, e di massimizzare il contributo professionale dei valutatori.
Di questo interessante percorso di valutazione di progetti imprenditoriali early-stage innovativi, strutturato secondo tre criteri (potenziale, fattibilità, apprendimento), la cosa più impressionante (ed emozionante) per me è stata ricevere da ciascun team di ragazzi un Executive Summary e un Rapporto Annuale.
Il primo documento sintetizza obiettivi e risultati delle mini-imprese: dal problem/opportunity (ovvero la fatidica domanda da 100 milioni di dollari: qual è il bisogno del cliente che vado a soddisfare?) al business model (come la tua idea può generare profitto?); dall’analisi del mercato e della concorrenza all’execution (qual è il piano di marketing/vendite? Come farcela?). E infine i Financials (la previsione finanziaria del progetto).
Il secondo documento, il Rapporto Annuale, riassume il primo anno di attività della mini-impresa con l’obiettivo di dare agli stakeholders una chiara visione dei risultati conseguiti e di mostrare l’efficacia del team nel presentare l’azienda, il funzionamento, i processi creati, la performance, il potenziale dell’idea sviluppata.
Sono rimasta molto colpita dalla disciplina e coerenza metodologica che questi ragazzi giovanissimi hanno messo in campo per rendere i propri progetti convincenti e sostenibili. Un’esperienza di sostanza che mi ha fatto riflettere sulla necessità di agire con un percorso di educazione all’impresa fin dall’età scolare, per aiutare i ragazzi a ragionare, rendersi protagonisti ed autonomi in una società dove la cultura del posto fisso è irrimediabilmente tramontata. Se le scuole diventassero “palestre di innovazione” e aiutassero i propri studenti ad avere uno sguardo critico sull’economia del Paese, sui processi produttivi e sulle nuove tecnologie, si potrebbero prevenire tante future sciagure (cosiddetti effetti collaterali): dall’emorragia dei talenti che fuggono all’estero fino all’ingrossamento del “cimitero delle startup”.