C’è chi fa il volontariato per enti religiosi, sociali o culturali, e chi ha scelto di prestare la sua opera volontariamente per la trasparenza dei siti web della pubblica amministrazione. Perché “trasparenza significa partecipazione e controllo democratico”. È la battaglia intrapresa da Laura Strano, funzionario pubblico e dirigente sindacale che ha ideato e fondato il gruppo Facebook “Trasparenza siti PA“. Un gruppo che ad oggi conta 4.286 membri, realizza analisi e report ma soprattutto punta a sensibilizzare l’opinione pubblica su questo tema. E che non ha esitato a mettere in discussione anche il “cane da guardia” della trasparenza in Italia, l’Anac, Autorità nazionale anticorruzione presieduta da Raffaele Cantone. Tutto in forma squisitamente volontaria, appunto.
La questione della trasparenza è tornata alla ribalta nei giorni scorsi con il caso Marino: dopo una richiesta avanzata dal Movimento 5 Stelle e da Fratelli d’Italia, il sindaco di Roma Ignazio Marino ha pubblicato online tutte le spese sostenute con la carta di credito del Campidoglio. Proprio da quei dati sono emerse alcune cene presumibilmente private ma pagate con soldi pubblici. È stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, portando alle dimissioni del primo cittadino.
“Come si vede gli open data, i dati aperti messi a disposizione pubblicamente dalla PA, possono avere un’importanza valenza di controllo democratico” commenta Nazareno Prinzivalli, catanese, da oltre vent’anni nel settore ICT come Project manager e business analyst e tra coloro che, dal 2012, è maggiormente impegnato nel gruppo Facebook. In mancanza della fondatrice Laura Strano, in questo periodo impossibilitata per motivi di salute ad occuparsi a 360 gradi del gruppo a cui ha dedicato per anni tempo e passione, è stato Prinzivalli, uno degli amministratori, a divulgare il “verbo” del Gruppo intervenendo di recente a Dig.eat 2015, manifestazione organizzata a Roma da Anorc (Associazione nazionale per operatori e responsabili della conservazione digitale). Ed è partito con una premessa: “Bisogna stare attenti a come questi dati vengono letti e interpretati. Il caso di Ignazio Marino ci porta a capire cosa si può fare nelle PA all’insegna della trasparenza, ma attenzione allo stravolgimento da parte dei media: c’è modo e modo di costruire le cose partendo dagli stessi dati oggettivi”.
Il percorso legislativo sulla trasparenza parte da lontano. È innanzitutto un percorso culturale portato avanti a livello internazionale da associazioni come Trasparency International. In Italia un primo passo è stato fatto con la legge 241 del 90 sull’accesso degli atti amministrativi, mirata ad assicurare la massima circolazione possibile delle informazioni sia all’interno del sistema amministrativo, sia fra questo e il mondo esterno. Nel decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, la cosiddetta riforma Brunetta della PA, è stato sancito il principio di trasparenza, in base al quale le amministrazioni sono tenute ad “adottare un programma triennale specifico per promuovere la trasparenza e l’integrità” e “devono pubblicare sul proprio sito Internet il monitoraggio dei costi dei servizi erogati agli utenti finali e intermedi”. Infine è arrivato il Decreto ls 33/2013 sul “riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni”: il punto di riferimento di tutti coloro che, come gli aderenti al gruppo Facebook, si occupano di trasparenza nella PA. Il pacchetto di misure attua la legge anticorruzione (190/2012), vincolando per esempio i politici e i parenti entro il secondo grado alla pubblicazione, tra le altre cose, delle loro situazioni patrimoniali. In materia di trasparenza esiste anche un ulteriore strumento, la “Bussola della Trasparenza”, progettata dall’ingegner Davide D’Amico: tool online attraverso il quale le pubbliche amministrazioni, possono, in modo semplice, testare i propri siti istituzionali, verificarne il grado di trasparenza e adeguarsi così ai nuovi adempimenti. In pratica controlla in automatico il rispetto formale delle pubblicazioni. Uno strumento simile era stato ideato, in passato, dalla fondatrice del gruppo Facebook Laura Strano.
“Il decreto 33 – spiega Prinzivalli – dà la possibilità a qualsiasi cittadino di verificare se sul sito di un ente pubblico mancano alcuni elementi e di segnalarlo. Il responsabile della Trasparenza dell’ente è obbligato ad effettuare le modifiche. Se non lo fa entro 30 giorni, il cittadino può inoltrare una segnalazione all’Anac”.
Per mettere alla prova la macchina pubblica il Gruppo Facebook sulla Trasparenza ha escogitato un sistema originale: ha rivolto segnalazioni direttamente all’Agid (Agenzia per l’Italia digitale) e alla stessa Anac su elementi attinenti ai loro siti web (ma anche a molti altri enti e istituzioni). Come dire: voi che vi occupate di trasparenza, cosa fate quando le vostre piattaforme non sono abbastanza trasparenti? “L’Agid ha risposto ed effettuato le modifiche – dice Prinzivalli – mentre per l’Anac Cantone ci ha risposto in modo evasivo: la prima volta dicendo che le osservazioni da noi fatte erano premature perché era in corso un cambiamento del sistema. Abbiamo insistito e ci ha risposto una seconda volta. Ma successivamente le modifiche sono state realizzate solo su una parte delle nostre segnalazioni”.
Strano, Prinzivalli, Minni Pace (altra componente tra le più attive) e tutto il gruppo continuano nella loro battaglia anche perché la considerano estremamente concreta. “Per capire se ci stanno amministrando in maniera efficiente servono dati e documenti, non lo possiamo fare con i talk show dove si parla del nulla”. E anche coraggio. Perché, sottolinea, non sono ancora tanti quelli che se la sentono di denunciare pubblicamente le magagne degli amministratori pubblici.