OPEN INNOVATION

Venture builder: che cosa sono e perché stanno soppiantando i corporate accelerator

Gli acceleratori sono stati la prima forma strutturata di collaborazione tra aziende e startup. Ma hanno prodotto risultati limitati. Ecco perché stanno emergendo i venture builder. Obiettivo: sviluppare internamente business che abbiano un impatto sul futuro dell’azienda. Ne parliamo con Alberto Onetti (Mind The Bridge)

Pubblicato il 14 Dic 2020

Alberto Onetti

Nel mondo degli investimenti in realtà innovative scendono le quotazioni dei corporate accelerator e salgono quelle dei venture builder. Un trend in forte crescita quest’ultimo, dopo che alcune grandi aziende hanno messo in pratica il nuovo modello incentrato sulla scalabilità veloce di un numero selezionato di progetti ad alto impatto strategico. Nel 2021 il fenomeno “venture builder” potrebbe ulteriormente imporsi. Se ne parla il 15 dicembre ai Corporate Startup Stars Awards 2020, manifestazione annuale di Mind The Bridge per premiare le migliori pratiche internazionali nell’open innovation a livello globale. (QUI il link per accedere alla cerimonia che quest’anno si tiene online).

Nel corso dell’evento, la società di advisory che funge da ponte tra grandi aziende e startup presenterà una ricerca (qui il link per scaricare il full report), dalla quale, tra le altre cose, emerge, il progressivo deterioramento del modello dei corporate accelerator da un lato e la crescente diffusione dei venture builder dall’altro. Ne parla a EconomyUp Alberto Onetti, che di Mind the Bridge è presidente, oltre ad essere Professore di Entrepreneurship & Innovation Management all’Università dell’Insubria.

Cosa vede di nuovo sul fronte dell’innovazione aperta, il paradigma individuato dal professor Henry Chesbrough nell’ormai lontano 2003?

Molte cose. Parlando di open innovation l’unica certezza è che non è una “one way road”: non ci sono ricette sicure da applicare e i modelli sono in continua evoluzione. Quindi chi si cristallizza è perduto, così come chi pensa di essere arrivato. Questo scaturisce dal nostro lavoro con tante aziende internazionali e, in modo più strutturato, dall’analisi dei comportamenti delle principali aziende mondiali che su base annuale facciamo in occasione dei “Corporate Startup Stars Awards”.

Uno dei trend che emergono è appunto quello dei venture builder. Perché gli acceleratori (almeno quelli corporate) sembrano non funzionare più?

Gli acceleratori sono stati “storicamente” (termine che nel mondo dell’innovazione guarda a 5-10 anni al massimo) la prima forma strutturata di collaborazione tra aziende e startup. Quindi è normale che negli anni siano stati oggetto di un ripensamento, anche in funzione dei risultati prodotti. Al di là dei positivi ritorni sulla cultura aziendale e sugli ecosistemi (il mondo italiano delle startup ha beneficiato di un programma come TIM #Wcap per fare un esempio), i risultati derivati dai programmi di accelerazione corporate sono stati limitati, soprattutto a fronte degli investimenti sostenuti. Molte aziende li hanno dismessi, o esternalizzati, o comunque trasformati. Non è un caso che, nel Bootcamp che abbiamo organizzato il 3 dicembre sul tema (incontri ristretti a porte chiuse con cui ci confrontiamo con i nostri clienti e condividiamo modelli), Mastercard, Telefonica e SAP non definiscano più i loro programmi (rispettivamente Start Path, Wayra e SAP.io) come acceleratori. Il focus è sempre più spinto verso il modello del Venture Client (di cui – in Italia e a livello internazionale – Enel è un benchmark), ossia modelli volti ad avviare collaborazioni con startup più mature, ovvero le scaleup, in un orizzonte globale. Non penso che vi sia sfuggito il fatto che Daimler abbia sostanzialmente ceduto il suo acceleratore Innovation Lab1886 nonostante avesse prodotto car2go, moovel, Mercedes me, e Mercedes-Benz Genuine Remanufactured Parts. Evidentemente non stanno in piedi. I dati e l’osservazione dei fenomeni ci dicono che gli acceleratori fisici con raggio locale o nazionale, organizzati per call, batches e programmi strutturati e che prendono dell’equity, fanno decisamente parte del “passato”.  

Come si colloca in questa evoluzione il venture builder?

Questo è invece un trend in forte crescita sulla scorta di alcuni esempi “consolidati” (ossia meno di uno-due anni di esperienza) quali BP Launchpad, Engie New Business Factory, AXA Kamet Ventures, Enagas Emprende, Samsung. Si tratta di modelli dedicati alla scalabilità veloce di un numero selezionato di progetti ad alto impatto strategico. Possono essere originati sia dall’interno (dipendenti e/o top management) sia dall’esterno (startup e/o imprenditori). L’obiettivo è la generazione di nuovi business da sviluppare internamente (o in alcuni casi da spin-offare sul mercato) che possano avere un impatto importante sul futuro dell’azienda. Per esempio Launchpad si propone di  “creare business da miliardi di dollari per aiutare BP ad affrontare la sfida della dual energy”.

Quali sono i punti di discontinuità rispetto agli acceleratori?

Un forte focus su pochi progetti all’anno, a differenza dei modelli spray & pray. Progetti ad impatto strategico. Origination più interna che esterna. Importante dotazione di risorse, sia umane che finanziarie,  per garantire la scalabilità dei pochi progetti scelti: si parla di team tra 25/30 fino a oltre 100 persone per gestirli, con profili di qualità.

Che differenza c’è con gli Startup Studio?

Difficile fare una distinzione, ma gli Startup Studio si concentrano prevalentemente sulla pre-solidificazione di progetti più early stage e sono generalmente gestiti esternamente all’azienda, mentre i Venture Builder hanno un focus sulle successive fasi di solidificazione e sono gestiti internamente, sia pure con supporto imprenditoriale esterno as a service che è quello che diamo anche noi di Mind the Bridge.

Quali sono i progetti di venture builder più interessanti del momento?

Nell’ultimo mese Telefónica ha annunciato Wayra Builder e Iberdrola ha lanciato Perseo Venture Builder. Altri se ne aggiungeranno nei prossimi mesi, anche in Italia. Ma non posso ovviamente dire chi. In ogni caso sono modelli in evoluzione, quindi, da un lato, mi attendo crescenti ibridazioni, e, dall’altro, credo che ci saranno aggiustamenti e cambiamenti . Per esempio, parlando di BP Launchpad, solo negli ultimi sei mesi il modello è già cambiato. Ne ho parlato con (qui link alla mia conversazione con Siobhan Clarke -Launchpad Operating partner – lo scorso giugno, e la settimana prossima pubblicheremo una nuova intervista ove Siobhan ci spiegherà cosa è cambiato.

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Redazione EconomyUp
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