Era il venerdì 17 maggio. Il che mi rendeva nervosa già di prima mattina. Anche l’agente Longo era nervoso, per un motivo diametralmente opposto al mio. Anzi. Era precisamente il suo stato che giustificava il mio. Mi spiego. Lui temeva le rappresaglie della cabala, che si sa, il venerdì 17 possono essere tremende. A me invece urta qualsiasi forma di superstizione, e ancora di più mi urta il fatto che mi urti, perché ne conosco le radici cognitive e so di non poterla estirpare dalla testa della gente. L’innovazione, peraltro, è proprio il terreno più fertile per la superstizione. Così mi avvito dentro un buco di sfiducia nell’umanità e nel suo futuro, come una vite nel suo tassello.
L’agente Longo dirigeva una filiale nelle Marche, e l’avevo già incontrato in uno dei turni di notte. Sapevo che la banca l’aveva messo al mio fianco più con l’intento di controllare come mi muovessi, che per portare un contributo effettivo alle indagini. Ma era un tipo a posto (a parte la faccenda della superstizione), e a me stava bene.
Questa volta l’incarico veniva dall’ufficio innovazione della banca, su mandato di un pezzo grosso, una specie di eminenza grigia che conoscevo solo dalle dicerie da corridoio: per esempio si diceva che fosse uno per cui Dio si scriveva D-apostrofo-io. Per come sono fatta, quindi, meglio che mantenesse le distanze.
Il problema era semplice, e molto intonato – secondo Longo – con il venerdì suddetto. Si parlava di successioni. Il capo dell’innovazione mi presenta il caso sorridendo gentile, senza il minimo segno di impazienza: “Il tasso di abbandono post-mortem è più del 60%, e il tasso di acquisizione di nuovi eredi è bassissimo, meno del 10%”. Significa, mi spiega Longo, che al passaggio a miglior vita di un correntista, più del 60% degli eredi decidono di chiudere completamente il conto, portando via tutta la massa successoria in altre banche. Inoltre il fenomeno inverso, cioè l’acquisizione di nuovi correntisti (e dei loro averi) dalla comunità di eredi del de cuius, è quasi marginale. Con la conclusione che la somma algebrica dei due flussi ha un risultato negativo. “Più che un rischio, come dice lei capo, è un fatto”, precisa Longo. “Le cose stanno proprio così, lo osservo proprio nella mia filiale”. Cerco di capire: “Quindi mi state dicendo che di fatto la banca si sta pian piano svuotando?”. Annuiscono un po’ imbarazzati entrambi, e a me le cose cominciano subito a quadrare poco: quella calma artificiale del responsabile dell’innovazione da una parte, e l’oggettiva gravità del problema dall’altra, che scuriva l’espressione di Longo. C’era da stare in guardia. Mi puzza subito di caso putrido, di quelli aperti da tempo, in cui si sono scornate più persone senza venirne a capo, e che arriva a me come ultima spiaggia.
Provo a farlo scoppiare in fretta: “Capisco, quindi nessuno qui dentro ha la minima idea del perché questo stia accadendo…”. “Beh”. si lascia sfuggire Longo “crediamo che sia colpa dei colleghi…”
“Calma calma” lo interrompe il capo dell’Innovazione “inutile azzardare ipotesi, meglio fare un lavoro come si deve!”.
Io cerco di rimanere calma. “In base alla mia esperienza” dico, “se non ci sono ipotesi, non ci sono risultati. Per cui, Longo, procedi pure e sputa il rospo”.
Viene fuori che il caso, come sospettavo, era già passato di mano in mano molto volte e senza troppi passi avanti. L’ultima “svolta” aveva coinvolto i colleghi delle filiali, sotto forma di indagine interna. Era emerso che le successioni sono vissute, dai colleghi di Longo, come una noia burocratica da gestire. Quindi con poca partecipazione, poca empatia, un basso livello di priorità e complessivamente con indolenza. “È quindi abbiamo dedotto: è naturale che il cliente, o potenziale cliente, senta questo disinteresse da parte del personale, e scappi!”. Pausa. Deglutisce.
“Non è finita qui, vero?” lo incoraggio a proseguire.
“No, abbiamo fondato un intero progetto su questa deduzione: un servizio premium di gestione delle pratiche successorie, gestito da colleghi solerti ed empatici. Ed è andato male! Nessun miglioramento! Ma lei come fa a saperlo?”
“Perché avete scambiato una deduzione con un’induzione, un classico! Comunque portami i fascicoli, e riprendiamo tutto in mano.”
“Ma scusi” si impunta il capo dell’innovazione, “ma se il servizio successioni è scarso, non è chiaramente questa la causa dell’abbandono degli eredi? Quanto meno deve essere una delle cause!”.
“Per nulla. Lo è dal vostro punto di vista” dico io, “mi vengono in mente almeno dieci alibi, cioè dieci ipotesi alternative che possono spiegare l’abbandono. Il fatto che aumentando la qualità di un servizio il cliente rimanga più soddisfatto è comprensibile. Ma per cambiarne il comportamento, occorre che voi comprendiate tutta l’ampia gamma di problemi legati al momento della successione, anche quelli che non cadono nel vostro perimetro di intervento, e che poi valutiate se siete in grado di risolverli“.
Mi ha sempre procurato un sottile piacere infrangere i sigilli e penetrare tra i fascicoli di un caso che nessuno ha ancora chiuso. Per quanto tutte le prove importanti siano state raccolte, nutro la speranza di trovare la chiave del mistero. Solo che in questo caso c’erano meno della metà delle prove necessarie. Il punto di vista dei dipendenti della banca era importante, ma non sufficiente. Con la scusa che avevano già i loro problemi emotivi da gestire, e che la situazione era umanamente delicata, nessuno aveva mai avuto il coraggio di spostare l’indagine oltre i confini della banca e incontrare i famosi eredi.
Innanzitutto è emersa una cosa che, ahimè, sa chiunque si sia occupato di questo triste disbrigo: il conto in banca è solo una delle tante e diverse ‘cose’ che devono passare il faticoso guado. Inoltre, e in parte proprio per questo, c’è tutta una pletora di professionisti coinvolti, a volte complementari, a volte sostituti, tutti che chiedono tempo, tutti da spronare e coordinare per chiudere la dannata faccenda. In questo contesto così complesso, l’indolenza e la scarsa professionalità dell’operatore di filiale suonano come un paio di note stonate in un complesso che avrebbe comunque fatto un gran fracasso anche senza. Anzi, le figure con maggiore centralità erano altre: il CAF, o il geometra, a seconda del peso del patrimonio immobiliare nel complesso della massa successoria.
Tutto d’un tratto, la strategia spronata con grande potenza di fuoco da D-apostrofo-io si affloscia agli occhi di Longo. Il quale, famoso per la grande parsimonia di spirito, la definisce “una grande ingenuità”.
“No-no-no”, dice il capo dell’innovazione, probabilmente figurandosi l’incontro con l’eminenza grigia, “questa prospettiva manda all’aria tutto il lavoro fatto finora, non è possibile! “
In queste occasioni mi viene sempre in mente il famoso proverbio turco: Non importa quanta strada tu abbia fatto lungo la strada sbagliata – torna indietro.
E invece no, D-apostrofo-io rilancia, e propone – sulla scorta delle evidenze emerse – di creare nella banca il super specialista delle successioni, una creatura mitologica con una laurea in economia, l’esperienza di un geometra e l’autorevolezza di un notaio. Un eroe in grado di concludere la pratica successoria in meno di un mese, tutto da solo. Booom! Se lo dice lui, si può fare.
“Eh no“, mi permetto,”diamoci una calmata e riflettiamo: da una grande ambizione, discendono grandi responsabilità. Anche se sembra un’idea grandiosa, occorre prima accertarsi che sia quella giusta“.
Il silenzio del capo dell’innovazione era assordante, e diceva: “Non vi è bastato impuntarvi fino ad adesso, osate ancora mettere in dubbio le intuizioni del grande capo, seppure consequenziali alle vostre evidenze!”
Tant’è. Naturalmente non abbiamo potuto aspettare il morto, e, anche in caso fosse capitato, sarebbe stato opportuno coinvolgere in un test persone così provate. Abbiamo quindi deciso di proporre la grandiosa idea di soluzione a persone che avessero da poco attraversato un evento successorio, per capire in sostanza se ci stesse sfuggendo qualcosa, se stessimo ignorando un altro elefante nella stanza.
Ed eccolo lì, puntuale, l’elefante. “Bello questo servizio, ma meglio comunque il CAF. Anche se sono lenti, almeno loro mi conoscono, mi fanno la dichiarazione dei redditi tutti gli anni, sanno tutto di me e della mia famiglia, mi fido di loro!”
Così si esprimono gli eredi, ad uno ad uno. Si trattava di argomentazioni sensate, che ruotavano attorno al tema della relazione e della fiducia.
La considerazione finale è quindi stata: per quanto rifinito ed efficace si costruisca l’ipotetico servizio successioni (inteso come presa in carico della pratica successoria), l’erede potrebbe non decidere di affidarvisi, per un difetto di relazione con l’istituzione Banca, propria o del parente.
“La credibilità e la fiducia vanno probabilmente costruite molto prima della triste dipartita…” suggerisce timidamente Longo. Ma questo era troppo. Davvero troppo. Da uno che poi doveva solo accertarsi che non pestassi i piedi a nessuno! L’indagine è stata dichiarata conclusa senza fare troppo rumore, e D-apostrofo-io è stato attirato nella trappola di altre urgenze.
Ma c’è una buona notizia. Il grandioso progetto ha avuto il posto che si meritava: un cassetto in cui ammuffire. Invece, sono state promosse iniziative tese a coinvolgere i futuri eredi quando ancora si considerano familiari, e a stimolare la fiducia del caro estinto quando è ancora vivo, vegeto e in grado di condividere coi propri cari quanto preziosa è la sua banca.