Grazie alle tv e ai social abbiamo potuto vedere il gesto di Marina Ovsynnikova, la giornalista che lunedì 14 marzo ha “fatto irruzione” in diretta nello studio del principale tg della prima rete russa, con un cartello che chiedeva la fine della guerra in Ucraina.
Un gesto di grande coraggio, che le è valso ammirazione unanime: per fare un esempio, il direttore del Quotidiano Nazionale, Michele Brambilla, nel suo editoriale “Non girarti se hai di fronte l’ingiustizia”, l’ha paragonata ad alcune persone che hanno sacrificato la vita per salvare vite innocenti o per opporsi a Hitler.
Nel video preregistrato e diffuso dopo il suo immediato arresto, Marina ha detto di vergognarsi per aver favorito la propaganda di Putin e del Cremlino nei suoi anni di lavoro alla tv di Stato. Tutti i media hanno raccontato del suo interrogatorio durato 14 ore, della condanna a una multa di 30.000 rubli (circa 280 euro) e del suo rilascio, perché madre di due figli minorenni, di 11 e 17 anni.
Tuttavia, la multa potrebbe essere solo il primo passo della punizione nei suoi confronti, perché in Russia è ora in vigore una legge che prevede fino a 15 anni di carcere per chi diffonde “fake-news” sulla guerra in Ucraina, ovvero per chi diffonde notizie sgradite a Putin.
La vicenda di Marina è ora scomparsa dai media, rimpiazzata dalle tristi notizie quotidiane della guerra. Dopo l’emozione immediata, rischiamo di scordarci di questa donna coraggiosa. Per tenere comunque accesa la fiaccola dell’attenzione, ti propongo di scrivere #Ovsyannikova nei tuoi post o tweet, a prescindere dal contenuto. Anche questo è un esercizio di tecnologia solidale. Per non dimenticare Marina.