L’export si conferma per le imprese italiane – specialmente quelle di medie e piccole dimensioni con forti specializzazioni verticali – una grande occasione per generare nuove fonti di revenue e accrescere in generale il valore del business. Nonostante la congiuntura critica causata dalla diffusione del coronavirus, le previsioni nel medio termine sono positive: secondo l’ultimo rapporto Sace Simest, dopo un 2018 chiuso con una crescita del 3,1% e un 2019 a +3,4%, dal 2020 al 2022 il fatturato del Made in Italy all’estero conoscerà un’ulteriore spinta. È previsto infatti un incremento medio del 4,3% all’anno che porterà le vendite di beni all’estero a superare nel 2020 il muro dei 500 miliardi di euro e a generare oltre 540 miliardi nel 2022. Le esportazioni di servizi, d’altra parte, dopo aver superato per la prima volta la barriera dei 100 miliardi di euro nel 2018, conosceranno una crescita di valore ancora più rapida di quella dei prodotti fisici, con un +3,7% nel corso del 2020 e un +4,6% nel triennio successivo, arrivando a 120 miliardi di euro di fatturato.
Cavalcare il trend positivo con nuovi strumenti e approcci
Buone notizie dunque, da filtrare però tenendo sempre presenti i trend che influenzeranno l’evoluzione dei mercati e le criticità che potrebbero rappresentare un ostacolo per le aziende intenzionate a esplorare nuove aree geografiche e nuovi canali di vendita. “Se la raccomandazione di Sace Simest è quella di rivolgersi a Paesi che stanno affrontando politiche di upgrade industriale, miglioramento infrastrutturale e sviluppo urbanistico, con imprese aperte alle partnership estere (il rapporto cita Brasile, India ed Emirati Arabi), non dobbiamo però dimenticare il fatto che in molti casi i classici mercati di sfogo per l’export italiano non sono più appetibili come un tempo. E in ogni caso, anche per le imprese che puntano a collaborare con i medesimi target, cavalcare il trend positivo significa creare nuovi canali, nuovi contatti e nuove metodologie”. A parlare è Paola Bugnotto, Supervisor Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Trentino di Co.Mark, società specializzata in servizi di consulenza per l’internazionalizzazione delle PMI, tramite attività di Temporary Export Management.
Meccanica: prontezza di risposta e comunicazione social per affrontare nuovi mercati
Prendiamo le mosse da uno dei fiori all’occhiello del Made in Italy: il settore della meccanica dovrebbe crescere all’estero del 4,2% nel corso del 2020, migliorando ulteriormente – seppur di poco – le performance da qui al 2022. Le opportunità migliori si avranno negli Stati Uniti e in Russia, oltre che in Cina, India e Spagna, ma anche in mercati ancora da esplorare, come l’America latina, l’Africa Subsahariana (dove in Angola cresce, sulla spinta degli investimenti del governo nell’agroalimentare, la domanda di macchinari per la raccolta e la trasformazione di prodotti agricoli) e il Sudest asiatico (col Vietnam che punta sull’industria conciaria-calzaturiera, sul tessile e sulla lavorazione di gomma, plastica e legno). “È interessante notare che un partner commerciale di lunga data come il mercato tedesco sia diventato molto meno appetibile rispetto a qualche anno fa”, dice Bugnotto. “Ciò dipende dal fatto che la diffusione dei sistemi di automazione ha radicalmente cambiato le regole del gioco in Germania. Conviene quindi affrontare piazze che non si conoscono, e questo significa scontrarsi con competitor nuovi: nell’ambito della meccanica è importante mantenere un rapporto qualità-prezzo elevato, predisporre campionature perfette e puntare a dare risposte rapide rispetto alla richiesta di forniture, anche quando si tratta di piccoli lotti. Sembra scontato, ma è una parte fondamentale nella concretizzazione di una trattativa, e costituisce un ottimo biglietto da visita rispetto ai competitor”.
A chi desidera farsi conoscere in mercati completamente nuovi, Bugnotto consiglia di approfondire il tema dei social network, specie per quanto riguarda Youtube e altre piattaforme di condivisione di contenuti multimediali. “Si tratta di investimenti abbordabili che però offrono uno straordinario ritorno in termini di immagine: caricare online – in una video community o sul proprio sito Internet – un tutorial che mostri il funzionamento del macchinario aiuta a trasmettere l’approccio concreto e l’expertise dell’azienda in modo chiaro e diretto, bypassando distanze culturali e geografiche”.
Il direttore tecnico di Co.Mark accenna anche alla sempre maggiore importanza che rivestirà la servitizzazione, specialmente nell’ambito dell’impiantistica: “Applicare sensori ai prodotti e mettere i macchinari in condizione di comunicare con il quartier generale abilita una serie di servizi pre e post vendita che nei prossimi anni verranno dati per scontati dalla maggioranza dei clienti”.
Tessile: strategico entrare in sintonia con le culture dell’Estremo oriente
Nel 2020 l’espressione export sarà per il settore tessile sinonimo di Asia pacifica: Sono previste buone risposte dal mercato soprattutto in Corea del Sud e in Giappone, dove sia abbigliamento sia calzature consentiranno alle imprese del comparto di ottenere buone performance, con un aumento degli acquisti di prodotti Made in Italy pari, a livello globale, al 2,9%. “Soprattutto per quanto riguarda il mercato coreano – ma penso anche alla Cina – le difficoltà maggiori riguarderanno l’approccio ai buyer”, avverte Bugnotto. “Non è semplice per le aziende, soprattutto se poco strutturate, trovare banche dati specifiche, anche perché in Asia si utilizzano motori di ricerca e social network completamente diversi da quelli che vanno per la maggiore in Europa. Se un’azienda italiana vuole esportare in quell’area deve prima di ogni altra cosa trovare i contatti giusti e targettizzare in modo appropriato la propria offerta, posizionandola sulle piattaforme online che contano. Bisogna quindi stabilire con buyer e clienti un contatto che trascenda le logiche puramente commerciali, favorendo un dialogo che punti in primo luogo alla condivisione e allo scambio culturale. In oriente tutto questo è imprescindibile se si vuole conquistare l’attenzione e la fiducia del proprio interlocutore”.
Agrifood: aiutare i clienti a vivere l’esperienza del Made in Italy
Il Giappone sarà un importante mercato di sbocco anche per le aziende vitivinicole, e contribuirà insieme a Usa e Canada a trainare vendite all’estero, che se nel 2020 cresceranno timidamente (+2%), nel corso del triennio registreranno un incremento medio annuo del 5%. L’export alimentare dovrebbe invece avere tra le sue destinazioni d’elezione la Francia, specialmente per quanto riguarda i prodotti ittici. “Se rispetto al vino la competizione è tutta interna, le aziende dell’agrifood dovranno vedersela soprattutto con la concorrenza che arriva dai Paesi sudamericani e dalla Spagna, una concorrenza giocata essenzialmente sui prezzi, visto che la qualità dei prodotti italiani è indiscussa”, commenta la Supervisor di Co.Mark. “Per questo, per avere successo nei mercati target è fondamentale fare due cose: trasferire l’idea di eccellenza/qualità dei prodotti e – aspetto ancora più determinate – convincere i clienti a degustarli. Bisogna saper dire no alle richieste di invio di campionature e provare a raccontare il prodotto, il modo in cui viene realizzato, inducendo le persone a sperimentarlo sul piano sensoriale, a scoprirne le origini”. Narrare il prodotto, garantire la bontà della filiera e rassicurare intermediari e consumatori finali vuol dire prima di ogni altra cosa dare vita a un packaging all’altezza e contestualizzato rispetto al mercato target.
Farmaceutica e cosmetica: la partita si gioca costruendo partnership locali
Ultimo, ma non per importanza, il settore della farmaceutica e della cosmetica che nei prossimi anni potrebbe crescere, in mercati emergenti come quello indiano, addirittura ad un tasso compreso tra il 15 e il 20%. Paola Bugnotto precisa subito che prima di avventurarsi su qualsiasi piazza estera è necessario conoscere approfonditamente il panorama politico del Paese di possibile destinazione delle vendite, le sue regole ed il funzionamento dei dazi, oltre che altre tipologie di barriere all’ingresso. “La legislazione in questi ambiti cambia infatti frequentemente e non bisogna farsi trovare impreparati. La cosmetica, come sottolineano gli analisti, sta sperimentando un vero e proprio boom specialmente nei Paesi emergenti, una crescita sostenuta dal continuo miglioramento degli stili di vita in tutto il mondo. Parliamo però di settori dove le piccole aziende italiane sono costrette a competere con grosse case che possono non solo mettere in atto economie di scala per abbattere i prezzi alla vendita, ma anche contare su analisi di mercato accurate per aprire canali distributivi sempre più efficienti. Sicuramente la PMI”, continua Bugnotto, “può giocare bene la propria partita quando si tratta di volumi di forniture più contenuti, a patto di riuscire a farsi conoscere in mercati dove non si è storicamente presenti. Bisogna a questo punto capire se si intende proporre il proprio marchio o se invece si punta contratti di fornitura per le private label. Nel secondo caso, un’opportunità potrebbe essere quella di affiliarsi ad aziende locali più strutturate”. Se invece si vuole agire in autonomia, per accrescere la brand awareness occorre attivare collaborazioni con medici e opinion leader, costruendo con il loro aiuto iniziative di comunicazione mirate sui social network. Qualunque sia l’approccio scelto”, aggiunge Bugnotto, “le imprese di piccole dimensioni che puntano su prodotti di qualità oggi hanno tutto l’interesse a evitare mercati consolidati come quelli europei e scegliere Paesi emergenti caratterizzati da consumatori con una forte attenzione alla cura della persona. Andare lontano è più conveniente di quanto si pensi. Anzi, è una scelta vincente quando si può fare leva sul Made in Italy”.
Una strategia commerciale mirata per ogni settore merceologico
Le chance per le imprese italiane sono dunque molteplici, a patto di conoscere approfonditamente le caratteristiche di ciascun mercato target in funzione del settore merceologico di appartenenza. L’utilizzo di nuovi canali di comunicazione per la meccanica, il corretto posizionamento su motori di ricerca e social network per il comparto tessile, l’importanza dell’esperienza sensoriale nell’ambito dell’agrifood e le alleanze locali per quanto riguarda la cosmetica sono naturalmente indirizzi che vanno poi declinati sulle caratteristiche peculiari di ogni organizzazione. Ciò che consente davvero a ciascuna impresa, nella sua specificità, di scegliere gli strumenti migliori per alimentare il business nei mercati esteri è l’adozione di un approccio integrato che può essere sviluppato solo attraverso una visuale tanto vasta quanto profonda dei trend di mercato. “Naturalmente non tutte le aziende – e in particolar modo le PMI – hanno le risorse o l’expertise per maturare tale visione”, conclude Bugnotto. Co.Mark, con la sua esperienza ventennale, affianca le imprese di ogni settore merceologico mettendo al loro servizio il proprio patrimonio informativo e le competenze dei propri Temporary export specialist per aiutarle ad affrontare le criticità delle vendite estere e a costruire, volta per volta, una strategia commerciale mirata”.