DIRITTO & INNOVAZIONE

Tornei di eSport: chi può sfruttare i diritti commerciali delle competizioni di videogiochi?

Non esiste ad oggi in Italia alcuna normativa sugli eSport, ma ci si comincia ad interrogare su quali siano i soggetti in grado di sfruttare commercialmente questi eventi, che possono generare notevoli possibilità di ricavi. Ecco alcune riflessioni

Pubblicato il 15 Set 2021

eSport e diritti commerciali

Come noto, gli eSports, competizioni di videogiochi a livello professionistico, costituiscono un’attività e un business in costante crescita, a cui si affacciano sempre più investitori: il torneo eSports non è solo uno spettacolo che desta, in live come in streaming, sempre più interesse nel pubblico (e non solo nel più giovane), ma anche un vettore di comunicazione per i brand, anche non affini al mondo della tecnologia e del gaming, che intendono avvicinare una fan base sempre più numerosa.

Quali sono le opportunità commerciali

Le opportunità commerciali sono tante per gli operatori del settore che – nonostante la sua relativa immaturità in un contesto globale – offre ogni giorno nuove possibilità di monetizzazione. Esse sono in gran parte riconducibili a quelle che offre già il mondo sportivo, ed in particolare quello del calcio, date anche le somiglianze obiettive tra i due settori e le relative competizioni. Tra le fonti di ricavi maggiori del reparto esports si citano infatti i diritti audiovisivi, la biglietteria (per gli eventi live), le sponsorizzazioni ed il licensing, anche se la peculiarità degli esports, intrinsecamente collegati al videogame, moltiplica le possibilità di sviluppo per i player del settore, i quali traggono vantaggio dalle immense prospettive business offerte dallo spazio virtuale in cui si muove il relativo mercato.

Dopo aver brevemente analizzato il quadro giuridico di riferimento per l’organizzazione di tornei esports in Italia nel mio precedente contributo, mi propongo di soffermarmi su quello che, forse, è il tema di maggior interesse per chi intende investire nel mondo degli esports: chi può sfruttare commercialmente l’evento esportivo in Italia? In altre parole, chi sono i protagonisti giuridici, e quindi commerciali, degli esports italiani?

eSport: chi può sfruttare i diritti commerciali dell’evento

È ormai noto a tutti che non sussiste ad oggi in Italia alcuna normativa relativa agli esports. In assenza di previsioni espresse della legge, per rispondere alla suddetta domanda, occorre quindi interrogarsi prima di tutto sulla natura dello spettacolo esportivo.

Abbiamo già sottolineato come spettacolo sportivo ed esportivo presentino similitudini obiettive: entrambi possono essere definiti come eventi in cui giocatori e squadre si affrontano davanti ad un pubblico nell’ambito di una competizione organizzate da un terzo. Cosicché anche se gli esports non sono considerati come una disciplina sportiva ai sensi della normativa italiana, appare legittimo chiedersi se debba trovare applicazione al settore esports la disciplina speciale dei diritti audiovisivi sportivi di cui alla legge Melandri[1]. A tale proposito, si deve evidenziare che se la realtà esportiva vede anche essa convivere organizzatori di competizioni e squadre partecipanti, il modello pensato per i diritti audiovisivi sportivi non appare ragionevolmente trasponibile ai diritti audiovisivi delle competizioni esports, in quanto le caratteristiche strutturali ed organizzative del settore (e.g., presenza del publisher, dicotomia tra organizer e team partecipante ma anche segmentazione del settore e mancanza di realtà federative o rappresentative) lo rendono molto diverso dal calcio (che ha appunto ispirato la disciplina della Legge Melandri).

Esclusa l’applicazione della disciplina audiovisiva sportiva, occorre poi chiedersi se e in che misura il diritto d’autore possa trovare applicazione in relazione allo sfruttamento dell’evento esportivo: se è incontestato ed incontestabile che il videogioco (inteso sia come software che come opera audiovisiva) è tutelato ai sensi della legge italiana sul diritto d’autore n. 633/1941 (“LDA”) e che, di conseguenza, il suo utilizzo in occasione di una competizione esports richieda necessariamente l’autorizzazione del titolare dei diritti di sfruttamento economico del gioco stesso (ossia il publisher), non è invece chiaro se lo spettacolo esportivo, a prescindere dall’utilizzo del videogioco, possa essere considerato di per sé un’opera dell’ingegno ai sensi della LDA e, in tal caso, chi debba essere titolare dei relativi diritti di sfruttamento.

I diritti dei pro-player

A tale proposito, si evidenzia come parte della dottrina vede nella prestazione dei pro-player durante i tornei una vera e proprio opera dell’ingegno: il giocatore, attraverso una serie di input ed output trasmessi tramite il proprio computer, genererebbe infatti una sequenza di immagini in movimento la cui natura creativa consentirebbe di far accedere il pro-player alla dignità di autore ai sensi della LDA. Altri vedono invece la prestazione del pro-player come un’interpretazione creativa dell’opera altrui (nello specifico il videogame), con conseguente riconoscimento in capo al pro-player della qualità di interprete ai sensi della LDA. In entrambi i casi, spetterebbero comunque al pro-player diritti patrimoniali ma anche morali sulla propria prestazione, a prescindere dai diritti vantati dal publisher sullo sfruttamento della propria opera (il videogame).

I diritti degli organizzatori

Accanto ai diritti dei pro-player, si pone anche la questione dei diritti degli organizzatori delle competizioni di esports: devono essi essere considerati titolari di diritti connessi ai sensi degli artt. 78-bis e seguenti della LDA, in quanto produttori di “sequenze di immagini”, o potrebbero addirittura essere titolari dei diritti di sfruttamento economico di un’opera dell’ingegno, alla stregua del produttore cinematografico, se le riprese dello spettacolo dovessero essere configurate come “opera collettiva” (consistente appunto nell’insieme delle prestazioni esportive dei partecipanti)? O ancora e comunque, l’unicità dello spettacolo esportivo non giustificherebbe una forma di riconoscimento di titolarità in capo all’organizzatore/produttore, sulla stregua di quanto viene di fatto riconosciuto in ambito sportivo dalla Legge Melandri?

Il quadro dei potenziali titolari di diritti diventa poi più complesso ancora se si considerano anche i diritti d’immagine dei partecipanti alle competizioni. Infatti, a prescindere dagli eventuali diritti patrimoniali e/o morali d’autore che vertono sulle riprese dello spettacolo, le persone riprese (in particolare i pro-player) godono di diritti esclusivi sulla propria immagine, il cui sfruttamento commerciale è soggetto all’ottenimento della loro autorizzazione.  E’ tuttavia legittimo interrogarsi sull’applicabilità in materia di esports della distinzione vigente in ambito calcistico tra (i) i diritti di sfruttamento economico dell’immagine personale del singolo componente della squadra, i quali rimangono, salvo accordo espresso diverso, nella titolarità esclusiva del giocatore, e (ii) diritti di sfruttamento economico dell’immagine collettiva della squadra, pacificamente definita dalla prassi calcistica come raffigurazione di almeno 4 (quattro) giocatori della rosa in azione/tenuta da gioco, i quali sarebbero invece in capo alla società calcistica quale corollario della prestazione sportiva del giocatore per l’intera durata del rapporto contrattuale tra i due.

eSport e diritti commerciali: il ruolo chiave del publisher

Tutte queste domande, di enorme rilevanza per gli attori del settore, non hanno ad oggi risposta certa, cosicché sono attualmente gli accordi tra le parti a determinare il contenuto dei rispettivi diritti. A tale proposito, non si può che constatare l’assoluta predominanza della figura del publisher che, attraverso la definizione unilaterale delle condizioni di licenza per l’organizzazione di tornei e delle condizioni generali di uso del gioco, arginar le potenziali pretese autoriali e/o economiche degli altri attori del mercato. Si auspica che la crescita del settore possa portare con sé maggior chiarezza ed equilibrio nella definizione dei rispettivi diritti, anche grazie ad una progressiva strutturazione del relativo mercato ed una migliore rappresentazione dei vari e qualche volta divergenti interessi coinvolti.

[1] Ricordo che i diritti audiovisivi sportivi sono oggi disciplinati in Italia dal d.lgs. n 9/2008, detto Legge Melandri, il quale opera sostanzialmente una ripartizione dei diritti tra due figure principali, che sono l’organizzatore della competizione e l’organizzatore del singolo evento (rispettivamente la Lega e le squadre di Serie A nel calcio). Ai sensi della legge Melandri, se organizzatore della competizione ed organizzatore degli eventi sono contitolari dei diritti audiovisivi relativi agli eventi della competizione (salvo per i diritti di archivio che rimangono in capo agli organizzatori dei singoli eventi), l’esercizio dei diritti vengono riservati all’organizzazione della competizione che provvedere alla commercializzazione degli stessi ed alla ripartizione dei proventi tra i vari organizzatori di eventi.

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Hélène Thibault
Hélène Thibault

Counsel at Law Firm Tonucci & Partners

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