POLITICA & INNOVAZIONE

Startup Act 2.0, che cosa sappiamo del disegno di legge che prevede 20mila euro di capitale sociale per le startup 



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La proposta di aggiornamento dello Startup Act del 2012 è ora in un DDL del MIMIT. Il punto dolens è il capitale sociale di 20mila euro per poter essere startup. Cambiamenti più positivi previsti per gli incubatori. Ancora incerta la data dell’approvazione in Consiglio dei Ministri

Pubblicato il 24 lug 2024



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Startup Act

Dovrebbe essere il necessario aggiornamento dello Startup Act del 2012, lo Startup Act 2.0, ma nelle nuove norme scritte dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy c’è un dettaglio che rischia di avere l’effetto di una bomba al napalm sull’ecosistema delle startup italiane: 20mila euro di capitale sociale per entrare nel registro delle startup o per continuare a restarci per le società che già ci sono. Impatto valutato dallo stesso Mimi: il 70% in meno di startup nel Registro Speciale delle Camere di Commercio.

Il disegno di legge dovrebbe andare in approvazione nel prossimo consiglio dei ministri, probabilmente in quello di venerdì 25 luglio come ha anticipato il ministro Urso, ma c’è incertezza visto che si tratta di un provvedimento assai delicato e non certo per gli articoli dedicati alle startup: il “Capo” I, infatti, riguarda le concessioni autostradali, tema sul quale ci sono diverse tensioni con l’Unione Europea e all’interno del Governo e per il quale si attende il via libera del Ministero dei Trasporti. Si dovrebbe procedere prima della pausa di agosto, ma le notizie apparse sui giornali nelle ultime ore fanno pensare che ci vorrà ancora tempo e quindi un rinvio a settembre non è da escludere.

Tornando alle startup, bisognerà capire quale testo arriverà a Palazzo Chigi e quale saranno gli interventi delle famose “manine”, anche alla luce delle prime reazioni preoccupate che arrivano dall’ecosistema delle startup.

Ma andiamo con ordine e vediamo nel dettaglio che cosa c’è nella bozza del DDL che oltre sulle concessioni autostradali interviene su prezzi di assicurazioni, sanzioni per gli NCC abusivi e autorizzazioni per i dehor di bar e ristoranti.

Startup Act 2.0, che cosa c’è nella bozza del Mimit

Da tempo si parla della necessità di aggiornare lo Startup Act del 2012, il primo quadro normativo in Italia dedicato alla definizione giuridica di startup con una serie di agevolazioni collegate. Oltre 10 anni dopo c’è da mettere a frutto l’esperienza fatta, valutare io risultati ottenuti, adeguarsi all’evoluzione del mercato.

Il fatto che questo intervento venga inserito in un decreto poco coerente (cosa c’entra la concorrenza?) lascia intendere quanto l’aggiornamento venga interpretato come un “refreshing” di quanto già esiste piuttosto che un’occasione per ridare slancio all’ecosistema italiano delle startup che resta ancora indietro rispetto a quelli di Paesi come la Francia o la Spagna.

Perché non lavorare a un DDL startup, meglio articolato, magari con la concertazione di più ministeri, da portare all’approvazione dopo la finanziaria? Quello sì che sarebbe un vero Startup Act 2.0.

La nuova definizione di startup: una futura PMI

Dalla bozza del DDL emerge una visione delle startup come future PMI. Per esempio, si dice che non una startup non può essere controllata da grandi gruppi. C’è da capire che cosa si intende per grandi gruppi ma anche quale impatto questa norma potrebbe avrebbe sulle attività di venture building delle aziende.

Un’altra novità è la possibilità di diventare startup ex post, cioè entro due anni dalla data di costituzione della società. Quindi si apre alla possibilità di scoprire la propria vocazione innovativa in un secondo momento per ottenere i vantaggi previsti per le startup.

L’obbligo di un capitale sociale di 20 milioni

Questo è il punto dolens del DDL. Le startup dovranno avere un capitale sociale di 20 milioni, sin dal momento della costituzione. E quelle che sono nel registro dovranno aumentarlo se vorranno restarci.

Questa è una delle novità che più sta creando disappunto e rabbia nell’ecosistema, dal momento che diventa un disincentivo alla nuova imprenditorialità e rende praticamente inutili tutti i provvedimenti di semplificazione e riduzione dei costi (per esempio srl semplificata o con 1 euro di capitale sociale) fatti per favorire in particolare l’imprenditorialità giovanile. Si potranno continuare a fare ma non saranno startup.

Qual è l’obiettivo di questa pesante richiesta che, oltretutto, crea una discriminazione con le altre srl che hanno un obbligo di capitale di soli 10mila euro? Ufficialmente “escludere le imprese in cui non sia avvenuta una nascita (reale) dell’impresa”. Non è chiaro, però, quale sia la relazione fra il capitale sociale e l’avvio dell’attività. E anche all’interno del Mimit ci sono parecchi dubbi sul fatto che il capitale sociale sia l’indicatore corretto della consistenza di un’impresa.

Sul capitale sociale, quindi, si preannunciano polemiche ed emendamenti provenienti anche dall’interno della maggioranza di Governo. Tutti sono d’accordo sul fatto che nel Registro delle imprese innovative ci sono società che poco hanno a che fare con l’innovazione o che sono poco attive. Ma ci sono altri sistemi per verificare il rispetto dei requisiti richiesti.

Poteva andare peggio, perché secondo alcune voci che circolano in Parlamento, c’erea stato chi aveva proposto 50mila euro di capitale sociale, ma l’impatto sarebbe comunque disastroso: nella relazione tecnica del Mimit è prevista una riduzione del 70% del numero delle startup iscritte al Registro delle imprese con un risparmio previsto di circa 10 milioni di euro. Quindi, alzare il prezzo di ingresso per ridurre il perimetro dei benefici senza fare fare grandi distinzioni.

Le startup saranno tali per 7 anni

Viene allungata la vita delle startup: da 5 a 7 ani ma solo per quelle che operano in settori strategici. Quali sono? Difesa e sicurezza nazionale, energia, trasporti e comunicazioni.

Incubatori, ridefinizione e deduzioni

Per gli incubatori le prospettive sembrano meno preoccupanti.

Di fatto si punta ad ampliare la platea dei soggetti che possono ottenere la certificazione: le startup non devono più essere “ospitate” ma possono essere solamente “supportate”, così come il personale.

Inoltre, a partire dal 2025 vengono estese le deduzioni Ires agli incubatori certificati, come già previsto per le società che investono in startup, con una soglia di 1,8 milioni.

Venture capital, arrivano fondi previdenziali e casse professionali?

Nel ddl c’è un articolo (il 29) che a una prima lettura sembra rivoluzionario per gli investimenti sulle startup: il 2% dell’attivo patrimoniale di fondi previdenziali e casse professionali “deve essere investito in fondi di venture capital”.

Sarebbe una importante iniezione di capitali per l’asfittico mercato italiano del VC. Ma sarà così? Non proprio, perché a una più attenta lettura di commi e riferimenti vari il meccanismo dovrebbe essere diverso: gli investimenti qualificati per gli investitori istituzionali vengono abbassati dal 10 all’8% e, se si vuole tornare al 10%, il 2% può essere investito in fondi di venture capital europei, e non solo italiani.

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