Quotazione in Borsa di Spotify: missione compiuta. L’ex startup svedese che ha rivoluzionato lo streaming musicale è quotata martedì 3 aprile alla Borsa di New York con il simbolo Spot verso le 12,45 americane, registrando risultati sostanzialmente positivi. Citadel Securities, il market maker incaricato di vagliare l’interesse degli investitori, ha stabilito il prezzo di apertura a 165,90 dollari, pari a una capitalizzazione di mercato da 29,5 miliardi. Un rialzo del +13% sui 132 dollari fissati dal Nyse come prezzo di riferimento. Il titolo ha però chiuso a un valore più basso rispetto all’apertura. A fine giornata, la capitalizzazione di Spotify ha toccato i 26,5 miliardi di dollari: la dimostrazione che gli investitori statunitensi hanno premiato il coraggio dei co-founders di Spotify, Daniel Ek e Martin Lorentzon. I due si sono presentati al Nyse con una insolita quotazione diretta, direct listing process (Dlp), ovvero senza il paracadute offerto dalle banche d’affari in caso di alta volatilità del titolo. Si tratta di una modalità di quotazione che ha costi decisamente inferiori rispetto al normale processo della Ipo (Initial public offering) perché è l’azienda stessa a gestire il processo in modo diretto, senza quindi impiegare i servizi degli intermediari finanziari, senza compiere il roadshow per raccogliere l’impegno dagli azionisti potenziali e senza definire un prezzo di debutto dell’azione.
Spotify si quota in Borsa con il metodo “direct listing”. Ecco che cos’è
Risultato della prima giornata di contrattazioni: la quotazione di Spotify è stata la più alta nella classifica dei collocamenti iniziali di gruppi tecnologici, dietro Alibaba che terminò il primo giorno di scambi con un valore di 233,89 miliardi di dollari, e di Facebook (81,74 miliardi di dollari).
Con la quotazione di Spotify, i co-fondatori della piattaforma di streaming Daniel Ek e Martin Lorentzon, rispettivamente di 35 e 48 anni, hanno incassato circa 7 miliardi: la quota del primo, pari al 9,2%, vale ora 2,8 miliardi di dollari, mentre il secondo, con il 12,2%, incassa in valore 3,7 miliardi.
COME FUNZIONA IL MODELLO DI BUSINESS DI SPOTIFY
Spotify ha significato la rivoluzione della musica da smartphone. Nata nel 2006, è uno dei rarissimi unicorni europei, ovvero fa parte di quelle startup che hanno superato il miliardo di dollari di giro d’affari. Un successo generato dal talento di un ragazzo scandinavo che a 16 anni si candidò per un posto di lavoro a Google senza riuscire a farsi assumere, a 23 divenne multimiliardario vendendo una società di advertising online in Svezia e in seguito decise che avrebbe creato un servizio musicale alternativo a quelli illegali. Il modello di business di Spotify è semplice: ci si può abbonare al servizio Premium per ascoltare musica senza interruzioni pubblicitarie e archiviarla sui dispositivi per ascoltarla anche in assenza di connessione a Internet, oppure si può scegliere il servizio gratuito sostenuto dalla pubblicità. Sul fronte dei contenuti la sua forza sta nel database di brani di colossi come EMI, Sony e Universal, così come tracce di etichette indipendenti. Bastano pochi click e la musica arriva istantaneamente, a un prezzo contenuto se non gratis (se si sopporta la pubblicità) su qualsiasi supporto, dal computer al tablet allo smartphone. Dalla sua nascita, però, Spotify non ha mai prodotto guadagni. Nonostante la grande crescita degli abbonati, la società continua a riportare perdite: il motivo principale risiede proprio nel modello di business. Contrariamente a Netflix, che versa un forfait iniziale per acquistare i diritti su un film o una serie, Spotify paga gli artisti e tutte le altre parti coinvolte nella gestione dei diritti musicali ogni volta che una canzone viene ascoltata, in una proporzione di circa 75 centesimi per ogni dollaro incassato. Questo perché il settore dei servizi di streaming musicali deve probabilmente ancora trovare un modello di business efficace e sostenibile. La quotazione serve a Spotify anche per cercare di raggiungere con maggiore forza questo obiettivo.
I COMPETITOR DI SPOTIFY
Non mancano i concorrenti: da Apple, secondo servizio di streaming che ha metà degli utenti ma migliori tassi di crescita, fino a Google, Amazon e Pandora. Apple ha fatto il suo ingresso nello streaming dal 2015 e, dopo un inizio faticoso, ha sfruttato l’integrazione con il proprio ecosistema tecnologico. La radio via Internet Pandora resta leader dello streaming musicale gratuito negli Stati Uniti , con quasi 75 milioni di ascoltatori. Alphabet-Google punta sulla diffusione del video-sharing di YouTube e su versioni dedicate e a pagamento. Amazon Music, varata nel 2016, è collegata a doppio filo ai popolari smart speaker Echo e all’assistente digitale Alexa.
Intanto Wall Street ha dimostrato di credere in questa realtà del mondo della musica nata in Europa. In queste infografiche di Pitchbook sono contenuti nozioni e numeri in grado di spiegare il successo della quotazione dell’azienda svedese.
I PROSSIMI PASSI DI SPOTIFY
Per quest’anno, scrive CorCom, l’obiettivo è aumentare i fruitori a pagamento del servizio ‘Premium’ tra il 30% e il 36%. Spotify ha avvertito la scorsa settimana che la crescita dei ricavi probabilmente rallenterà nel 2018, ma anche la perdita annuale dovrebbe essere più contenuta. Dal 2008 la società non ha mai prodotto un utile annuale. Negli Stati Uniti, il più grande mercato musicale, le entrate da musica registrata in studio sono cresciute del 16,5% nel 2017. Si tratta della prima volta dal 1999, agli albori della musica online, che il business mostra un incremento per il secondo anno di fila. John Tinker, analista di Gabelli and Co., ha dato il via alle valutazioni su Spotify consigliando né di acquistare né di vendere, con una valutazione neutrale. “Apple sta crescendo più velocemente di Spotify e ha un modello di business diverso in base al quale la musica non deve essere redditizia su base ‘standalone’”, ha spiegato l’analista. (L.M.)