L'INTERVISTA

Spoletini (Oracle): così aiutiamo le startup a portare le loro innovazioni alle aziende

«Noi diamo l’enterprise grade: affidabilità, sicurezza, produttività e scalabailità», dice Fabio Spoletini, country manager Italia della seconda software house del mondo, che ha un suo programma di accelerazione. «Siamo appealing perché abbiamo sposato l’open source». «L’Italia non è un Paese facile per le startup».

Pubblicato il 28 Feb 2018

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«Noi non guardiamo alle startup solo come imprese che possono utilizzare i nostri servizi ma in maniera più strategica: sono possibili partner con cui sviluppare soluzioni che si integrano nei nostri sistemi». Fabio Spoletini, country manager di Oracle Italia, spiega così il motivo per cui la seconda software house al mondo può essere molto “appealing” per le nuove imprese hi-tech. E perché, quindi, è main sponsor del nuovo marketplace lanciato da Italia Startup, che gira appunto sul cloud Oracle.

Fabio Spoletini, Country Manager di Oracle Italia
Spoletini, Oracle è una ex startup che ha appena compiuto i suoi primi 40 anni. Che cosa fa adesso per le nuove startup?
Abbiamo appena annunciato l’espansione del nostro programma Oracle Startup Cloud Accelerator, che ha nove centri nel mondo: l’ultimo è stato aperto ad Austin e siamo già a Bangalore, Bristol, Mumbai, Delhi, Parigi, San Paolo, Singapore e Tel Aviv. Nel 2017 abbiamo avuto richieste da circa 4mila startup per soli 40 posti.

In che cosa consiste l’espansione?
Si chiama ScaleUp Ecosystem ed è un programma di accelerazione “virtuale”, cioè non residenziale, rivolto alle startup ad alto potenziale e coinvolge anche i fondi di venture capital e private equity. Offre mentoring, supporto di ricerca e sviluppo, marketing, servizi e accesso ai clienti Oracle nel mondo.

Perché Oracle dovrebbe essere attraente per una startup?
Quello che fa Oracle è fornire soluzioni di business tecnologicamente avanzate: siamo focalizzati sulle nuove tecnologie ma anche sulla business process innovation. E da dove arrivano le innovazioni sul fronte dell’intelligenza artificiale, del machine learning, dell’Internet of Things?

Arrivano dalle startup, d’accordo. E Oracle che cosa fa per intercettarle?
Noi parliamo di cloud alle aziende che vogliono crescere e integrarlo con le applicazioni gestionali (ERP), quindi anche alle startup, alle quali proponiamo di entrare in un ecosistema dove certamente è possibile affittare capacità di calcolo ma anche altri servizi collegati alla crescita dell’impresa. Per le grandi aziende funziona al contrario: offriamo la business process innovation dando anche la possibilità di ospitare la soluzione della startup in grado di caratterizzare la proposta nel suo ultimo miglio. La nostra offerta, quindi, lascia in ogni caso spazio alle startup.

C’è quindi anche un obiettivo di open innovation?
Oracle ha una chiara strategia di innovazione basata sull’open source. Siamo diventati grandi contributori soprattutto sulle nuove tecnologie. Per esempio abbiamo acquisito un’azienda che fa serverless computing e poi abbiamo concesso l’IP in open sourcing alla community. Questo ci rende sempre più appealing per le startup, anche perché quelle hitech sono fatte da developer che lavorano sulle nuove tecnologie.

Che cosa può fare Oracle per queste startup?
Diamo quello che noi chiamiamo l’enterprise grade. La startup crea una soluzione innovativa, Oracle la rende affidabile, sicura, produttiva e scalabile. Il nostro lavoro è ridurre la complessità per i clienti ma noi dobbiamo standardizzare per creare valore. Le startup entra in gioco quando dobbiamo differenziare la proposta, quando è possibile personalizzarla sulle esigenze di un cliente.

Che cosa sta facendo Oracle con le startup in Italia?
In Italia stiamo parlando con le startup con l’obiettivo di individuare quelle che possono aiutarci a creare l’ultimo miglio. Oggi il cloud deve essere standardizzato, altrimenti perdo valore. Dove creo l’elemento di distinzione? Nell’ultimo miglio e li entrano in gioco le startup con le loro soluzioni che si integrano con tutto quello che c’è dietro

Avete già qualche collaborazione con startup?
Diverse. Collaboriamo con Mobysign, Spitch, Toonimo, 3D Signals, Conversate e  Cloudesire Le prime due sono aziende le altre sono società dello Start Up Accelerator di Oracle che hanno operations in Italia, che però non è un Paese facile per le startup.

Perché?
Non siamo in un hub di forte innovazione tecnologica, Londra o Berlino sono altra cosa. Si fa quindi molto fatica. Una startup italiana all’inizio si propone sul mercato italiano, che è caratterizzato da una grande public sector e da tante piccole aziende. C’è molta frammentazione e quindi non è semplice crescere.

All’estero è diverso?

Direi di sì. In Francia, per esempio, io vedo numerose grandi aziende, multinazionali vere. Se una startup riesce a prenderne una come cliente, allora può pensare di scalare. In Italia queste opportunità sono molte meno. E se non puoi crescere, fai fatica a trovare chi punta su di te. Negli Stati Uniti ci sono grandi investitori, è vero. Ma perché se la startup funziona, il ritorno è garantito. In Italia anche se il mercato risponde, ce ne vuole tempo prima di crescere.

Perché l’Italia è in questa situazione?
C’è un sistema di microaziende che certo non aiuta e poi c’è molta cautela. Inoltre le poche grandi aziende non hanno un grande indotto e quindi non riescono neanche a essere propulsive. C’è un tema di dimensioni delle nostre imprese, quindi, che ha un impatto sulle startup e sulla loro scalabilità.

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Giovanni Iozzia
Giovanni Iozzia

Ho studiato sociologia ma da sempre faccio il giornalista e seguo la tecnologia . Sono stato direttore di Capital, vicedirettore di Chi e condirettore di PanoramaEconomy.

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