L’industria del software è uno dei comparti con maggior tasso di crescita nel mondo. Uno studio Deloitte Usa stima in mille miliardi di dollari la crescita entro il 2028 del mercato con un tasso annuale (CAGR) superiore all’11%.
Questo fenomeno riguarda tutti i Paesi ma con percentuali e concentrazioni notevolmente diverse. Se analizziamo le prime 100 aziende per valore negli USA vediamo che ci sono 39 realtà legate al software (dato 2020) e tra queste alcune tra le top 10 (Amazon, Meta, Google, Microsoft, Apple), 25 in Asia, 7 in Europa, solo 4 in Italia, peraltro alcune di queste partecipate dallo Stato.
Software e innovazione, la differenza di retribuzioni
Risulta quindi evidente la concentrazione delle aziende del software negli USA, con tutto quello che comporta in termini di potenzialità di innovazione e R&S, servizi correlati e ricadute nel mondo del lavoro.
Il divario è importante soprattutto nelle attività di sviluppo, cosiddette human intensity, nelle quali si effettuano i maggiori investimenti in termini di know how e forza lavoro. Basti pensare che nel nostro paese la RAL di un data scientist è fra i 35 e i 40 mila euro, mentre già in Francia lo stipendio si aggira tra i 60 e i 70 mila euro, per non parlare poi dell’America dove un informatico di OpenIA può arrivare a guadagnare fino a 400 mila dollari all’anno.
In Europa pochi investimenti e molte vendite
Nell’ultimo decennio le grandi multinazionali americane hanno investito poco nei mercati europei, utilizzati quasi esclusivamente per vendere i propri prodotti, preferendo costruire le nuove fabbriche del software nei Paesi in via di sviluppo, i “BRICS”, attratte dal basso costo del lavoro e dalla presenza di un numero crescente di lavoratori laureati in materie STEM.
Tuttavia, la crisi del Covid-19 e il relativo re-shoring, insieme alla verifica di un livello formativo non sempre all’altezza e un crescente costo del lavoro, stanno mettendo in discussione tale approccio e le relative strategie di sviluppo.
La filiera del software in Italia e le opportunità di innovazione
In questo contesto, l’Italia – Paese da sempre alleato degli USA e con forti radici e principi democratici – può essere il luogo ideale per un nuovo friend-shoring del tech e in particolare del software. Attrarre investimenti esteri con l’obiettivo di valorizzare lo sviluppo di nuovi insediamenti soprattutto in territori meravigliosi ma ancora “acerbi” del nostro Paese, come quelli del Mezzogiorno, potrebbe essere la soluzione.
Stiamo parlando di una filiera che ricopre un ruolo di primo piano per la crescita del sistema produttivo del nostro Paese: come mostra la ricerca del 2023 “Software nelle PMI: un motore d’innovazione per l’Italia”, a cura degli Osservatori Digital Innovation della School of Management del Politecnico di Milano in collaborazione con AssoSoftware, il settore nel solo 2022 ha impiegato oltre 137.000 persone, generando un fatturato di 56,3 miliardi di euro, con una crescita del 9% rispetto 1 all’anno precedente e, limitatamente ai software gestionali, con un aumento mediamente più alto rispetto ad altre tipologie di servizio, +12% rispetto al 2021, per un totale di 22,4 miliardi di euro, ovvero il 40% del fatturato di comparto complessivamente analizzato.
Come attrarre investimenti sull’Italia del software
Per raggiungere questo ambizioso obiettivo, è prioritario mettere in campo un piano di sgravi fiscali significativi per le nuove imprese tecnologiche, favorendo così la nascita di poli industriali del software, in grado di generare benefici sia per le grandi aziende che per le PMI e le microaziende. Poli del software che avranno il compito di potenziare i piani di formazione STEM delle Università e degli ITS.
I potenziali benefici di questo programma di attrazione di investimenti sono estremamente elevati, con una stima di incremento del PIL tra 1 e 2 punti entro i prossimi cinque anni. Senza considerare come, mettendo in campo delle decontribuzioni per ogni lavoratore con competenze STEM assunto si prevede che in un triennio l’industria del software potrà occupare circa 500.000 nuovi lavoratori specializzati, tutti formati e residenti in Italia.
Per liberare queste energie è fondamentale mettere in campo un Piano Nazionale per il Software che sia in grado di facilitare la realizzazione di quell’ecosistema digitale necessario alla costruzione di nuove fabbriche di software nel nostro Paese, definendo investimenti e impegno delle imprese tech nel nostro Paese e promuovendo politiche per attrarre investimenti esteri. Solo così saremo in grado di cogliere l’occasione e trasformare l’Italia nel hub europeo dell’IA.