Ci sono detective che passano ore a lucidare fondina e cintura: è il loro espediente per pensare a nulla, per ricentrarsi con se stessi. Io, invece, nuoto. Tutto successe, questa volta, per colpa di questo mio espediente. Incolpare la piscina è esagerato, e a dir poco fuori luogo, ma se io non avessi avuto questa fissa, e se la piscina non fosse stata lì, il caso non sarebbe finito tra le mie mani.
Ero agli albori della mia carriera investigativa e mi occupavo prevalentemente di casi di urbanistica e tecnologia, quello che ora si definirebbe proptech.
Quindi mi trovavo in un Paese che all’urbanistica dà un certo peso: la Danimarca. Non mi trovavo lì per un caso, e nemmeno per caso: ero stata invitata ad una conferenza. Allora ero solo una recluta e il mio capo mi aveva messo in mano un biglietto per Copenhagen. Non c’era ragione per cui dovessi volare io lì, che non ero nemmeno detective, a riferire dei miei primi casi. O forse c’era, e non era nulla di originale. Era la stessa ragione che ancora adesso mi sento ripetere, e – cito la mia mentore Pedra Delicado – “che mi scoccia, che mi offende, che mi trapana il cervello e mi riduce i neuroni in polvere siderale”, vale a dire: ci serve una donna per fare bella figura, per il gender balance. Anche io mi indigno quando alle conferenze vedo dei panel composti esclusivamente da maschi, e allo stesso tempo il fatto di essere spogliata di ogni identità, e persino di un corpo, in ragione di un doppio cromosoma, mi fa salire il sangue alla testa. Comunque: ormai era deciso, sono volata a Copenhagen e ho preso un treno per un paese nella zona suburbana, dove si svolgeva la conferenza.
Il buonumore è tornato non appena mi sono accorta che l’hotel era a due passi dalla piscina comunale. Ho chiesto informazioni alla reception. Non solo ho ricevuto informazioni dettagliate sulle condizioni di accesso alla piscina, ma la proprietaria dell’hotel si è presa la libertà di mettermi a parte di una questione che la angustiava e che riguardava proprio l’impianto sportivo. La signora faceva parte del consiglio comunale, aveva un naso piccolo piccolo sotto coloratissimi occhiali di design, ed era appena rincasata da un’assemblea in cui si era dibattuto se deliberare o meno un cospicuo investimento per il rifacimento della piscina. “Se ne accorgerà lei stessa”, ha detto in inglese, “la piscina ha 20 anni, ma è ben tenuta, sicura, ci sono investimenti più importanti su cui concentrarsi!”.
Non ho resistito: “… e perché allora il consiglio spinge per il rifacimento della piscina?”
La signora, da sotto gli occhiali, mi ha raccontato che tre mesi fa gli ingressi erano drasticamente calati, e il conto economico dell’anno non prometteva nulla di buono. La piscina è un impianto molto costoso, che non tutti i paesi hanno – nemmeno nella ricca Danimarca – tanto che era frequentata anche dai cittadini di paesi limitrofi.
Stavo per informarmi sulla sua relazione con l’impianto sportivo, magari era una frequentatrice anche lei, quando emette la sentenza: “Le dico io perché la gente non va più in piscina: i corsi sono troppo noiosi. È su quello che devono lavorare!”
Tra me e me penso che non ci avevo nemmeno pensato a questa ipotesi, penso che la signora si sbaglia, che non è noia… è meditazione, e che forse ero troppo coinvolta per provare a districare questo mistero. Avrebbero dovuto assegnare il caso a qualcun altro che non è innamorato del nuoto, ma era chiaro che non c’era qualcun altro. C’eravamo io e il mio doppio cromosoma.
“Avete cercato di capire perché gli iscritti della stagione scorsa non vengono più?”, chiedo, per continuare.
Ovviamente sì. Il dibattito in Comune si era acceso al tal punto che servivano dati. Un gruppo di volontari era stato incaricato di raccoglierli. Davanti alla prospettiva di incontrare finalmente le persone, la tentazione è stata chiedere, senza troppi giri di parole: “Perché non sei venuto/venuta più in piscina?”
La piscina era frequentata principalmente da ragazzi in età scolare, che la frequentavano dopo le lezioni. Le risposte avevano infiammato la mia signora sotto gli occhiali. Del tipo:
- Perché ho trovato un altro sport che mi piaceva
- Perché un mio amico ha cominciato a fare rugby e sono andata con lui
- Non so
- Perché avevo poco tempo perché ho cominciato a studiare musica
“Lo vede! La ragione è che fare nuoto è noioso! Non serve rifare la piscina, devono riprogettare l’insegnamento del nuoto!”
Convincente, penso, ma non abbastanza. Non sento ancora puzza di colpevole. Queste sono risposte vere, senza dubbio, cerco di spiegarle. Ma non parlano del problema. Il problema sta a monte di questi eventi. Nel fattore – ancora incognito – di insoddisfazione che ha portato l’utente nella condizione di considerare delle alternative, e quindi cambiare sport, seguire l’amico, valutare altri hobby. Da una stagione all’altra, così, improvvisamente. Come mai è successo adesso e non l’anno scorso? Hanno tutti scoperto il rugby?
“Non esistono altre piscine nel comune, vero?”. “No” risponde, “La più vicina è a Copenaghen, a 40 km da qui”.
La signora sotto gli occhiali solleva il mento, e il suo naso piccolissimo sembra ancora più piccolo. Sta pensando. Non le va che la sua versione dei fatti vacilli, per qualsivoglia ragione. Di fatto le interessa solo che il Comune non spenda soldi nella ristrutturazione. Decide di sfruttare il mio interesse per chiudere definitivamente il caso.
“Le posso portare una decina di persone, le va bene?”
“Chi? Dove?” faccio io, mi ha colto alla sprovvista.
“Dieci ragazzini che non vengono più in piscina, dieci testimoni. Le bastano?”
“OK, bastano, ma non tutti assieme, uno alla volta mi raccomando”.
Il giorno dopo aveva organizzato tutto. Dalle due alle otto di sera, nel salottino nella reception, sono sfilati dieci ex nuotatori adolescenti, e ho avuto modo di parlarci. A mio modo, si intende. I ragazzi avevano tutti cambiato sport, è vero, tranne uno che era riuscito a convincere la madre a portarlo in una piscina più distante. Ma avevano altre cose in comune. Frequentavano in modo regolare gli allenamenti fino a tre mesi prima (poche assenze), e ci andavano in bus, dopo la scuola. Non avevano mai avuto infortuni o disguidi causati dal fatto che la struttura avesse i suoi anni. Tutt’ora si muovevano in bus per raggiungere le nuove attività.
Ho fatto un paio di verifiche e la verità ha sorpreso tutti: la ragione per cui le iscrizioni erano calate drasticamente non aveva nulla a che fare né con l’obsolescenza della struttura, né con l’obsolescenza della didattica del nuoto.
La società dei trasporti locale aveva cambiato gli orari dei bus, e non collimavano più con quelli dei corsi. L’agenda di un adolescente è più compressa di quella di un amministratore delegato, tra compiti, sport, amici, e così i ragazzi e le loro famiglie si sono organizzati diversamente.
Il consiglio comunale ha rimandato la decisione di ristrutturare la piscina, e io mi sono regalata una gloriosa nuotata!