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Scalapay e l’innovazione patriottica: 3 domande che sorgono davanti a un nuovo unicorno

Ha senso parlare di unicorno italiano? Perché non si riescono a trattenere in Italia le startup ad alto potenziale? Chi ne trae vantaggio economico? Il founder di Scalapay, Simone Mancini, si sente un cittadino del mondo ma la questione è la destinazione finale del valore prodotto dall’innovazione

Pubblicato il 24 Feb 2022

Scalapay unicorno italiano?

Il successo di Scalapay, la startup che ha appena chiuso un round da 497 milioni di dollari, non può che rallegrare chi fa il tifo per la giovane imprenditoria innovativa, ma genera anche alcune riflessioni e domande. Domande ovviamente attinenti alla società che offre una soluzione di pagamento per acquistare subito e pagare dopo (il crescente fenomeno del Buy Now Pay Later), ma che, più in generale, possono aiutare a ragionare su meccanismi e dinamiche dell’intero ecosistema dell’innovazione italiano ed europeo.

Ha senso parlare di un unicorno italiano?

Molti hanno scritto, a cominciare da Sifted del Financial Times, che Scalapay è il primo unicorno italiano (ovvero una startup che raggiunge il miliardo di dollari di valutazione), perché il suo co-fondatore e CEO, Simone Mancini, è nato in Italia, e perché la società è operativa anche a Milano. Tuttavia la sede legale è a Dublino. Ma è innanzitutto la decantata ’”italianità” di Mancini a far lievemente sorridere. Perché lui è il primo a sentirsi e qualificarsi come cittadino del mondo, come ha raccontato a EconomyUp lo scorso settembre.

Originario di Empoli (Firenze), ha vissuto dai tre ai 30 anni in Australia perché i genitori, missionari laici della Chiesa cattolica, avevano risposto a una chiamata di Giovanni Paolo II per partecipare a un programma internazionale. In Australia, e più precisamente a Darwin, Mancini ha vissuto, studiato, stretto amicizie e rapporti di lavoro, fondato startup. Parla tuttora in fiorentino schietto perché quella è la lingua madre, ma si potrebbe definire più australiano che italiano visto che gran parte della sua  esistenza è stata condotta all’estero. “Ovunque vada mi sento a casa, in Italia o in Australia” assicura lui.

Il socio e co-fondatore di Scalapay, Johnny Mitresvki, è figlio di immigrati macedoni in Australia. Lo stesso Mancini racconta di aver scelto Milano come iniziale sede di Scalapay perché “capitale europea della moda”: la startup voleva mettere radici in questo fertile humus. Non certo per spirito di patria. Ha senso rivendicare l’italianità di qualcosa che è nata e si è sviluppata in un orizzonte molto più vasto e variegato del nostro piccolo Stivale?

Perché quasi mai non si riesce a trattenere in Italia una startup promettente?

Il problema semmai è questo: molte promettenti startup preferiscono stabilire la sede legale fuori dal territorio italiano. Scalapay non è certo la prima e non sarà l’ultima. “I nostri investitori sono in maggior parte basati nel Regno Unito e negli Stati Uniti, conoscono molto bene il diritto irlandese e molto poco quello italiano, perciò si sono sentiti più tranquilli a investire in una società irlandese” ha detto chiaramente Simone Mancini nell’intervista a EconomyUp rilasciata dopo il secondo round di finanziamento da 155 milioni di dollari.

È cosa nota ma spiace sempre ripeterlo: l’Italia non è un Paese amico dell’imprenditoria, a maggior ragione se giovane e innovativa. E anche per questo i grandi investitori non ci sono e non arrivano. “C’è uno spirito imprenditoriale molto forte in Italia, scopri persone con progetti fantastici, ma spesso manca il capitale. È un grande vantaggio poter raccogliere fondi all’estero per poi sviluppare l’attività in Italia e all’estero”, dice sempre Mancini. Per analoghi motivi Depop, applicazione per la compravendita di abiti usati co-fondata dall’italiano Simon Beckermann (il nome non deve ingannare, è nato e vissuto a Milano), aveva avviato l’attività in Italia, presso H-Farm, ma ha poi aperto la sede legale a Londra, per finire acquisita a giugno 2021 da Etsy, eCommerce di oggetti fatti a mano e vintage, per 1,6 miliardi di dollari. “Depop – ha scritto Alberto Onetti in un articolo dedicato ai ‘mancati’ unicorni italiani – è tecnicamente una dual company (…) Fondata in Italia, ha scalato (e raccolto capitali) fuori. Il modello è quello avviato da Funambol e Decisyon. Il fattore discriminante è che tutte hanno trovato le condizioni (e i finanziamenti) in un ecosistema diverso dall’Italia”. Chiediamoci perché.

Chi trae vantaggio economico da questo nuovo unicorno: Milano o Dublino?

Scalapay è operativa a Milano, dove ha i suoi dipendenti, più di 150, e crea lavoro. Ma, come già  ribadito, la sede legale è in Irlanda. Come accade sempre più spesso per molte compagnie digitali che, grazie alla loro natura globale, regolano il flusso dei ricavi secondo la convenienza fiscale.  La ricchezza generata da imprenditori e talenti italiani che avviano un nuovo, potente business innovativo resta sul territorio italiano o si trasferisce su altri territori, come quello irlandese? Al di là delle questioni di bandiera da attaccare a un unicorno, andiamo al sodo, pensiamo al valore generato dall’innovazione. Se patriottismo deve essere, lo sia in base ai numeri.

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Luciana Maci
Luciana Maci

Giornalista professionista dal 1999, scrivo di innovazione, economia digitale, digital transformation e di come sta cambiando il mondo con le nuove tecnologie. Sono dal 2013 in Digital360 Group, prima in CorCom, poi in EconomyUp. In passato ho partecipato al primo esperimento di giornalismo collaborativo online in Italia (Misna).

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