L’INTERVISTA

Salvo Molé racconta 10 anni di Direzione Innovazione nel Gruppo Hera: che cosa è cambiato



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Il principale risultato? La diffusione della cultura dell’innovazione all’interno dell’azienda, dice Salvo Molè, Direttore Centrale Innovazione del Gruppo Hera, un’area di 330 persone che comprende anche l’IT. Adesso il focus è sulla transizione digitale. In corso valutazioni per il lancio di un’attività di venture building

Pubblicato il 24 giu 2024



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Salvo Molè, Direttore Centrale Innovazione del Gruppo Hera

“Il principale risultato portato è intangibile, cioè la diffusione della cultura dell’innovazione all’interno del gruppo”. Salvo Molè sintetizza così i 10 della Divisione Innovazione del Gruppo Hera, multiutility da quasi 1,5 miliardi di fatturato e 10mila dipendenti, che guida dalla sua nascita.

Nella primavera 2014 è stata creata la direzione centrale di Gruppo dedicata all’innovazione, affidata a Salvo Molè, già in azienda come responsabile dei Settori Operativi. “Credo sia stata la prima in Italia con un ruolo così ampio e rotondo, alòmeno nel nostro settore, perché da subito comprendeva tutto l’IT”. 

Dieci anni dopo tante cose sono cambiate, dentro e fuori Hera. L’innovazione è diventata sempre più strategica e pragmatica. Come ci racconta Molè che in questa intervista fa una sorta di bilancio sui primi 10 anni di innovazione nella multiutility.

Molè, che cos’è cambiato?
Quando siamo partiti non si parlava di innovazione e progetti innovativi. Noi ne abbiamo fatti tanti, in molti casi siamo stati i primi e in alcuni ancora gli unici. Ma ciò che trovo davvero cambiato e più rilevante è la creazione di una cultura dell’innovazione diffusa, che ci fa cercare sempre qualcosa in più e ci porta ad andare sempre oltre, partendo dalla nostra idea di innovazione.

Che cos’è l’innovazione per voi?
Un’innovazione è un cambiamento. E deve essere significativo, quindi con una dimensione rilevante, e di successo. L’innovazione non è un POC, un progetto pilota, qualcosa che resta lì. Per noi è un caso che può essere portato in produzione e deve generare un impatto rilevante. Altrimenti non è un’innovazione, è solo una medaglietta da appuntarsi sulla giacca. 

D’accordo, allora ci dice qualcosa di significativo che è accaduto nel Gruppo Hera in questi 10 anni?
Due sono stati i fenomeni importanti in questo decennio. Il primo è stato il focus sulla produzione di energie rinnovabili, che è nato all’interno della Direzione Innovazione. Un anno e mezzo fa il nostro lavoro ha generato una business unit dedicata. Per me è stato motivo di orgoglio e di grandissima soddisfazione. Nel frattempo, la nostra Direzione ha lentamente ma progressivamente concentrato i propri sforzi sulla transizione digitale. 

Perché questo cambio di focus?
Per due motivi. Il primo: la digitalizzazione è uno strumento di una potenza enorme, forse il principale abilitatore dell’innovazione. Il secondo: nella Direzione Innovazione, ricordiamolo, è incluso anche l’ICT di tutto il Gruppo, che è alla base dello sviluppo e della crescita per tutti i business. 

Quanto è grande la Direzione Innovazione del Gruppo Hera? 
È formata da trecentotrenta persone. Trecento di queste si occupano dello sviluppo e della gestione dei sistemi e delle tecnologie, ma partecipano anche loro alla “produzione” di innovazione, generando idee che poi devono realizzare. Poi abbiamo un centro di competenza sui data analytics con una decina di persone, uno sulla cybersecurity di analoghe dimensioni e un terzo team che lavora sui nuovi trend e su l’open innovation.

Nel 2017 in un’intervista a EconomyUp diceva che il Gruppo Hera non poteva avere startup come fornitori e quindi “dobbiamo aggirare il problema in qualche modo”. È ancora così oggi o adesso riuscite a fare venture client? 
Non è più così. Ormai abbiamo un’attività di open innovation molto spinta. La nostra multiutility è un Gruppo presente in tanti business, tra cui servizi essenziali per i cittadini: dal servizio idrico integrato all’energia elettrica, dal gas alla gestione ambientale fino alle telecomunicazioni. Di conseguenza abbiamo un database di startup, al momento oltre le cento, che possono essere utili ai nostri business e questo database cresce continuamente. C’è un caso che mi piace ricordare: la nostra esperienza con Energy Way, startup di data analytics con cui abbiamo sottoscritto un accordo di esclusiva per il settore delle utilities. Anche grazie a noi questa azienda è diventata leader nell’ambito dei  data analytics e, capitalizzando anche questa esperienza, a inizio 2024 è stata acquisita da Accenture. E’ un motivo di soddisfazione aver contribuito alla crescita di altre aziende partner, anche perché siamo stati i primi a utilizzare quel tipo di know how. Per questo continuiamo a cogliere le opportunità offerte dalle startup, cercando quanto possibile di arrivare primi.

Come cercate le startup?
Abbiamo tre modalità. La prima: le cerchiamo noi con il nostro team di open innvoation. La seconda: si propongono loro. La terza: l’attivazione di broker. Ed è quest’ultima che ci sta dando maggiori soddisfazioni. Può capitare che a volte le tre modalità siano un po’ in sovrapposizione ma per ogni nostra richiesta riusciamo ad avere una mappa di startup per potenzialmente interessanti che selezioniamo e accogliamo nel nostro database. 

Con quali broker lavora adesso il Gruppo Hera?
Plug and play, Mind The Bridge e BTO Reserach

Per una grande realtà come il Gruppo Hera non deve essere semplice avere una startup come fornitore. Come affrontate il tema procurement? 
In passato avevamo due problemi. Il primo era quello del processo di qualificazione del fornitore, perché ne abbiamo uno molto articolato, e il secondo quello della modalità di ingaggio. Il processo di qualificazione è stato fortemente semplificato, soprattutto per le startup. Sulla modalità di ingaggio, abbiamo creato un canale dedicato per le startup, che non devono passare da confronti competitivi o gare con fornitori di dimensioni molto più rilevanti. Anche con l’aiuto del nostro ufficio legale ce l’abbiamo fatta. 

Sempre nella nostra intervista del 2017 confessava di avere un sogno: prevedere in tutte le gare una percentuale riservata alle startup, a parità di condizioni. È riuscito a realizzarlo? 
Non ancora. Resta un sogno, forse un po’ complicato, soprattutto perché molto spesso i nostri affidamenti riguardano volumi importanti, di solito divisi fra diversi fornitori, anche per ragioni di maggiore garanzia di continuità operativa. Quindi riservare una piccola fetta per le startup non è semplice e appesantisce parecchio la gestione. Però questo non significa che non ci sforziamo al massimo per dare opportunità alle startup di lavorare con noi.

Com’è organizzato il lavoro con le startup? Come vengono gestiti i progetti? 
Per ogni business abbiamo identificato almeno un paio di sfide, problemi per i quali non riusciamo ancora a trovare una soluzione interna e abbiamo deciso di affidarci a startup in gran parte già identificate. In alcuni casi siamo già in fase di sperimentazione. Per esempio, per la ricerca perdite di acqua, stiamo lavorando per l’implementazione di una tecnologia di Enivibes, una startup lanciata da ENI che utilizza algoritmi in grado di riconoscere ed analizzare le vibrazioni sulle tubazioni.

Questa soluzione è stata utilizzato da ENI prevalentemente per il petrolio e adesso la startup sta personalizzando gli algoritmi per le nostre esigenze di rete. Io continuo a dire che abbiamo ancora enormi opportunità nell’importare   tecnologie da altri settori. Si cerca sempre l’invenzione, ma in realtà spesso ottimi risultati si ottengono riuscendo ad adattare una tecnologia già esistente.

Quindici business, due sfide per ciascuno: significa lavorare su  problemi che diventano progetti. Un lavoro enorme! 
Sì, perché cominciamo l’interlocuzione con più di trenta startup per poi poter arrivare alle effettive realizzazioni. Un lavoro enorme e infatti nel 2023 abbiamo dovuto creare un team dedicato alla gestione dell’open innovation, che supporta i business in questa attività di innovazione, perché un’azienda multibusiness come la nostra ha bisogno di un centro di coordinamento.  

Corporate venture capitale e venture builder. Avete qualche programma o progetto?
Stiamo valutando un’attività di venture builder. Un’ipotesi potrebbe essere legata a un nostro contatore gas molto innovativo. Potremmo valutare se farlo diventare una nuova linea di business, dando forma a un progetto considerato un’eccellenza a livello internazionale.

Per quanto riguarda il Corporate Venture Capital, le iniziative che ci hanno proposto sono sempre state caratterizzate da un nostro livello decisionale molto limitato.Inoltre, non è un ambito su cui al momento intendiamo focalizzarci. Questo non toglie che, se dovesse emergere un’opportunità in una startup veramente interessante, potremmo decidere di fare un investimento mirato.

Diceva che adesso il vostro focus è sulla transizione digitale. Con quali priorità e strategia? 
La nostra strategia sulla transizione digitale si poggia su tre pilastri. Il primo è quello delle piattaforme. Dobbiamo avere piattaforme informatiche moderne, flessibili e con possibilità di evoluzione gestibili direttamente dagli utenti. Per esempio, stiamo per rilasciare la nuova piattaforma unica di CRM per la gestione dei clienti in tutti i settori che gestiamo. Il secondo pilastro è quello delle competenze, che possono essere interne o ottenibili grazie a partner specializzati e competenti per ogni singolo ambito.

E il terzo pilastro? 
Cultura aziendale e persone. Essendo un Gruppo molto grande è inevitabile che ci siano livelli diversi di adozione delle tecnologie digitali all’interno della popolazione aziendale di circa 10.000 persone. L’obiettivo è quello di creare una cultura inclusiva, che supporti i più veloci senza lasciare indietro nessuno. E dobbiamo farlo su tutti i business, cosa che rappresenta un ulteriore elemento di complessità.

Chiudiamo sull’intelligenza artificiale. Tutti ne parlano, soprattutto della generativa, ma le applicazioni sono ancora scarse. Qual è l’approccio del Gruppo Hera su questo tema? 
Mi piace molto una frase che ho letto: bella l’intelligenza artificiale, ma prima devi mettere a posto dati e processi. Noi utilizziamo da tempo algoritmi di machine learning: siamo partiti da dati e processi, applicando una metodologia denominata data mesh (un’architettura di dati decentralizzata che organizza i dati in base a uno specifico dominio di business, ndr.).

Quindi abbiamo realizzato i cosiddetti data product di dominio, ambiti con dati che vengono tenuti aggiornati automaticamente. Quando sviluppi un  sistema, quei dati automaticamente vengono tenuti aggiornati. È stato faticosissimo e non abbiamo ancora completato il lavoro per tutti i business.

E l’intelligenza artificiale generativa? 
La generativa ha una potenzialità enorme soprattutto sulla produttività del singolo e dei team. E con questo obiettivo la stiamo testando: oggi abbiamo abilitato 450 persone all’utilizzo del sistema Copilot di Microsoft e ne monitoriamo costantemente l’utilizzo e l’adozione. Per altri sviluppi abbiamo individuato tre grandi ambiti, che chiamiamo famiglie: l’analisi documentale, lo smart field assistant, quindi il supporto alle attività sul campo degli operativi,  e i sistemi di smart search sui siti web.

Così facendo, possiamo fare contemporaneamente più sviluppi per ogni ambito, perché c’è una base comune su progettualità diverse: ad esempio, sono in corso 5 sviluppi sull’analisi documentale, che possono servire nell’analisi dei contratti della funzione acquisti così come nell’analisi della normativa. Un altro sviluppo riguarda gli investitori, che potranno ottenere informazioni dettagliate in forma discorsiva partendo dai nostri bilanci di sostenibilità e civilistico. In produzione abbiamo già la GenAI a supporto degli operatori di customer care, così da ridurre la durata delle chiamate dei clienti aumentando non solo la produttività, ma anche la soddisfazione dei clienti stessi. 

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