“Per rendere le piccole e medie imprese italiane sempre più digitali, e quindi più competitive, bisogna puntare sulla formazione, soprattutto quella destinata ai dipendenti alle prese con tecnologie e contesti economici in continuo e rapido cambiamento. Si possono avere tutte le tecnologie giuste, ma se non si hanno gli uomini giusti non si va da nessuna parte”. A dirlo è Rossano Ziveri, Chief Operating Officer di impresoft, azienda di software nata solo l’anno scorso ma creata da manager con decenni di esperienza nel settore. Ziveri, 17 anni di Microsoft alle spalle in ruoli dirigenziali a livello locale e internazionale, è convinto: “L’innovazione passa dalla formazione del capitale umano, perciò governo e amministrazioni pubbliche dovrebbero attivare maggiori investimenti sulle attività formative”. Di questo ed altri temi relativi al cambiamento delle aziende con la trasformazione digitale, EconomyUp ha parlato con il COO di impresoft. Ma vediamo innanzitutto come nasce e cosa fa questa realtà imprenditoriale italiana.
CHE COSA FA IMPRESOFT
Impresoft è un’azienda nata da poco ma radicata nel passato. Fondata nel 2018 a Forlì-Cesena, vuole diventare partner per la crescita digitale delle imprese fornendo una molteplicità di soluzioni che spaziano dai software gestionali (ERP) al CRM e integrando nella propria offerta anche soluzioni legate a Business Intelligence, GDPR e Impresa 4.0. Impresoft (il cui nome deriva dall’unione delle parole impresa e software) nasce da una aggregazione di eccellenze voluta da Antonello Morina, lo storico fondatore di ESA Software e oggi presidente e amministratore delegato della nuova società. Dalle basi gettate dalle 5 aziende del passato – Harvard Group, Harvard Service, Mayking, Siseco e Business Brain – si è concretizzato il nuovo progetto che ha già raccolto oltre 1300 clienti. Nel 2018 impresoft ha registrato un fatturato di circa 10 milioni di euro e prevede una forte crescita nel 2019. “Le tecnologie sono importanti, ma la leva sono gli uomini” dice il COO Rossano Ziveri.
Cosa devono fare le piccole e medie imprese italiane per crescere?
Le grandi sfide sono innovazione e trasformazione digitale, entrambe leve essenziali per vincere la gara della produttività, che purtroppo in Italia cresce a ritmi minori rispetto ad altri Paesi d’Europa.
In quali aree è più necessario innovare?
Ormai tutte le aree delle aziende sono toccate dal digitale: il digital marketing, le vendite, gli acquisti online (penso alle aste di Consip), la gestione della produzione con soluzioni di manufacturing and execution system, l’integrazione con i clienti, lo storytelling, i sistemi di CRM. Guardiamo ai siti aziendali: prima erano una vetrina statica, oggi rappresentano un sistema di interazione con il cliente. Da un criterio push si è passati a un criterio pull: è il cliente che si attiva e si informa su Internet, e quando individua l’azienda che fa al caso suo interagisce con essa online.
Quali tecnologie servono per migliorare l’approccio alla digitalizzazione delle pmi?
Internet of Things, intelligenza artificiale e cloud. Fondamentale l’attivazione di una infrastruttura di comunicazione digitale che possa abilitare il giusto livello di collaborazione tra persone, la condivisione dei meeting e dei calendari, una comunicazione più rapida, per esempio tramite Voice Over IP o chat. L’internet delle cose, che rende intelligenti macchine e dispositivi, genera potenzialmente enormi volumi di dati che poi devono essere analizzati con gli algoritmi di machine learning sottostanti i sistemi di intelligenza artificiale. Ovviamente è essenziale il cloud sia per i sistemi di collaborazione che per gestire la potenza di calcolo occorrente per i sistemi di intelligenza artificiale. In genere, oggi, il potenziale di cambiamento per le aziende è davvero enorme. La vera sfida è capirlo, innovare i processi, renderli più lean, investire nella competitività futura.
Impresoft nasce come pmi innovativa. In quale modo sta portando innovazione alle altre pmi?
Abbiamo deciso di portare innovazione nei sistemi core delle piccole e medie imprese, ovvero i sistemi ERP basati sul cloud, i software di gestione in grado di integrare tutti i processi operazionali rilevanti. Mentre il controllo di gestione tradizionale guarda alle informazioni del passato e fotografa quello che è accaduto, noi proponiamo una soluzione che ovviamente analizza il passato, ma cerca anche di evidenziare l’impatto economico e finanziario di eventuali eventi straordinari (es. fermo macchine in produzione, ritardi nella consegna da parte di un fornitore, ecc.). L’obiettivo finale è aiutare gli imprenditori a definire un piano per correggere l’impatto degli eventi straordinari e monitorare nel tempo il piano stesso. Partiamo dal punto di vista dell’imprenditore e cerchiamo di offrirgli una soluzione personalizzata.
Quali altri servizi per digitalizzare le pmi?
Molte piccole e medie imprese non hanno presente il tema del posto di lavoro digitale: ormai il nostro ufficio è diventato il pc, il tablet o lo smartphone, e ci segue ovunque andiamo. Per questo ci sono i sistemi di collaborazione e condivisione, importantissimi soprattutto per organizzazioni disperse geograficamente, dove sono necessari vari livelli di interazione e comunicazione via voce e via video. Da un lato se ne possono ricavare benefici economici (molti viaggi possono essere sostituiti dalle conference call), dall’altro le persone si sentono più vicine, la distanza è solo un click. È un universo sul quale costruire le fondamenta della digitalizzazione delle pmi, la digitalizzazione inizia dalle attività più semplici e quotidiane!
A supporto di tutto questo ci sono le infrastrutture cloud. In che modo accelerano l’innovazione?
Rendono elastica la richiesta di infrastrutture. Consentono di trasformare le operazioni di spese di capitale, il flusso di cassa impiegato per acquistare e mantenere le immobilizzazioni operative, in spese operative, concentrando l’azienda nel proprio core business e permettendo di rendere flessibile l’infrastruttura. Se voglio aprire un nuovo ufficio in Germania lo posso fare in poche ore perché devo solo attivare un servizio. Tanti servizi possono essere collocati nel cloud, alcuni dei workload lo sono già basti pensare a Office 365 di Microsoft, ai servizi di storage nel cloud, ai servizi di backup, ecc. A questi si possono aggiungere servizi di IoT, machine learning ecc. In tal caso servono app dedicate e una forte specializzazione degli addetti. Serve, ad esempio, qualcuno che istruisca il sistema di AI.
E la Blockchain?
È un aspetto tecnologico da guardare con attenzione. È molto promettente, ma ancora in fase sperimentale e in divenire. Nei prossimi 5 anni si vedranno app solide e importanti, in particolare nel mondo dei servizi finanziari.
Le nostre pmi riescono a tenere il passo con la digitalizzazione?
L’azienda vive all’interno di un ecosistema, perciò ha bisogno di supporto pubblico, di infrastrutture esterne adeguate, di reti, di fibra. La formazione è il pivot di questo cambiamento. La mancanza di competenze, o meglio la difficoltà nell’inserimento delle giuste competenze in azienda, è un tema critico per le nostre pmi. Tuttavia negli ultimi 2 o 3 anni le piccole e medie imprese hanno vissuto un momento di forte interesse per la digitalizzazione. In parte è dovuto al piano Industria 4.0, ideato e promulgato dal precedente governo: la visione e gli incentivi previsti dal piano hanno impresso una spinta alla crescita. Dopodiché tutti si sono mossi a contorno: le organizzazioni industriali, le multinazionali, i Comuni…E il trend si è messo in moto. Ad attivarsi più velocemente sono state le aziende con età media più bassa, come le startup, mentre c’è maggiore lentezza da parte delle imprese che sono già da tempo sul mercato. Manca per esempio la capacità di rinnovare le skill per le persone da più tempo in azienda e di introdurre le nuove figure professionali digitali che stanno emergendo.
Cosa possono fare le piccole imprese per affinare le competenze?
Le multinazionali tendono a immettere sul mercato varie competenze. Alcune possono essere di valore per le pmi. Lavorare in una multinazionale significa aver vissuto la digital transformation. Le skill che provengono da queste aziende possono aiutare piccole e medie imprese ad evolvere. Ma prima le imprese devono capire che, come dice Satya Nadella, CEO di Microsoft, every company is a software company, ogni azienda è un’azienda di software.
Anche una società meccanica o chimica?
Certo. Una volta è stato chiesto al dirigente di un’azienda meccanica che fornisce macchine per l’industria alimentare a quali scopi utilizza l’Internet of Things. Avrebbe potuto rispondere “per la manutenzione predittiva”. Invece ha detto: io vado dai clienti e mentre gli altri propongono la macchina in modalità tradizionale, io vendo al cliente una linea di produzione con un uptime del 99,9%. Gli vendo un servizio. Ho cambiato il business model della mia azienda. La verità è che ormai siamo diventati tutti gestori di società di servizi, anche quelli che non lo sanno o non l’hanno ancora capito. A maggior ragione è necessario un investimento sulle persone. L’amministrazione pubblica potrebbe contribuire con corsi di formazione e attività a supporto.
In che modo?
Esistono fondi destinati alla formazione nelle aziende, ma sono programmi limitati. La dimensione del cambiamento è epocale e necessiterebbe di un investimento nettamente superiore. I giovani, anche per via della consumerizzazione delle tecnologie, hanno già competenze digitali: non saranno specialistiche, ma la loro cultura digitale media è buona. Servono risorse soprattutto per il reskilling dei nativi non digitali. È un mondo fluido, la formazione deve essere qualcosa di continuativo, dato che i cambiamenti delle tecnologie e del contesto economico sono continui. Bisogna fare in modo che le aziende fruiscano di formazione continua utilizzando professionisti e associazioni.
Il piano Industria 4.0 del precedente governo, poi diventato Impresa 4.0, ha previsto incentivi per la digitalizzazione delle aziende. Strategia giusta?
Direi proprio di sì. Occorre un circuito esterno alle aziende, con un intervento anche della mano pubblica, che consenta di farle investire più di quanto vogliano o possano investire. Noi, offrendo sistemi software per le macchine di produzione, cavalchiamo l’Industria 4.0. Abbiamo anche un prodotto-servizio online attraverso il quale le aziende dell’Industria 4.0, dopo essersi profilate, possono identificare i sistemi di finanziamento più adatti per loro, una sorta di consulente online. Il piano Calenda è un eccellente esempio di mano pubblica che interviene e supporta le aziende. È stato molto concentrato sulla parte delle spese di capitale, mi piacerebbe vedere qualcosa di più sulla formazione delle persone.
Il piano Impresa 4.0 del governo Conte prevede un voucher innovation manager, un bonus alle aziende per assumere un consulente di innovazione. Cosa ne pensa?
Può darsi che funzioni, ma ritengo sia più utile formare quanta più gente possibile in azienda. Se non fai così, poi finisce che uno strumento viene usato solo da 10 persone. Bisogna invece fare in modo che il consumo dei sistemi sia il più vasto possibile.
Quanto è ancora lungo il cammino verso la piena digitalizzazione delle pmi italiane?
A livello generale il principio sembra acquisito, ma la difficoltà è disseminare la cultura all’interno dell’organizzazione. La sfida è culturale. Le tecnologie sono importanti, ma la leva sono gli uomini. Se diventiamo tutti aziende di servizi, e le aziende di servizi sono formate da uomini, è normale che sia così. Si tratta di inventarsi modelli di business e investire sulle persone. Si possono avere tutte le tecnologie del mondo, ma senza gli uomini giusti non si va molto avanti.