Il ciclista che osserva in tempo reale le sue prestazioni in allenamento grazie alle informazioni che gli arrivano sugli smart glasses, il velista che calcola come le correnti o i venti possono impattare sulla sua imbarcazione, il pugile che prevede quanti e quali pugni deve sferrare in ogni singolo round per avere una maggiore probabilità di vittoria. Per i Giochi di Rio 2016, non c’è atleta che non si sia fatto aiutare dalle tecnologie wearable e dalle analisi dei big data per migliorare le proprie performance e stabilire meglio come gestire le gare. E confrontando quest’edizione con le passate, le Olimpiadi in Brasile si stanno dimostrando come quelle più hi tech di sempre.
Qualche esempio? Nel ciclismo, che è sempre stato uno sport molto attento agli sviluppi tecnologici dal momento che le biciclette sono un concentrato di innovazioni, ora il focus non è più sul mezzo ma sui dati degli atleti. E la tecnologia più utilizzata è quella indossabile. Un caso è la squadra americana di ciclismo su pista. Il team ha utilizzato moltissimo, durante il periodo di preparazione per i Giochi, degli occhiali smart sviluppati dall’azienda Solos che fossero in grado di calcolare la potenza sviluppata dai ciclisti, la velocità, la qualità della pedalata in base al rapporto utilizzato e centinaia di altre statistiche trasmesse wireless ai glasses attraverso una piattaforma cloud di ultima generazione. Avendo questi feedback, i concorrenti potevano migliorare la performance già in corsa, senza passare ore a leggere statistiche e rivedere filmati nei giorni successivi. Chissà cosa sarebbe successo se queste tecnologie fossero state permesse anche in gara e non solo durante l’allenamento.
Nella boxe, che in quest’edizione dei Giochi non ha regalato soddisfazioni ai colori azzurri, il ricorso ai dati è impressionante. Anche se a prima vista si tratta di uno sport che per tradizione e caratteristiche poco si sposa con le innovazioni, è una delle discipline su cui più si concentrano gli sforzi di ricercatori e startupper. Per esempio, la squadra inglese di pugilato ha utilizzato iBoxer, un software sviluppato in collaborazione con la Sheffield Hallam University che permette di analizzare il modo di combattere dettagliate, punti deboli e punti di forza dei boxeur. In questo modo si può mettere a punto una tattica più efficace per gli incontri.
Ad aiutare i boxeur americani, invece, è il sensore inventato da Hykso, startup co-fondata da Tommy Duquette, un ex puglie che a Londra2012 è stato sconfitto nonostante stesse conducendo ai punti i primi due round del suo ultimo incontro: alla fine il giudice ha premiato per pochissimo la performance del suo avversario. A quel punto, Duquette si è chiesto: se è bastato così poco per determinare la mia eliminazione non è il caso di sviluppare una tecnologia che suggerisce come evitare piccoli errori? Così ha creato questo sensore che calcula numero, tipologia e velocità dei pugni sferrati e può monitorare tutti i dati degli allenamenti sottolineando anche i miglioramenti impercettibili e indicando raffinati standard oltre i quali è più probabile ottenere la vittoria in un match di pugilato.
Prendiamo un terzo sport che nelle ultime edizioni ha visto trionfare anche atleti italiani: la vela. Il team tedesco, dopo il flop di Sydney2000, ha stretto una partnership con la società di software Sap per sviluppare una tecnologia che desse ai velisti la possibilità di allenarsi utilizzando modelli virtuali basati su dati e analisi di condizioni ambientali e atmosferiche (correnti, vento…) modificate di continuo e a sorpresa. Per mettere a punto il modello per i Giochi sono state effettuate oltre 3000 misurazioni delle correnti della Baia di Guanabara, il tratto di oceano su cui si sfidano gli atleti ai Giochi. Il problema è: ci si può fidare di suggerimenti così dettagliati? In un caso, ai mondiali in Spagna del 2014, il velista tedesco Philipp Buhl aveva a disposizione il modello sviluppato da Sap, ma il suo allenatore gli ha chiesto di non seguirlo. Risultato? Buhl è andato in un’altra direzione e ha perso.