POLITICA ECONOMICA

Recovery Fund fase 2, più risorse per l’innovazione ma ora serve un piano

Ora bisogna correre, ha detto il premier Conte dopo aver gioito per l’approvazione del Fondo europeo da 750 miliardi di euro. Entro metà ottobre l’Italia deve preparare un piano da 200 e passa miliardi a 5 anni. Innovazione e digitale avranno parte importante. Politica e burocrazia hanno le capacità per questa nuova sfida?

Pubblicato il 22 Lug 2020

#RecoveryFund, il murales di Maupal a Roma

Recovery Fund, fase 2. Con l’approvazione di un fondo europeo da 750 miliardi per fronteggiare la crisi generata dalla pandemia da coronavirus arriveranno in Italia nuove, importanti risorse per l’innovazione e la digitalizzazione del Paese. Sarà quindi decisiva la strategia e le modalità con cui i soldi saranno investiti per far si che questa sia un’occasione unica di costruire un futuro migliore per l’Italia.

Nella notte fra lunedì e martedì, a pochi passi dal Parlamento e da Palazzo Chigi, è comparso un murales di Maupal (nome d’arte di Mauro Pallotta) titolato #RecoveryFund – Tulipano Triste: Cappuccetto rosso corre su un monopattino con uno zaino sulle spalle, lasciandosi dietro un lupo mansueto e con un tulipano in bocca (lo vedete nella foto in alto). I riferimenti sono evidenti: l’Italia è riuscita a sfuggire al lupo cattivo che questa volta arrivava dal Nord (il premier olandese Rutte), ma adesso ha un bel fardello sulle spalle e può portarlo avanti solo se procede leggera e agile, senza burocrazia e con la contemporaneità di un monopattino.

Recovery Fund, 209 miliardi per l’Italia

Dopo una lunga trattativa i leader europei hanno trovato l’accordo sul Recovery Fund (750 miliardi, di cui 390 in sussidi). All’Italia ne è destinata una parte rilevante: poco più di 20o miliardi (si stima che saranno 209). “Una giornata storica”, ha detto dopo l’ultima notte di confronti con i leader europei, martedì 21 luglio il presidente del Consiglio che, però, ha anche aggiunto “Ora dobbiamo correre”. È vero che i soldi non arriveranno subito, che l’orizzonte temporale è di 5 anni (anche se potrebbero esserci già 30 miliardi per la manovra 2021) ma è altrettanto vero che bisogna muoversi subito per presentare i piani dettagliati necessari per ottenerli.

Recovery Fund, le fasi dopo l’approvazione

Entro metà ottobre Bruxelles attende il piano dettagliato con i singoli progetti finanziati con il Recovery Fund: studi di fattibilità, costi, tempi di esecuzione. Un lavoro enorme se si tiene conto della quantità di danaro da impegnare. Dovrebbe farlo una task force della Presidenza del Consiglio che non seguirà per il modello Colao. Scrive il Corriere della Sera: “Si tratterà di un normale gruppo di lavoro coordinato dall’ufficio del consigliere economico del Presidente del Consiglio, verrà insediato nei prossimi giorni, avrà il compito di tradurre in progetti concreti il lavoro fatto durante gli Stati Generali che si sono svolti a Villa Doria Pamphilj”.

Da metà ottobre la Commissione Europea avrà due mesi di tempo per valutare i piani presentati.

Infine la parola tornerà al Consiglio Ue, dove non sarà necessaria l’unanimità per l’approvazione, come aveva chiesto l’Olanda. dovrà provare all’unanimità come chiedeva l’Olanda.

Nuove risorse per l’innovazione e la digitalizzazione dell’Italia

Quindi si parte dai buoni propositi degli Stati Generali di metà giugno, quando a Villa Doria Pamphilij si ebbe la rappresentazione plastica della conversione/sovrapposizione dell’ormai dimenticato Piano Colao e del programma di Governo “Progettare il rilancio”. La costituenda task force “interna” di Palazzo Chigi dovrà adesso scegliere il meglio e il possibile da realizzare con le risorse straordinarie dell’Unione Europea. Non sarà facile.

Piano Colao: tutte le proposte per innovazione e startup (il testo completo)

Qui Carlo Mochi Sismondi ha messo a confronto il Piano Colao con “Progettare il rilancio”. Le conclusioni del presidente di FPA calzano a pennello anche dopo il Recovery Fund: il piano del Governo dovrà tenere conto delle proposte della Commissione Colao ma soprattutto dovrà prevedere “politiche di ampio respiro che richiedono una coerenza politica di fondo e una grande tenacia. Se un sistema produttivo come quello italiano, che pure vanta gloriose tradizioni, nei decenni passati ha accumulato importanti ritardi nell’innovazione, pur con le dovute eccellenti eccezioni, non possiamo sperare che questo stato di cose possa essere ribaltato in pochi mesi. Si tratta di politiche che devono vedere risultati anche immediati, ma che hanno bisogno per cambiare effettivamente le cose, di un periodo di qualche anno che non può avere sul collo la spada di Damocle di stop and go derivati da cambi di Governo. Perché innovare le nostre imprese e con esse il lavoro non è un obiettivo di destra o di sinistra, ma un obbligo politico e morale verso i nostri figli”.

Adesso diventa un obbligo politico anche nei confronti dell’Unione Europea. Riuscirà la task force a redigere in 3 mesi un piano a 5 anni da 209 miliardi? Subito dopo la soddisfazione, c’è un po’ di scetticismo sulla capacità della burocrazia e della politica italiana di avere una visione del genere. Se siamo sempre in coda al DESI (indice di digitalizzazione dei Paesi europei), è proprio per l’inesistenza o instabilità di una politica economica sull’innovazione e il digitale. Proprio la coscienza dei limiti degli apparati ministeriali e dei tempi stretti, potrebbero spingere Palazzo Chigi o il ministero dell’Economia, scrive sempre il Corriere della Sera, a chiedere aiuto a società di consulenza esterna, “colmando quel gap di programmazione che nella nostra Publica Amministrazione è stato sempre presente”. (g.io.)

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