La storia dell’innovazione è costellata, come del resto tutte le storie, di fallimenti. Ce ne sono però alcuni che hanno fatto più rumore di altri. Un esempio? I Google Glass, lanciati in pompa magna circa 8 anni fa, ammirati, dibattuti, criticati, copiati. E poi miseramente falliti, almeno nella loro missione iniziale: quella di convincere le persone a indossare nella vita di tutti i giorni occhiali in grado di farle interagire in modo virtuale con la realtà circostante. Ma la storia dell’innovazione insegna anche che, proprio grazie ai fallimenti, si può arrivare al successo. E il successo, a questo giro, potrebbe chiamarsi Ray-Ban Stories.
Ray-Ban e Facebook in questi giorni hanno presentato Ray-Ban Stories, definiti “gli smart glasses di ultima generazione”. L’interesse suscitato è stato enorme, moltissime le domande, i dubbi, le riflessioni. A una prima occhiata sembra proprio che stavolta il prodotto possa sfondare. Le ragioni? Praticità, vestibilità, semplicità, costo tutto sommato contenuto in cambio delle funzionalità che offre. Nascono però dubbi sulla privacy, gli stessi che avevano in parte contribuito ad affossare l’esperimento Google. Sarà la volta buona? Facebook è finalmente riuscita a trovare il perfetto equilibrio tra innovazione, design, utilità e desiderabilità, laddove Google non c’era riuscita? Vediamo di ripercorrere la strada che porta oggi ai Ray-Ban Stories. Partendo da come è fatto l’innovativo prodotto.
Ray-Ban Stories: come funzionano gli smart glass di Facebook
Gli smart glasses di Facebook offrono la possibilità di catturare foto e video, condividere esperienze, ascoltare musica o rispondere alle telefonate attraverso i propri occhiali. Commercializzati a partire da 329 euro e disponibili in 20 diversi stili, gli smart glasses sono disponibili per l’acquisto online e in negozi selezionati in Italia, oltre che negli Stati Uniti, in Australia, Canada, Irlanda e Regno Unito.
La doppia fotocamera integrata da 5MP dei Ray-Ban Stories permette di scattare foto e video fino a 30 secondi utilizzando il pulsante di acquisizione o automaticamente con i comandi vocali di Facebook Assistant. La spia del LED di acquisizione si illumina per avvisare le persone intorno che si sta scattando una foto o un video. Con auricolari open-ear e tre microfoni incorporati, i Ray-Ban Stories riproducono suoni e voce in alta qualità durante le telefonate e i video. La tecnologia Beamforming e un algoritmo di riduzione del rumore di fondo garantiscono un’esperienza di chiamata più efficace.
Scene che abbiamo già visto in film e serie tv distopiche o dedicate al mondo della fantascienza. Volevano essere “fantascientifici”, e allo stesso tempo anche molto contemporanei, gli antenati dei Ray-Ban Stories, i Google Glass. Cosa è andato storto?
2012: i Google Glass
Nati all’interno del Project Glass, progetto nato per applicare la Augmented Reality agli occhiali, e voluti fortemente dal co-founder Sergey Brin, le prime immagini del prototipo definitivo dei visori a realtà aumentata di Google risalgono al 2012: il 5 aprile di quell’anno Brin compare in alcune foto indossandoli.
Il prodotto (Google Glass Explorer Edition) viene reso disponibile per gli sviluppatori nel 2013 al costo di 1500 dollari. Successivamente viene venduto al pubblico negli Usa, per un numero limitato di pezzi, e in seguito in Gran Bretagna.
Vengono usati per la prima volta dalla World Wrestling Entertainment, azienda americana che si occupa di intrattenimento, nell’ambito di Summerslam, un evento in pay-per-view.
All’inizio del 2014 Google rende noto che gli occhiali Google Glass verranno prodotti da Luxottica. Ad agosto di quell’anno Google deposita un nuovo brevetto che va a modificare il design dei Google Glass. La versione prototipo aveva un archetto standard installato come montatura, con la possibilità di essere agganciato su diverse montature di occhiali.
Cosa non ha funzionato nei Google Glass: prezzo e privacy
Complice il prezzo troppo elevato e i problemi legati alla privacy, la comunità di sviluppatori-esploratori stenta a decollare. Sembrano inutili i tentativi di Google di rianimare il progetto con nuovi sviluppi e funzionalità.
A gennaio 2015 Google decide di sospendere la vendita dei suoi occhiali hi-tech e trasferire il progetto dal laboratorio di ricerca Google X, che ci lavorava da prima del debutto ufficiale nel 2012, a un’unità a parte sotto la guida di Tony Fadell, uno dei padri dell’iPod di Apple.
Eric Schmidt, presidente di Google, assicura: “I Google Glass non sono morti”. Ma la maggioranza degli osservatori concorda sul fatto che l’azienda è al bivio tra la strada consumer e quella enterprise. I Google Glass sembrano infatti più adatti all’utilizzo nei cantieri, nelle sale operatorie o in altri luoghi di lavoro dove la tecnologia può contribuire alla riuscita di un progetto o di un’operazione.
In due anni il device è stato poco apprezzato per il design (si è discusso a lungo se fosse da considerare “anti-estetico”), criticato da più parti come minaccia alla privacy e abbandonato da molti dei primi entusiasti che lo avevano adottato.
Alla fine si opta per la strada enterprise: nel 2017 viene lanciato sul mercato il prodotto per fini industriali al prezzo di 1.550 €. Rientra nel programma “Glass at Work”.
La risposta cinese agli smart glass: desaparecida?
Nel 2015, al CES Asia, grande fiera dell’elettronica asiatica, sale alla ribalta mediatica un nuovo prodotto, Cool Glass One, presentato dall’azienda cinese Beijing Palo Alto Tech. Il prodotto sembra in tutto e per tutto simile agli occhiali hi-tech sui quali sono al lavoro da tempo gli esperti di BigG.
Cool Glass One ha un touchpad su un lato, che consente agli utenti di controllare il dispositivo, e possiede anche una telecamera in grado di scattare foto e girare video. Il device può essere connesso solo a cellulari che usano il sistema Android. La particolarità sta (anche) nel prezzo di vendita al dettaglio, previsto tra i 330 e 500 dollari. Si annuncia la commercializzazione a partire da agosto 2015. Che fine ha fatto? Il prodotto (e la società) sembrano spariti dalla Rete.
Gli emuli italiani dei Google Glass: la vendita nel 2021
Alla loro apparizione sulla scena dell’innovazione tecnologica, i Google Glass non hanno mancato di attirare emuli e concorrenti. Nel 2013 un team di italiani sostiene di aver lavorato allo sviluppo di smart glasses da prima di Google. Ne scaturisce addirittura una lite con la multinazionale dell’innovazione, che vuole imporre alla piccola società italiana di cambiare nome. GlassUp, così si chiama, non getta la spugna. La realtà costituita da Francesco Giartosio con Gianluigi Tregnaghi e Andrea Tellatin, dedica i primi anni allo sviluppo di occhiali AR consumer, per poi concentrarsi su occhiali AR industriali per il supporto remoto, la diagnostica e la manutenzione. Nel 2016 è ancora alla ricerca di finanziamenti sulle piattaforme di crowdfunding. Il suo percorso si conclude quest’anno: la tecnologia viene acquistata da VHA, un membro del Gruppo Burke Porter, con la sede centrale della progettazione in Belgio.
Perché i Ray Ban potrebbero diventare i primi smart glass per tutti
Il design
EssilorLuxottica, la società madre di Ray-Ban, e Facebook hanno lavorato insieme nell’ideazione del design finale per integrare perfettamente la tecnologia intelligente in un design iconico. E l’aspetto estetico è uno degli elementi determinanti per la riuscita dell’operazione.
Il prezzo
A partire da 329 euro per le montature Wayfarer, i Ray-Ban Stories sono ora disponibili nei negozi Ray-Ban e su Ray-Ban.com, oltre che presso altri rivenditori in 6 paesi tra cui USA, UK, Canada, Italia, Irlanda e Australia. Sono disponibili anche con lenti polarizzate (a partire da 359 euro), fotocromatiche (409 euro) e da vista (prezzi variabili). Prezzi tutto sommato non esorbitanti per la clientela consumer.
Le funzionalità
–Instant Camera Capture: foto e video istantanei (fino a 30 secondi)
–Audio incorporato: bluetooth integrato e un sistema audio a 3 microfoni
–Facebook Assistant: consente di usare la frase “Hey Facebook” per scattare video e foto senza dover utilizzare le mani.
–App Facebook View: modifica e migliora i ricordi quotidiani catturati su Ray-Ban Stories utilizzando l’app integrativa Facebook View (iOS e Android) e consente di condividerli con familiari e amici, o su Facebook, Instagram, WhatsApp, Messenger e altro ancora.
Ray-Ban Stories e la questione privacy
Ray-Ban Stories, si legge in una nota, è stato progettato pensando alla privacy. “Stiamo prendendo provvedimenti – scrive l’azienda – per far sì che i proprietari dei dispositivi, e le persone che li circondano, si sentano a proprio agio, sicuri e informati”. Ma proprio questo punto sembra il più critico. Vedremo se, da solo, sarà in grado di intaccare l’efficacia del progetto oppure se stavolta gli smart glasses diventeranno una realtà mainstream.