In fondo in fondo, ogni siciliano sa di esserlo.
Noi siciliani siamo Dei e agli Dei tutto è permesso.
Abbiamo una venerazione per la nostra terra che riteniamo luogo superiore e unico, abitata da soggetti superiori e unici. Per questo motivo, possiamo permetterci anche di non migliorare e di devastare il nostro futuro.
Sarebbe bello però se la nostra visione da Dei fosse accompagnata anche da lungimiranti politiche di sviluppo definite a fronte di un vero progetto di crescita non assistenziale e clientelare, magari da una logistica adeguata, e soprattutto da una volontà del tessuto imprenditoriale di collaborare per sopperire alle proprie debolezze.
Ecco quindi che in questi giorni in cui il nostro governo nazionale lavora ad una spericolata manovra finanziaria, in cui c’è davvero poco per la crescita delle imprese e del Sud, da imprenditore, desidero scrivere qualche pensierino (vi ricordate quelli delle scuole elementari?).
Tornano alla mente le parole che lessi nei giorni della chiusura di Mosaicoon. Disse, allora, il sindaco Leoluca Orlando: “Mosaicoon ha simboleggiato la possibilità anche in Sicilia di costruire impresa innovativa, generando un percorso anche culturale con ricadute positive per il territorio in termini economici e di innovazione. Oggi Mosaicoon simboleggia le difficoltà imposte al sistema imprenditoriale da una sempre più estrema finanziarizzazione e il sempre maggiore monopolio nel settore hi-tech in mano a pochi colossi. Resta comunque, come patrimonio di tutti noi su cui continuare a costruire, quanto di positivo realizzato in questi 10 anni, per realizzare anche a Palermo e in Sicilia un salto di qualità non solo nel settore specifico della comunicazione, ma soprattutto in termini di apertura culturale al mondo”.
Davvero bellissime parole, non si babbìa. Certamente ne troverei altrettanto belle di altri attori politici locali e nazionali, soprattutto in prossimità delle elezioni politiche o di manovre economiche. Mi chiedo, allora, se qualcuno nei piani alti dei partiti e delle istituzioni siciliane o nazionali si è mai “sfirniciato”, (per voi continentali, sforzato fino a trovare una soluzione a un problema) senza però mettere di mezzo furbizie, parentopoli, attenzione al consenso, quasi sempre malato (da queste parti), per tentare di regalare un’opportunità a chi per “calare la pasta” ha deciso di fare impresa in questa terra? Per “aiutarlo” ogni giorno a scegliere la legalità, se non per ragioni etiche almeno perché economicamente più conveniente?
Mi permetto, umilmente di condividere alcuni pensierini o spunti, a cui ispirarvi non per declamare qualcosa ai comizi, ma per fare qualcosa.
Primo pensierino: la difficoltà di muoversi nel Sud
Che ne so, magari qualche politico si è accorto che pur beneficiando di una eccezionale posizione strategica, siamo limitati nei collegamenti più di tanti altri territori? Che abbiamo infrastrutture carenti o obsolete e connessioni costose e lente?
Lo chiedo perchè non mi pare di aver letto nulla di politiche volte a favorire in maniera sistematica e lungimirante la mobilità e le connessione delle imprese con le imprese.
Lo chiedo perchè non mi pare che i nostri amministratori abbiano capito le potenzialità economiche delle aziende del Sud che basano la loro attività sulla capacità intellettuale. Chissà se si sono accorti (scusate l’ovvietà) che queste aziende non hanno e non possono avere vincoli geografici, non hanno e non possono avere i problemi infrastrutturali tipici dell’economia tradizionale. Mi chiedo allora perchè non favorirle?
Sapete, per caso, cari governanti, che l’economia digitale è intangibile e non necessita di una catena di distribuzione tradizionale perchè basata su transazioni elettroniche? Chi fa software o eroga servizi digitali sa bene come qualsiasi software, purché multilingua, sia vendibile ovunque ed è assolutamente irrilevante dove venga prodotto. Basta solo che sia competitivo. Ergo, perché non è possibile rendere la Sicilia un polo di attrazione di capitali e competenze digitali, dato che tutto quello che serve è un cervello frizzante, la possibilità di muoversi facilmente e rapidamente, un computer e una buona connessione internet?
Secondo pensierino: l’innovazione dei comportamenti
Potrebbe anche darsi che (accidentalemente, è ovvio) qualche amministratore possa accorgersi del fatto che comunque si intenda l’innovazione o come la capacità di creare nuove soluzioni informatiche (che è solo uno dei modi di fare innovazione), o come la capacità di identificare nuove opportunità e nuovi strumenti per consentire il successo di un’organizzazione, l’innovazione è anzitutto innovazione delle menti e dei comportamenti.
Non è innovazione promettere danaro a pioggia o finanziamenti (voucher digitale, industria 4.0…), è cultura, formazione e spirito d’iniziativa (non redditi di cittadinanza) in un contesto sano e capace di esprimere una crescita sistemica e sistematica. Non credete?
Lo chiedo perchè la Sicilia e l’intero Meridione dovrebbero adottare politiche lungimiranti e magari essere come l’Irlanda che tassa gli introiti derivanti dalla proprietà intellettuale dal 5% al 15%. Questo permetterebbe di attirare eccellenze, intelligenze, capitali e investimenti riconoscendo che, oltre a pochi altri settori, l’innovazione digitale potrebbe essere il petrolio del futuro.
Terzo pensierino: usare in modo sano lo statuto speciale
Avete mai pensato che lo statuto “speciale” della Regione potrebbe essere usato (oltre che per mantenere alti gli stipendi dei dirigenti regionali e dei deputati regionali) in modo sano e lungimirante per favorire la detassazione delle imposte (quanto meno regionali) per gli introiti derivanti dalla capacità intellettuale, per fare in modo che gli stranieri che arrivano a lavorare per società a contenuto tecnologico godano di un regime agevolato, per ridurre le tasse che gravano sul lavoro, per assegnare le aree industriali dismesse a progetti imprenditoriali seri non necessariamente del manifatturiero, per abbattere il costo dei collegamenti? Investimenti che tornerebbero immediatamente nelle casse regionali, attirando nuovi soggetti sul territorio, favorendo la creazione di un tessuto imprenditoriale non solo locale e innescando quel circolo virtuoso che crea posti di lavoro e sviluppa le competenze.
Quarto pensierino: creare un polo di economia digitale
Tutto questo è ancora più vero se fossimo capaci in Sicilia di creare un polo di economia digitale che aggreghi più società operanti in campo tecnologico e accomunate dal fatto che producano beni immateriali e intangibili. Certo, un requisito dovrebbe esserci: imprenditori onesti e leali che non desiderino solo “prendere”, ma anche “dare” qualcosa alla collettività.
Se questa strada venisse percorsa, potremmo creare un network con una massa critica tale da operare con efficacia sul mercato, da far sentire la propria voce sul piano politico ed economico e da formare talenti che possano rimanere o tornare (meglio) nel territorio. Perchè non pensare alla creazione di un polo tecnologico privato, capace di cooperare con le nostre università, in cui siano accolte tutte quelle iniziative che vogliano essere sviluppate o accelerate, che vogliano scalare da un’economia locale a un’economia digitale internazionale? Perchè questo polo non potrebbe educare i bambini al coding e all’uso delle tecnologie, creando le basi di conoscenza per le future generazioni?
Se questo network si creasse, potremmo spostare il nostro asse dal mercato nazionale o, nel migliore dei casi, europeo ai mercati con forte crescita demografica, economica e tecnologica. Nuovi mercati in cui la Sicilia e l’Italia dovrebbero operare da protagonisti. Nuovi mercati che potrebbero essere un volano anche per i settori più tradizionali.
Tomasi di Lampedusa scrisse: “In nessun luogo quanto in Sicilia la verità ha vita breve”.
Tutte verità quelle elencate nei pensierini che vivono giusto il tempo di qualche comizio.
Noi finora abbiamo perso un’opportunità di competitività come territorio e come Paese, perché ci siamo concentrati esclusivamente sui settori tradizionali del manifatturiero e del Made in Italy (in particolare fashion e food), trascurando l’importanza che nel mondo ha la tecnologia e l’importanza che potrebbe avere per le aree depresse del Sud.
Utilizzando una metafora di Massimo Della Ragione, Country Manager di Goldman Sachs, dovremmo iniziare a interpretare la disruption, ovvero la rottura, la lacerazione tra vecchio e nuovo, come un foglio strappato su cui poter scrivere usando al tempo stesso vecchie e nuove matite, vecchie e nuove biro, vecchi e nuovi pennarelli. Noi imprenditori dovremmo cioè interpretare la disruption come la capacità di opporci ai soliti paradigmi politici, iniziando a sfidare i vecchi schemi, scrivendo un nuovo capitolo per questa terra e questa nazione.
Ecco, penso tutte queste cose ogni volta che torno a casa nella splendida Mondello.
Penso che il sole, il mare, il cibo, lo stile di vita sono beni preziosi, ma non garantiranno il futuro delle nostre aziende, dei nostri territori e dei nostri figli.