Il fenomeno Pokémon Go, l’app lanciata da Nintendo, è nato di recente (appena un mese nel mondo, in Italia ufficialmente da un paio di settimane) ma è già diventato virale, probabilmente cogliendo di sorpresa per la stessa azienda giapponese.
Il gioco, sostanzialmente una sorta di caccia ai piccoli animaletti gialli chiamati Pokémon, è basato sulla cosiddetta Realtà Aumentata e utilizza la fotocamera, il sensore GPS e l’accelerometro per avvisare l’utente su cosa cercare nelle vicinanze. Particolari luoghi georeferenziati (di solito punti di riferimento e punti di interesse locali) offrono ricompense in-game ai giocatori che li visitano. Una sorta di pedometro incorporato spinge a “viaggiare” per incubare le “uova” che schiudono nuovi Pokémon. In sostanza: gli utenti sono fortemente incentivati a mantenere l’applicazione smartphone attiva in ogni momento, un app che tiene traccia della loro posizione e dei movimenti in grande quantità.
Attraverso il cellulare un mondo digitale è completamente sovrapposto al mondo reale. Al contrario della realtà virtuale, che trasporta i giocatori in un mondo di fantasia, con Pokémon Go si gioca all’interno dell’universo reale. Qui sta il bello e anche il brutto di Pokémon Go, poiché in giro per il mondo il gioco ha provocato (o quanto meno agevolato) reati quali furti e aggressioni ma anche incidenti automobilistici per effetto della distrazione causata dal giochino.
La “follia” collettiva scatenata dal gioco può quindi diventare rischiosa. E, a sorpresa, coinvolge anche le compagnie di assicurazione. Per continuare a leggere l’articolo su Pokémon Go clicca qui