Ti sei mai chiesto perché alcune organizzazioni prosperano nell’era digitale mentre altre faticano nonostante gli investimenti in tecnologia? Secondo il filosofo Luciano Floridi, esperto mondiale di etica digitale, la risposta risiede nei “linguaggi dell’informazione”: nell’attuale società, la capacità di comprendere e utilizzare i linguaggi digitali è diventata la discriminante fondamentale tra chi guida il cambiamento e chi lo subisce.
Analizzando la recente presentazione tenutasi alla Triennale di Milano il 17 marzo, emergono concetti chiave che possono aiutare aziende e professionisti a navigare nella complessità dell’era dell’informazione
Indice degli argomenti
Competenze digitali: parlare solo l’italiano non basta più
“I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo”, scriveva Wittgenstein, citazione ripresa durante la conferenza per spiegare come la formazione digitale funzioni esattamente come l’apprendimento di una lingua: non basta conoscere qualche termine tecnico, bisogna arrivare a “pensare” in quella lingua.
I dati presentati sono allarmanti: il turnover del personale in Italia ha raggiunto il 34%, con punte del 47,1% nel settore servizi nel 2023. Questo impedisce la formazione di competenze digitali e costa alle aziende circa il 16% del valore del costo del lavoro, arrivando al 26,8% nel settore servizi.
Il filosofo sottolinea che l’educazione digitale genera due conseguenze fondamentali: arricchisce il nostro “capitale semantico” — cioè la nostra capacità di dare senso al mondo — e modifica la nostra stessa identità, trasformando il modo in cui ci percepiamo e interagiamo con la realtà.
La domanda che le organizzazioni dovrebbero porsi è: quanti dei loro membri sono veramente fluenti nei linguaggi digitali? Ma per alcuni servirebbe invece un alfabetizzazione basilare.
Il neo-manufacturing: quando l’informazione è materia prima
Durante la presentazione è stato introdotto il concetto di “neo-manufacturing” per descrivere una trasformazione fondamentale nell’economia: nell’era digitale, l’informazione è contemporaneamente materia prima e prodotto finito.
Il vecchio modello industriale trasformava materie prime fisiche in prodotti tangibili. Nell’era dell’infosfera, le organizzazioni trasformano dati grezzi in insight, decisioni e valore. Questa trasformazione richiede quella che il relatore chiama “Maker’s Knowledge”, cioè la capacità non solo di consumare informazioni, ma di crearle, progettarle e trasformarle.
Riprendendo la distinzione greca tra “episteme” (conoscenza teorica) e “techne” (conoscenza pratica), è chiaro come oggi sia essenziale unire questi due aspetti. Le organizzazioni che vedono i dati solo come sottoprodotti, senza comprenderli o saperli manipolare, rischiano di rimanere indietro rispetto a chi ha sviluppato una vera competenza informativa.

Da consumatori a creatori: il divario digitale nelle imprese
La conferenza evidenzia uno dei rischi principali dell’era digitale: la divisione tra una minoranza di “designer” e una maggioranza di semplici “osservatori”. Nel framework proposto, distingue tre ruoli nel “gioco della conoscenza”:
- Players (Giocatori): utilizzano attivamente le tecnologie digitali
- Observers (Osservatori): guardano senza partecipare realmente
- Designers (Progettisti): creano le regole e gli strumenti digitali
Questo divario è particolarmente evidente nel contesto aziendale italiano, dove l’Italia si posiziona al 25° posto su 27 paesi UE nell’indice DESI (Digital Economy and Society Index).
Il rischio è rimanere in una “Luxury Box Reaction”, cioè quello di trasformarci in spettatori privilegiati che guardano il gioco dell’innovazione dalla tribuna, senza mai scendere in campo. Se l’educazione continua a concentrarsi solo sulla lettura e scrittura tradizionali, non svilupperemo le competenze necessarie per diventare designer dell’informazione.
Oggi non basta più saper leggere e scrivere, ma bisogna imparare ad acquisire informazioni, creare contenuti , progettare soluzioni, comprendere i dati, usare le tecnologie e comunicare efficacemente.
Sei un Data Patient, Data Citizen o Data Worker?
Una delle intuizioni più originali della presentazione riguarda la categorizzazione delle persone nell’era dell’informazione. Secondo l’esperto, oggi tutti appartengono a una di queste tre categorie:
Il Data Patient subisce passivamente i dati senza comprenderne il funzionamento. In ambito professionale, è chi usa strumenti digitali senza capirne i meccanismi sottostanti, accetta i risultati degli algoritmi senza interrogarsi sulla loro validità, e viene profilato dai sistemi informativi senza esserne consapevole.
Il Data Citizen comprende il mondo dei dati e sa navigarlo con consapevolezza. È chi sa interpretare criticamente le informazioni digitali, comprende i limiti degli algoritmi e sa proteggere la propria identità digitale nel contesto professionale.
Il Data Worker non solo comprende i dati, ma li trasforma in valore. È chi sa analizzare dataset complessi, costruire modelli interpretativi e tradurre le informazioni in strategie concrete.
La maggioranza delle persone oggi è ancora a livello di Data Patient, pochi sono Data Citizens, e ancora meno sono Data Workers. Questa disparità sta creando un nuovo tipo di diseguaglianza, più profonda di quella economica: una diseguaglianza cognitiva che determinerà sempre più le opportunità professionali future.
Semantic Capital: la vera ricchezza nell’era digitale
Un concetto chiave emerso dalla conferenza è quello di Capitale Semantico: l’insieme di prodotti intangibili che l’umanità crea, perfeziona e trasmette. Comprende idee, competenze, significati e tutto ciò che costituisce il patrimonio cognitivo di un’organizzazione.
Il capitale semantico è la vera ricchezza nell’era dell’informazione, ma rischia di essere eroso dalla superficialità digitale, dalla disinformazione e dalla concentrazione del potere informativo in poche mani.
Per coltivare e trasmettere efficacemente il capitale semantico, vengono individuati quattro processi fondamentali: ottenere informazioni (Gain), curare il sapere esistente (Curate), creare nuova conoscenza (Create) e trasmetterla agli altri (Transmit).
Le organizzazioni che non investono nel proprio capitale semantico rischiano di perdere la capacità di adattarsi ai cambiamenti e di innovare, anche se dispongono di risorse finanziarie considerevoli.
Oltre le echo chamber: strategie per un’azienda a prova di futuro
Dobbiamo avere consapevolezza e stare in guardia dalle “echo chambers” (camere dell’eco): ambienti informativi dove siamo esposti solo a opinioni che confermano le nostre convinzioni previe. Questo fenomeno, amplificato dagli algoritmi dei social media, interessa anche i contesti aziendali, dove team di management possono trovarsi intrappolati in visioni omogenee e autoreferenziali.
Citando Platone, “un conoscitore è colui che sa come porre e rispondere alle domande giuste”. Nell’epoca dei big data, questa capacità è più importante che mai: le AI possono generare risposte, ma il vero valore sta nella capacità di formulare buone domande.
Per uscire dalle echo chambers, la conferenza suggerisce di seguire fonti di informazione diverse, cercare attivamente opinioni opposte alle proprie e verificare sempre le fonti. A livello organizzativo, questo significa promuovere il pensiero critico e la diversità cognitiva nei team decisionali.
Per combattere l’analfabetismo digitale, si raccomanda di sviluppare la “Media Literacy”, ossia la capacità di comprendere, analizzare e valutare criticamente i contenuti nei diversi media. Questa competenza diventa essenziale in un’epoca caratterizzata dalla proliferazione di fake news e manipolazioni algoritmiche.
In un panorama dove il volume di dati creati è passato da 2 a 64,2 zettabyte in dieci anni e si prevede raggiungerà 175 zettabyte nel 2025, la vera sfida per le organizzazioni non è più l’accesso all’informazione, ma la capacità di navigarla, interpretarla e trasformarla in conoscenza utile.
Come ha detto Wittgenstein, i limiti del nostro linguaggio sono i limiti del nostro mondo. Per le aziende contemporanee, i limiti dei loro linguaggi informativi saranno i limiti del loro futuro di business.