TECNOLOGIA SOLIDALE

Perché l’adozione della GenAI è (anche) una questione di leadership



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La leadership vecchio stile non basta più di fronte alla rivoluzione dell’intelligenza artificiale generativa. Ne serve una capace di preoccuparsi della “sostenibilità umana”. Un Manifesto e un libro per capire come raggiungerla

Pubblicato il 19 lug 2024

Antonio Palmieri

Fondatore e presidente di Fondazione Pensiero Solido



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L’impatto economico dell’intelligenza artificiale generativa attualmente è una “sequenza di zero”. Questo il contenuto di un articolo dell’Economist citato da Alfonso Fuggetta in apertura dei lavori della terza tappa del percorso “Intelligenza artificiale e lavoro. Come cambia, come dobbiamo cambiare noi” (qui puoi rivederla), a cura della Fondazione Pensiero Solido.

L’adozione dell’AI è una questione di leadership

L’adozione dell’IA generativa nei processi aziendali rimane ancora per molti imprenditori e manager una incognita. Per risolverla, ci vorranno il tempo necessario e la necessaria formazione. Nel frattempo, la certezza è che l’intelligenza artificiale generativa e conversazionale cambia il nostro modo di trasformare le informazioni in conoscenza, modifica il nostro modo di apprendere e di approcciare la realtà. È una mutazione culturale e quindi antropologica.

Essendo una potenziale rivoluzione produttiva e una certa evoluzione del nostro essere, l’intelligenza artificiale generativa è di conseguenza anche una questione di leadership.

Lo è perché la leadership ha a che fare con l’intelligenza, cioè con la capacità di leggere dentro (intus legere) la realtà. La realtà oggi ci dice due cose: da un lato l’imponente trasformazione digitale, ambientale, sociale in atto modifica il nostro modo di vivere; dall’altro lato, soprattutto dopo il Covid, sono cambiati l’atteggiamento e le attese delle persone nei confronti del lavoro.

La leadership vecchio stile non basta più

In questo contesto, la leadership vecchio stile, monocratica, lontana, dirigista, non basta più.

Questo vale non solo per i giovani, ma riguarda tutti. Per questo motivo oggi è possibile e anzi doveroso approfondire, elaborare e diffondere un diverso modo di pensare e interpretare la leadership: più collaborativo, più inclusivo, più partecipativo, più lungimirante.

Non è utopia. È realismo. Nell’era del digitale e delle macchine sempre più intelligenti, non è più possibile trattare le persone come fossero delle macchine produttive, prive di desideri, emozioni, aspettative, aspirazioni.

Occorre capire che noi “funzioniamo” meglio se veniamo trattati da esseri umani. Abbiamo bisogno di una leadership capace di garantire la “sostenibilità umana”, cioè il rispetto della singola persona e del gruppo, la qualità delle relazioni, il benessere sul posto di lavoro. Questo produce un bene per tutti, a partire dall’organizzazione di cui facciamo parte, sia essa un’azienda o un ente del terzo settore.

La leadership che serve: un Manifesto e un libro

Per capire come fare per raggiungere questo bene per tutti, la Fondazione Pensiero Solido ha presentato il “Manifesto della Leadership che serve”, dieci punti che sono insieme criteri ideali e operativi. Essi indicano concretamente gli obiettivi da raggiungere per garantire la sostenibilità umana in qualsiasi realtà si operi. Senza alcuna pretesa di fare i maestri ma semplicemente con l’intento di mettere a disposizione di tutti uno strumento utile per accompagnare un cammino di crescita e di consapevolezza.

È ora possibile approfondire i contenuti proposti nel Manifesto, grazie al libro “La Leadership che serve”. Curarne la realizzazione mi ha confermato nella convinzione che dobbiamo cercare di essere il leader che vorremmo avere, perché il cambiamento passa in primo luogo da ciascuno di noi. Ne ho trovato conferma in questo libro a più voci, che mette insieme in 68 pagine una serie di spunti utili per capire come migliorare la leadership. Una lettura ideale per rinfrescare (in tutti i sensi) le idee in questa calda estate.

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