“Come dice un proverbio africano, per educare un bambino ci vuole un villaggio…”
Un villaggio digitale, gentile Stefania Garassini?
“Un villaggio “per” il digitale. Vale a dire una comunità fatta da genitori che vogliono educare i loro figli, e anche da educatori, insegnanti. Genitori capaci di fare un patto tra loro per accompagnare i loro figli alla scoperta della vita onlife.”
Stefania Garassini lei è giornalista, docente di Content Management all’Università Cattolica di Milano e direttrice di orientaserie.it. Venerdì 13 ottobre all’Università Bicocca avete organizzato il primo Meeting nazionale dei Patti Digitali…
“Dopo due anni di lavoro, noi promotori dei Patti digitali di Comunità per l’educazione digitale abbiamo voluto trovarci insieme, chiamando a raccolta i promotori degli oltre 70 gruppi già attivi su scala nazionale. Volevamo far vedere plasticamente che di fronte all’emergenza educativa data dall’uso degli strumenti digitali sempre più precoce e quindi necessariamente privo delle indispensabili competenze emotive da parte dei ragazzi, una risposta concreta è la formazione e il supporto ai genitori.”
Una sorta di battesimo pubblico e comunicativo, quindi. È stato un incontro fruttuoso?
“Sì. Abbiamo lavorato in gruppi tematici dedicati alla scuola, al rapporto con la politica e alla comunicazione delle iniziative dei Patti. E abbiamo avuto interlocutori istituzionali importanti e attenti, come Massimiliano Capitanio, membro Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom), Anna Scavuzzo, Vice Sindaco e Assessora all’Istruzione del Comune di Milano e Guido Scorza, componente del Garante della Privacy. Con loro abbiamo iniziato un percorso che speriamo possa essere fruttuoso per i ragazzi, per trovare una soluzione per limitare l’accesso dei minori a contenuti inadatti.”
Cosa vi aspettate dalle istituzioni?
“Vogliamo portare alle istituzioni proposte e istanze concrete ed esempi dalle nostre esperienze e da quanto stanno facendo per esempio in Olanda, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, dove associazioni di genitori hanno realizzato iniziative simili a questa dei Patti Digitali, realizzando accordi tra genitori per rispettare regole sull’uso della tecnologia e per fare pressione sulle istituzioni, affinché siano più attente a preservare la sicurezza dei minori online.”
Quindi se genitori e istituzioni sono alleati, in questa prospettiva i vostri antagonisti sono le aziende che producono smartphone e le grandi piattaforme digitali?
“No. Noi auspichiamo una collaborazione tra imprese e istituzioni, nel segno dell’interesse dei bambini.”
Nel segno di quel di più responsabilità a cui siamo chiamati tutti, pro quota, in questa nostra era digitale…
“Proprio così. E diciamo che norme o moral suasion istituzionali possono fare molto per muovere sempre di più le imprese in direzione di essere attente ai minori.”
A questo punto vogliamo ricordare a chi ci legge in cosa consistono i Patti Digitali?
“I Patti Digitali di Comunità sono fatti da gruppi di genitori – e talvolta anche di scuole, istituzioni e altre realtà educative – che si accordano collettivamente su questioni concrete nell’educazione digitale durante la pre-adolescenza. E’ questo lo scopo della nostro progetto, avviato dal Centro Benessere Digitale dell’Università Bicocca in collaborazione con alcune associazioni attive nel promuovere un uso responsabile del digitale (Aiart Milano, Mec e Sloworking).”
In cosa consiste realizzare un Patto?
“Per esempio consiste nell’accordarsi sull’età di arrivo dello smartphone in famiglia, nel concordare regole condivise per l’uso dei social media, nel fare in modo di sviluppare le competenze digitali. Il progetto è partito con due realtà in Friuli (Gemona) e Lombardia (Vimercate). Ora i Patti coinvolgono oltre 1.500 genitori e insegnanti: ci sono molte esperienze positive di decisione e supporto collettivo tra educatori sull’educazione digitale. Arrivano alla segreteria da 4 a 10 richieste alla settimana”.
Mi sembra di sentire l’eco del suo libro “Smartphone. 10 ragioni per non regalarlo alla prima Comunione (e magari neanche alla Cresima)“. Sbaglio?
“Libro a parte, la sfida dell’educazione al digitale si vince insieme. Sono ormai molte le esperienze che dimostrano come, in presenza di un’alleanza tra genitori, sia molto più facile ristabilire alcune semplici regole che aiutino a usare meglio e in modo più graduale le tecnologie, per acquisire al momento giusto una vera padronanza di uno strumento complesso che apre la porta a un mondo non certo progettato per i minori.
Chi fosse interessato ad attivare un patto, quali requisiti deve soddisfare? Può farlo solo un gruppo di famiglie? Quante devono essere?
“Siamo aperti a chiunque sia interessato a far partire un Patto nel proprio territorio. Il primo passo è individuare un gruppo di genitori che condividano la stessa preoccupazione di favorire un accesso graduale allo smartphone e al digitale da parte dei propri figli. Possono essere ad esempio i genitori di una classe o di un’intera scuola. A quel punto si può scrivere un patto, o adottare semplicemente quello presente nel sito. Nel sito patti digitali forniamo i tre principi di base: Aspettare almeno fino al termine della seconda media per dotare un ragazzino di uno smartphone da usare in autonomia, seguire un percorso di formazione per genitori e ragazzi, decidere alcune semplici regole per l’uso in famiglia (niente smartphone a tavola e a letto, rispetto delle età per social, app e videogiochi, password condivisa con i genitori fino ai 14 anni). Su questi tre principi di base ogni gruppo può inserire punti che ritiene fondamentali nella propria situazione concreta e anche in base all’età dei figli, o anche limitarsi ai punti proposti nel sito.”
In conclusione, direi che più che un villaggio voi volete costruire una rete dentro i villaggi, perché l’originalità del vostro metodo sta nel fatto di mettere assieme gruppi di genitori in modo permanente e strutturato…
“Vogliamo non lasciare da soli i genitori. Quando questo villaggio si fa sentire davvero le cose cambiano. Lo dimostrano le esperienze dei Patti già realizzati. Come ha detto Marco Gui, docente di Sociologia dei Media all’Università di Milano-Bicocca e direttore del Centro di ricerca Benessere Digitale, che promuove l’iniziativa dei patti digitali, le famiglie hanno una forte esigenza di riprendere il controllo sull’ingresso negli ambienti digitali di bambini e adolescenti, e una consapevolezza che questo obiettivo non è raggiungibile dalla singola famiglia. È più semplice se non si rimane da soli.”
Vale per bambini e adolescenti e vale anche per i giovani, come dimostra purtroppo il suicidio di Vincent Plicchi, bolognese di 23 anni, cosplayer appassionato del videogioco americano Call of Duty, conosciuto con il soprannome di Inquisitor Ghost, che si è suicidato lunedì in diretta su Tik Tok, probabilmente perché vittima di cyberbullismo…
“Sono molto dispiaciuta. Purtroppo si può essere fragili a qualunque età. E, in situazioni già difficili, a volte l’uso dei social media non aiuta.”