Outbound open innovation: solo un’impresa su 10 affida all’esterno le proprie innovazioni

Secondo una ricerca degli Osservatori Startup Intelligence e Digital Transformation Academy rivolta a CIO e Innovation Manager, le aziende che cercano soluzioni innovative all’esterno sono il 33%. Solo l’11%, invece, esternalizza innovazioni sviluppate internamente attraverso Joint Venture, licensing o spin-off. Ecco perché

Pubblicato il 22 Mar 2019

open innovation 2019

Nell’era della trasformazione digitale l’ecosistema in cui le imprese devono confrontarsi cambia radicalmente; l’innovazione giunge sempre più da fonti di stimolo meno tradizionali, come Startup, Università e Centri di Ricerca, scavalcando attori quali le Società di Consulenza o i Vendor e Sourcer ICT, verso un approccio sempre più aperto all’innovazione.

Questo è il quadro che emerge dalla Ricerca degli Osservatori Startup Intelligence e Digital Transformation Academy, in cui è stato indagato il livello di adozione di Open Innovation da parte di 250 imprese italiane, grazie all’annuale Survey Innovation 2018 rivolta a CIO e Innovation Manager.

Secondo la Ricerca, il livello di adozione di innovazione aperta in aziende italiane è così suddiviso: un terzo dei rispondenti alla Survey dichiara di aver adottato un approccio di Open Innovation, il 24% ha in programma di farlo, il 18% afferma di non saperlo, il 24% non è interessato e solamente l’1% ha adottato azioni di Open Innovation in passato ma ha deciso di abbandonare tale approccio.

Le aziende che dichiarano di adottare azioni di Inbound Open Innovation, ovvero che permettono di incorporare stimoli di innovazione dall’esterno, sono esattamente il 33% del campione, ovvero la totalità delle aziende che adottano esplicitamente un approccio di Open Innovation. In particolare, tra le iniziative attuate, spiccano la collaborazione con Università e Centri di Ricerca (66%), Partner Scouting su imprese consolidate (46%) e Scouting di startup (43%), tutte e tre azioni che implicano un investimento relativamente ridotto in termini di rischio di fallimento e finanziario. Al contrario, le iniziative di Inbound con un tasso di rischio maggiore, ma che garantiscono anche margini più elevati in caso di successo, sono ad oggi ancora poco utilizzate dalle aziende italiane; dalla Survey emerge infatti che solo il 14% e il 5% del campione ha istituito rispettivamente un Corporate incubator e/o accelerator e un Corporate Venture Capital.

Secondo la Ricerca solamente l’11% del campione, invece, fa uso di Outbound Open Innovation, ovvero esternalizza innovazioni sviluppate internamente; in cima alla classifica delle iniziative più adottate ci sono Joint Venture (14%) e Platform Business Model (9%), mentre con percentuali più basse seguono Licensing (5%), Donazioni (5%), Spin-off e Vendita di brevetti (entrambi al 2%).

Questi dati evidenziano una iniziale apertura e curiosità verso iniziative che comportano una condivisione con il mercato esterno del valore nato internamente. Ciò che frena nell’Outbound, come afferma anche il luminare Henry Chesborugh nei suoi recenti studi, è la possibile perdita di controllo della proprietà intellettuale.

Questi sono solo alcuni dei principali risultati legati al tema Open Innovation e sua adozione nelle principali aziende italiane, riportati all’interno del Report appena pubblicato “Priorità dell’Innovazione Digitale per le imprese nel 2019: Open Innovation e ruolo delle startup” degli Osservatori Startup Intelligence e Digital Transformation Academy, disponibile a questo link.

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Cristina Marengon
Cristina Marengon

Research Analyst presso Osservatori Digital Innovation

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