L'INTERVISTA

Open innovation, i progetti Luiss: dalla cattedra di Chesbrough all’indicatore internazionale

Luiss punta sull’open innovation: “Dopo la World Conference, in gennaio ospitiamo lo European Innovation Forum”, dice Andrea Prencipe, rettore dell’ateneo che ha affidato una cattedra a Henry Chesbrough. E anticipa: “In primavera 2020 presenteremo un indicatore per misurare l’open innovation delle aziende italiane”.

Pubblicato il 16 Dic 2019

Andrea Prencipe, rettore della Luiss
Open Innovation, la Luiss accelera a cavallo fra 2019 e 2020. Dopo aver ospitato la World Open Innovation Conference, l’Università di Confindustria ha un intenso programma di attività dedicato all’innovazione aperta. Ne abbiamo parlato con il rettore Andrea Prencipe.
LUISS sta puntando molto sull’innovazione aperta: “Vogliamo diventare un centro di riferimento internazionale sulla materia”, spiega il professore Prencipe, convinto che “l’innovazione sia l’unica leva competitiva per vincere sui mercati. non ci sono altre possibilità: si innova io si resta indietro”. Il 12 e 13 dicembre l’università ha ospitato a Roma la sesta edizione della World Open Innovation Conference, la seconda in Europa, la prima in Italia, promossa annualmente dal Garwood Center for Corporate Innovation dell’Università di Berkley, dove insegna quello che è considerato il padre del modello dell’open innovation, Henry Chesbrough.
Due giorni intensi di lavoro durante i quali hanno convissuto la matrice accademica del progetto con le esperienze e le esigenze di corporate come ENEL, Salesforce, Siemens. “Abbiamo organizzato delle industry challenge, sessione in cui le imprese hanno illustrato le sfide competitive che le attendono, chiedendo ai colleghi provenienti da tutto il mondo non certo le soluzioni ma approcci possibili e metodi per affrontarle”, spiega Prencipe, che ribadisce: “Per noi resta fondamentale e positiva l’interazione fra rigore accademico e rilevanza pratica”.
Henry Chesbrough
Henry Chesbrough sarà spesso a Roma nel 2020, visto che adesso ha una cattedra di Open Innovation in LUISS, grazie all’iniziativa di Maire Tecnimont. “È la prima volta che Chesbrough prende un incarico come questo fuori dagli Stati Uniti”, sottolinea con orgoglio Prencipe. “Terrà il suo corso sia a livello di master sia di PhD, quindi si dividerà a metà fra Berkley e Roma”. Chesbrough ha già tenuto le prime lezioni e tornerà in Italia a gennaio e in primavera.
“Il 16 e 17 gennaio ospitiamo in LUISS lo European Innovation Forum“, ricorda il rettore. “Mentre la WOIC è un appuntamento accademico, questo sarà un evento dedicato esclusivamente alle imprese europee, per quanto la guida sia accademica: saranno una ventina e si ritroveranno a porte chiuse  per condividere le best practice di open innovation”. Una sorta di club in cui aderisce solo un leader per industry ed eventualmente altri player possono entrare solo se accettati.
Anche in questa occasione ci sarà, ovviamente, Chesbrough, che nel prossimo anno dedicherà molto tempo al Vecchio Continente: lancerà infatti un progetto di ricerca, per il quale è stato chiesto un finanziamento dell’Unione Europea, sull’analisi dei principi dell’open innovation.
Luiss sta poi lavorando con  ENEL Foundation  a un indicatore internazionale per misurare l’open innovation delle aziende italiane.  “Nella primavera 2020 ci sarà un evento per presentare il modello”, anticipa a EconomyUp Prencipe. “Sarà un indicatore composito, formato da diversi sottoindicatori, che ci permetterà di dare una rappresentazione quali-quantitativa dello stato dell’open innovation in Italia”.
Il 2020 sarà quindi un anno importante per l’open innovation. L’attivismo della LUISS e l’attenzione di “papà” Chesbrough all’Italia e all’Europa sono il risultato di una crescente sensibilità aziendale nei confronti dell’innovazione aperta o un rinnovato stimolo a svilupparla? “Un po’ e un po'”, risponde Prencipe. “Ci sono aziende che stanno facendo molto, abbiamo eccellenze italiane come ENEl e Tecnimont. Ci sono altre imprese che sono più indietro, perché in Italia manca un ecosistema dell’innovazione: ci sono molti attori che lavorano bene da soli ma non riescono a fare davvero sistema, soprattutto a livello internazionale e di internazionalizzazione. E invece credo che ci sia molto da fare e si debba fare per sviluppare un’innovazione che sia “combinazione creatriva””, conclude il rettore della LUISS. “Continuo a leggere che il digitale distrugge valore ma io sono convinto, al di là di quello che diceva Schumpeter sulla burrasca creativa, che possiamo fare innovazione valorizzando la tradizione del made in Italy”.

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Giovanni Iozzia
Giovanni Iozzia

Ho studiato sociologia ma da sempre faccio il giornalista e seguo la tecnologia . Sono stato direttore di Capital, vicedirettore di Chi e condirettore di PanoramaEconomy.

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