Sisal e le startup. A presidiare il fronte c’è un ex startupper che prima dell’arrivo di Uber e BlaBlaCar aveva creato nel 2010 una piattaforma (Avacar.it) per il carpooling in Italia. Adesso Carlo Garuccio, nel ruolo di Head of Strategy di Sisal, governa le attività di open innovation. E anche il suo percorso professionale rivela il crescente peso dato dall’azienda alla trasformazione digitale: dall’innovazione del prodotto a quella dell’azienda stessa.
«Nel 2016 c’è stato il passaggio dalla responsabilità dell’area innovation alla corporate strategy», spiega Garuccio. «Prima l’area innovazione era più interna e concentrata sul prodotto, adesso è stata assunta a livello strategico, guarda di più all’esterno e con una forte attenzione al business pagamenti che è in profonda evoluzione. Siamo sempre di più una tech company rivolta alle esigenze mass market con oltre 13 milioni di consumatori e un rete di 40mila punti fisici».
SISAL E L’OPEN INNOVATION
Garuccio, che cosa ha comportato questa evoluzione?
Innanzitutto c’è un endorsement più forte da parte del vertice aziendale. E poi è cambiato l’approccio: l’innovazione viene affrontata in maniera più organica e strategica, meno ripiegata sul singolo prodotto..
Come possiamo sintetizzare la vostra strategia di innovazione?
Una strategia di innovazione interna ma con vista sull’esterno. Quindi è anche una strategia di open innovation che prevede una costante osservazione dell’ecosistema delle startup e dei macrotrend digitali; scouting specifici su esigenze interne definite; altre iniziative come ad esempio la partnership con Digital Magics per lanciare MagicWand (programma di accelerazione in Italia per startup fintech, ndr.).
A che cosa sta portando questo tipo di attività?
Aprirsi verso l’esterno porta due risultati: fai scouting di realtà che possono accelerare il nostro business o che noi possiamo accelerare ma allo stesso tempo contribuisci alla cultura dell’innovazione all’interno dell’azienda. E questo è profondamente utile sia per migliorare le cose che facciamo già sia per farne di nuove. Inoltre l’attività di scouting ci aiuta a identificare target per possibili partnership ma anche per investimenti diretti. Non escludiamo anche un modello ibrido: partnership industriale con investimento in equity.
SISAL E LE STARTUP
Avete già fatto qualche partnership o investimento?
La fase di adoption riguardo alle startup scatterà nei prossimi mesi, diciamo che qualcosa sarà fatto già entro la fine di quest’anno. In questo momento stiamo valutando alcune partnership e investimenti ad alto potenziale, che possono avere un fit significativo con il nostro modello di business e che possono rappresentare linfa nuova e importante di innovazione e crescita digitale. È un momento molto interessante per l’ecosistema italiano delle startup, ma noi guardiamo anche alle Pmi in grado di offrire soluzioni verticali. Sempre con l’obiettivo di essere quanto più veloci possibile.
Che cosa significa essere veloci?
A fine 2017, ad esempio, abbiamo acquisito il ramo di azienda relativo ai registratori fiscali di una piccola software house. In sei mesi siamo stati in grado di offrire un prodotto che permette ai terminali dei nostri 40mila punti vendita di diventare anche registratori di cassa. Svilupparlo internamente ci sarebbe costato di più e in termini di time to market ci avrebbe fatto perdere almeno 1 anno.
C’è nel vostro piano un progetto di corporate venture capital?
Per il momento no, è ancora prematuro. Adesso lavoriamo per creare valore integrando la strategia di open innovation con le attività di business.
LE AREE DI INNOVAZIONE DI SISAL
Quali sono le aree di innovazione a cui guardate con maggiore interesse?
Tutto il mondo dell’Artificial Intelligence, dei digital payment e del fintech, dai pagamenti p2p/p2b al al credito al consumo, con un’ottica prevalentemente b2c pur perseguendo a livello strategico un obiettivo fortemente b2b: diventare partner strategico per i pagamenti di tutti i nostri merchant con nuovi servizi a valore aggiunto.
Che cos’è la digital transformation per Sisal?
Certamente non significa solo portare il nostro business da offline a online. Per noi digital tranformation vuol dire digitalizzare i nostri punti vendita e l’esperienza dei nostri consumatori, cogliere le opportunità del digitale per aggredire business nuovi e contigui con servizi innovativi. Questo significa lavorare a un business development in discontinuità e per farlo la digital transformation deve ovviamente partire dall’interno: strategie, processi e soprattutto persone Solo negli ultimi 18 mesi abbiamo portato avanti un piano di assunzione di circa 100 digital talent.
LA RELAZIONE FRA AZIENDE E STARTUP
Da ex startupper, quali sono le difficoltà di relazione fra le aziende consolidate e le startup?
Le mie esperienze passate, prima come consulente e poi startupper, mi hanno portato a capire che le aziende vedono le startup come soggetti poco strutturati e poco solidi, super innamorati del loro prodotto. E spesso è vero, ma è anche la tenacia e la passione degli startupper un elemento di valore per le imprese. A rendere complicate le relazioni poi c’è indubbiamente un gap culturale che spesso non permette di comprendere il potenziale di business delle startup, sia come partner, sia come target di investimento. Le aziende italiane dovrebbero guardare con maggiore attenzione e continuità al nostro patrimonio tecnologico, non solo alle startup, con una logica più concreta e aperta. Serve aprirsi ad una maggiore conoscenza di quello che c’è fuori le nostre imprese. Io ho non ho difficolta ad ammettere che tra gli startupper ho incontrato talenti che mi hanno insegnato molte cose.
Come vedi l’ecosistema italiano?
È certamente un momento positivo e i segnali confortanti sono numerosi. L’arena competitiva del fintech, poi, sta cambiando rapidamente. Ma quel che manca ancora all’ecosistema italiano sono i veri champion. Almeno un unicorno sarebbe molto utile ad accendere il faro sul mercato italiano delle startup. La ricerca di capitali è diventata più semplice ma non basta, le startup devono fare scale up ed esprimere un vero potenziale industriale. In questo senso può sicuramente essere utile lavorare per rafforzare la relazione con le aziende consolidate che però devono semplificare processi decisionali e modelli di ingaggio con le startup per favorire la creazione di opportunità di vero sviluppo di business.