Nel dicembre 2014, il New Yorker parlava del grafene come materiale miracoloso ma si chiedeva “a cosa serve?”. Una delle possibili risposte è: a creare abbigliamento sportivo con alte prestazioni. È con questa convinzione che Colmar, l’azienda monzese che produce sportswear e capi invernali, ha stretto un accordo con Directa Plus, la startup tecnologica con sede a Lomazzo (Como) che realizza prodotti a base grafene, per mettere sul mercato una collezione di capi contenenti il materiale nanotech G+ creato dalla società diretta da Giulio Cesareo.
Insomma, un altro caso di open innovation in cui una Pmi italiana (circa 90 milioni di fatturato nel 2015, in crescita rispetto all’anno precedente) si rivolge a una startup, o comunque a un’impresa innovativa giovane (Directa Plus è nata nel 2005 ma ha inaugurato le sue Officine del Grafene nel 2014), per innovare. Perché Colmar puntato su Directa Plus e come l’azienda ha strutturato la sua attività di innovazione “aperta” lo spiega a EconomyUp l’amministratore delegato Giulio Colombo, che è anche il diretto responsabile dell’area di ricerca & sviluppo.
Colombo, come è nato questo progetto con Directa Plus? Perché il grafene?
Nella nostra sezione sportswear facciamo molto lavoro di ricerca e sviluppo sui materiali. Abbiamo avuto l’opportunità di incontrare Giulio Cesareo un anno fa, quando del grafene non si sapeva ancora bene quali potessero essere le applicazioni: ci interessava molto che fosse un prodotto chemical free, ovvero solo con sostanze naturali. Ci siamo messi insieme a capire come potevamo applicarlo studiandone le caratteristiche più interessanti. Noi a Monza, loro a Como, abbiamo lavorato per integrare nei nostri tessuti il loro grafene g+ concentrandoci sulla conduzione termica di questo materiale: l’obiettivo era realizzare dei capi invernali che diffondessero in modo omogeneo il calore del corpo di chi scia oppure, all’opposto, capi estivi come le polo da golf che disperdessero il calore più velocemente nelle giornate di sole intenso. Il grafene ci ha permesso di rispondere a queste nostre esigenze facendo qualcosa di diverso. Tra l’altro, continuiamo a sperimentare su questo materiale: per esempio, stiamo lavorando a una tuta sperimentale da discesa per sfruttare le proprietà aerodinamiche.
Questo è un caso di innovazione fatta con l’esterno. Ma di norma, al vostro interno, come fate innovazione?
Abbiamo da sempre, ovviamente un nostro reparto di ricerca e sviluppo che si concentra sul prodotto. Realizziamo collezioni estive e invernali: in ognuna dobbiamo introdurre innovazioni tecnologiche che danno migliori performance. A lavorare sull’innovazione di prodotto sono una ventina di persone, suddivise tra varie linee – sci, golf, outdoor, sport fashion. Le professionalità sono tante, dai responsabili di prodotto ai designer.
Come avete strutturato la vostra attività di open innovation?
Intanto, come confezionisti, dobbiamo necessariamente lavorare con partner del tessile e con società non direttamente coinvolte in questo settore non tessile. Ma a parte i soggetti di questo mondo, a a cui ci rivolgiamo per esempio per il finissaggio innovativo, abbiamo vari rapporti con l’esterno. Per esempio, con il Politecnico di Milano abbiamo realizzato dei test nella galleria del vento. Con Acerbis, azienda che produce abbigliamento per il motocross, abbiamo attivato una collaborazione per quanto riguarda le protezioni per gli sci.
Per quali tipi di innovazioni guardate alle startup?
Cerchiamo sempre di esplorare altri mondi. Siamo molto attenti a questo panorama. Viaggiamo molto, giriamo molte fiere, ci guardiamo intorno. Di startup ne osserviamo tante, specialmente per quanto riguarda le tecnologie wearable. Non è escluso che un giorno potremmo investire su una startup, anche se finora non ci è ancora successo.