Con l’espressione obsolescenza programmata si intende una strategia commerciale adottata dalle aziende per accorciare “artificialmente” il ciclo di vita naturale dei rispettivi prodotti, mantenendo così alta la domanda e, di conseguenza, gli acquisti di nuovi modelli. Una pratica scorretta e “datata”, tornata in auge con la pervasività di dispositivi come smartphone, computer, software, elettrodomestici e altri beni concepiti seguendo la logica “usa e getta”.
Obsolescenza programmata: esempi e significato
Ad esempio, accade sempre più spesso che dopo aver comprato un elettrodomestico o un dispositivo elettronico, questo presenti malfunzionamenti o si rompa a pochi anni dall’acquisto, con pezzi di ricambio quasi impossibili da trovare e costi di riparazione talmente elevati da indurre le persone a comprarne uno nuovo.
Oppure, che lo smartphone e il laptop diventino “vecchi” a pochi mesi dall’acquisto contrariamente a quelli più “datati” e quasi indistruttibili, ad esempio non supportando più applicazioni aggiornate che li rendono “tecnologicamente obsoleti”. O, ancora, che le cartucce delle stampanti dotate di chip indichino l’esaurimento dell’inchiostro anche quando non è così, obbligando i consumatori a cambiarle anzitempo.
Ebbene, non si tratta di casualità bensì di obsolescenza programmata nel suo significato originale. Un fenomeno in contrasto con il 12° obiettivo di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite (garantire modelli di produzione e consumo sostenibili, ndr), che implica ricadute ambientali negative per via della gran mole di rifiuti che genera e la conseguente difficoltà nello smaltirli.
Quando è stata introdotta l’obsolescenza programmata
L’obsolescenza programmata nasce con l’affermarsi della società dei consumi e l’espressione è stata usata per la prima volta in assoluto nel 1924. Ai tempi tutti i produttori di lampadine a incandescenza mondiali, dando vita al “cartello Phoebus” (fondato a Ginevra – Svizzera), decisero di limitarne arbitrariamente la durata a 1.000 ore rispetto alle 2.500 “originali”.
Successivamente la pratica commerciale scorretta fu adottata anche per il nylon, tessuto usato per produrre calze da donna prodotto in laboratorio e in origine quasi indistruttibile: il settore stava fallendo, e per ridare slancio al mercato e non fallire i produttori decisero di renderlo meno resistente.
L’obsolescenza programmata dei dispositivi elettronici
Attualmente il fenomeno interessa prevalentemente dispositivi elettronici ed elettrodomestici come smartphone, computer, lavatrici, lavastoviglie e frigoriferi, e si concretizza come pianificato in fase di progettazione al termine della garanzia biennale.
Qual è la vita media di uno smartphone
Gli smartphone sono soggetti all’obsolescenza programmata e, per svariati motivi, hanno un ciclo di vita medio compreso tra i due e i tre anni. A incidere principalmente due fattori: le continue innovazioni con il succedersi di nuovi modelli che portano chi li possiede ad avvertire una sorta di “obsolescenza percepita” stante anche l’impossibilità di utilizzare applicazioni per la “vecchiaia” del device da un lato; le difficoltà nella riparazione (come l’impossibilità di rimuovere la batteria) dall’altro. Elementi che spingono verso l’acquisto di dispositivi nuovi con maggior frequenza, anche più di quanto vorrebbero le persone ma come desiderano le aziende.
Colossi come Apple e Samsung, ad esempio, sono stati più volte multati dalle autorità antitrust di diversi paesi per pratiche commerciali tese a ridurre le performance dei propri device con aggiornamenti firmware che, inoltre, determinavano malfunzionamenti.
Qual è la vita media di un laptop
Rispetto agli smartphone, stante la possibilità di aggiornare l’hardware, i laptop e più in generale i computer hanno una vita media compresa tra i 5 e i 10 anni, nonostante un decadimento delle prestazioni progressivo che li rende parzialmente obsoleti ben prima, soprattutto se di fascia medio-bassa.
Qual è la vita media di frigoriferi e lavatrici
Gli elettrodomestici maggiormente interessati dall’obsolescenza pianificata sono frigoriferi e lavatrici, che hanno una vita media compresa tra i 10 e i 15 anni. Tuttavia, il decadimento delle performance energetiche e non solo inizia ben prima, rendendoli “vecchi” o da buttare anche in caso di piccoli malfunzionamenti causa assenza dei ricambi (difficili da reperire, con prezzi troppo alti o fuori produzione).
Le conseguenze dell’obsolescenza programmata su beni e ambiente
Le conseguenze dell’obsolescenza programmata oltre ad andare a svantaggio dei consumatori ma, come contrappeso, garantire la continuità produttiva (e tutto l’indotto, occupazione inclusa), hanno un impatto a dir poco negativo sull’ambiente: dall’inquinamento derivante dalla produzione a quello dovuto allo scorretto smaltimento dell’80% dei rifiuti generati dal fenomeno.
Per rendere l’idea di quanto incida in negativo l’obsolescenza programmata sull’ambiente, è sufficiente riprendere un articolo del World Economic Forum nel quale si evidenzia come nel solo 2021 siano state 54,7 milioni le tonnellate di rifiuti elettronici su scala globale. Peso maggiore di quello della Grande Muraglia cinese – la più imponente e pesante opera ingegneristica mai realizzata -, con crescita annua pari a 2 milioni di tonnellate.
Una quantità enorme di rifiuti, che vedono “primeggiare” frigoriferi, lavatrici e lavastoviglie. Ovvero gli elettrodomestici che presentano maggiori problemi relativamente a smaltimento e trasporto causa peso e dimensioni.
Per computer e smartphone, invece, se il peso non è un problema lo sono i materiali. Elementi preziosi come palladio, oro e terre rare, che in una logica di consumo “usa e getta” sono smaltiti senza soluzione di continuità in paesi del terzo mondo, dove i dispositivi non vengono riparati bensì abbandonati in discariche a cielo aperto.
Come risolvere il problema dell’obsolescenza programmata
Risolvere il problema dell’obsolescenza programmata, per quanto cruciale in ottica di sviluppo sostenibile, presenta enormi difficoltà nonostante la volontà dei consumatori (secondo un sondaggio condotto da Eurobarometro del 2020 il 77% dei cittadini UE preferirebbe riparare il proprio smartphone anziché cambiarlo ogni due/tre anni) e comportamenti più consapevoli.
La “resistenza” delle aziende, come certificano le innumerevoli multe pagate, è un fatto. Serve quindi un quadro normativo chiaro e unico quantomeno nei paesi dell’Unione europea.
Obsolescenza programmata e diritto alla riparabilità nell’UE
In quest’ottica, il Parlamento europeo dal 2017 ha iniziato ad affrontare il problema approvando a fine 2020 una direttiva che ha portato all’entrata in vigore del primo regolamento dell’Unione Europea sul diritto alla riparazione nel marzo 2021. Dopo una nuova risoluzione di Strasburgo datata marzo 2022, in autunno è prevista l’approvazione di una nuova direttiva europea per contrastare l’obsolescenza programmata affinché i prodotti siano progettati per durare più a lungo, riparabili in sicurezza e con componenti facili da rimuovere e sostituire.
L’intenzione è introdurre regole ad hoc sul diritto alla riparabilità per contrastare la dinamica “usa e getta” in diversi settori (“fast fashion” inclusa), eliminando così la necessità di sostituire i prodotti “vittime” dell’obsolescenza programmata coerentemente con quanto previsto dal Green Deal.
Un pacchetto di misure che ha come scopo far diventare norma e non eccezione la sostenibilità dei beni fisici venduti all’interno del mercato unico, a prescindere dal Paese dove sono stati fabbricati, puntando sull’eco-design per renderli più “circolari” e sulle etichette che ne indichino l’indice di riparabilità come accade già in Francia.
La legge francese contro l’obsolescenza programmata
In assenza di regole comunitarie, infatti, la prima normativa in materia è la legge francese contro l’obsolescenza programmata risalente al 2015, che ha reso la pratica commerciale reato prevedendo pene fino a due anni di reclusione e 300.000 euro di ammenda a cui si aggiunge una contravvenzione pari al 5% del fatturato aziendale.
Inoltre, nel 2021 è stata introdotta un’etichetta riportante l’indice di riparabilità su alcuni prodotti, estesa nel 2022 a tutti quelli elettronici. Similmente a quella energetica l’etichetta riporta un punteggio che va da 1 (minimo) a 10 (massimo), e rientra in un più ampio piano anti-sprechi esattamente come le iniziative UE.
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