“Non è vero che le imprese familiari non innovano, semplicemente quelle che lo fanno hanno capito che non possono adottare le best practice e gli standard delle grandi aziende”. A dirlo è Alfredo De Massis, docente di Imprenditoria e Imprese familiari alla Libera Università di Bolzano. Il professore è tra i partecipanti dell’evento R&Designing Innovation, la Management Conference che si terrà dal 30 giugno al 4 luglio 2018 a Milano, importante occasione accademica di incontro, confronto e riflessione insieme al mondo dell’industria. In particolare De Massis sarà proponent di uno dei track nell’ambito della conferenza, ovvero i panel di approfondimento. Il titolo del track è, non a caso, Innovation and R&D management in family firms
Per azienda familiare si intende una qualsiasi impresa alle cui spalle c’è una famiglia provvista del potere di influenzare la vision del business e intenzionata a trasferire questo business alle giovani generazioni. In Italia le imprese familiari superano il 90%, ma sono numerose anche nel resto dell’Europa, dove la media è intorno all’85%, mentre in America arrivano al 70%. In ogni caso numeri importanti. “Eppure è singolare – sottolinea il docente – che, fino a una decina di anni fa, la gestione dell’innovazione sia stata studiata e trattata basandosi quasi esclusivamente sulle imprese a proprietà diffusa come per esempio General Electric o altre di questo tipo. Invece l’impresa familiare nelle varie economie del mondo è la più diffusa: è un paradosso che sia stata dimenticata dalle business school”.
I media ne parlano spesso con accezione negativa. Sono dipinte come poco innovative, si dice che fanno solo innovazione incrementale, sono considerate molto conservatrici, più attente al passato che al futuro. In realtà hanno caratteristiche peculiari che le portano a fare innovazione in modo diverso.
Quali sono le caratteristiche delle imprese familiari?
La proprietà è concentrata nelle mani di uno o più individui della stessa famiglia; c’è dunque un’unificazione di proprietà e gestione, a differenza delle grandi aziende dove esiste una separazione tra gli azionisti e chi gestisce l’impresa. Altra caratteristica: quando si decide di fare qualcosa non si prendono in considerazione solo obiettivi di natura economica o finanziaria, ma anche obiettivi di natura familiare, per esempio mantenere alto il nome della famiglia, dare lavoro ai figli ecc. ecc. Nelle imprese familiari sono presenti anche logiche emotive o sociali. Questo dà luogo al personalismo: l’azienda è la persona. D’altra parte spesso sono gestite con livelli di burocrazia più bassa rispetto alle aziende di maggiori dimensioni. Altra questione: quando si innova è importante fare investimenti, ma anche stringere partnership con soggetti esterni. Le imprese familiari tendono ad evitare scelte che mettano a rischio il loro capitale socio-emotivo e questo può voler dire non aprire l’azienda a un venture capital, che potrebbe non dirsi d’accordo con alcune scelte e puntare solo ai profitti. Infine c’è l’altruismo familiare, che è asimmetrico: si è altruisti nei confronti di chi è connesso a noi da legami di sangue, ma non verso i dipendenti dell’impresa. Ciononostante le imprese familiari riescono a innovare, sia nell’innovazione di prodotto, sia nell’acquisizione di tecnologie dall’esterno.
Come fanno innovazione le imprese familiari?
Superando il paradosso dell’abilità e della volontà: sono in condizioni privilegiate per abilità di innovare, ma sono in svantaggio per volontà di innovare. Sono nel mezzo dell’impasse, tendono a temere il cambiamento, a proteggere il passato, a celebrare la tradizione.
Quali sono in Italia le imprese familiari che stanno innovando?
Osservando bene il panorama italiano, ci sono imprese familiari estremamente innovative: sono quelle che sono riuscite a guardare il passato e il futuro non come cose in antitesi, ma come obiettivi che possono essere perseguiti insieme. Aboca, l’azienda che produce rimedi naturali, è un esempio di impresa che mantiene vivo il passato ma lo utilizza nei prodotti e nei servizi. Anche Beretta (armi da fuoco) sa combinare elementi del passato e del futuro. Vibram, produce suole di scarpe, ha realizzato le 5 finger shoes, scarpe con caratteristiche particolari che hanno vinto diversi premi. Ma c’è anche la milanese Sangalli, che ha lanciato Lumincen, abiti e accessori che si illuminano, che combinano tecniche sartoriali con materiali innovativi in fibra ottica. E ancora: Apreamare, impresa che ha preso il gozzo sorrentino e, combinando tradizione e innovazione, l’ha trasformato in yacht di lusso. Altri nomi: Saes Getters (componenti e sistemi realizzati con materiali avanzati), Natuzzi divani, le cravatte Marinella, le campane Marinelli, la liquerizia Amarelli…
Cosa si può fare per supportare l’innovazione delle imprese familiari?
Spesso, in Italia come in altri Paesi, l’attenzione è focalizzata a supportare le nuove imprese, ma ci dimentichiamo di quelle esistenti. Purtroppo solo il 30% delle imprese sopravvive dalla prima alla seconda generazione, il 12% dalla seconda alla terza e il 3 o 4% dalla terza alla quarta. Abbiamo una moria drammatica di imprese. Se vogliamo contribuire allo svilupo economico, accanto alle misure per far nascere nuove imprese, avrebbe senso supportare le imprese esistenti. Cosa che altri Paesi stanno iniziando a fare.