Mentre scrivo questo post, le votazioni per la scelta del Presidente della Repubblica sono ancora in corso.
Ho l’onore di prendere parte a questo evento per la quarta volta. Nella baraonda di questi giorni – tra l’inseguirsi delle tattiche dei vari leader, i giudizi sferzanti dei commentatori, i ragionamenti con colleghi di tutte le forze politiche – mi è nata questa riflessione, che prescinde dalla conclusione della vicenda.
I commenti di questi giorni mettono a ragione nel mirino la “politica”, ma dimenticano che, tranne poche fortunate eccezioni, è sempre avvenuto così durante la storia della Repubblica. Quanto sta avvenendo oggi è la dimostrazione che questo meccanismo di elezione del Presidente della Repubblica è arcaico e superato.
È così per tanti motivi. Dal 1993 l’elezione diretta dei sindaci (e poi dei presidenti di Regione) e l’impostazione delle nostre campagne elettorali nazionali hanno reso “naturale” per i cittadini che ciascun elettore scelga direttamente chi deve guidare la comunità.
Questa è a mio avviso la prima motivazione che rende insopportabile (a me per primo) il modello di elezione del Presidente della Repubblica.
Una elezione di “secondo livello”, che in realtà affida a poche persone chiuse in una stanza di decidere per tutti chi sarà il Presidente, affidando poi a noi grandi elettori la ratifica formale di questa decisione. Se ci pensa, la proposta di “conclave” che Enrico Letta ha rivolto martedì 25 gennaio agli altri leader di partito ha ribadito in modo incontrovertibile questa realtà.
A maggior ragione che nel passato, questa procedura non è più sostenibile sia per il logoramento del rapporto tra cittadini e istituzione, sia perché siamo nell’era digitale, nel bene e nel male l’era della disintermediazione, del “su misura”, della ipervelocità.
Imprigionati nel vecchio schema, a noi grandi elettori rimangono due uniche forme di azione elettorale. Durante i giri a vuoto, come nei primi tre giorni, scrivere nomi più o meno a caso sulla scheda, invece di lasciarla in bianco. Chi tra i colleghi si è esercitato in questa pratica non ha capito il contesto sociale e politico in cui ci troviamo, che obbliga ciascuno di noi a un di più di responsabilità e vieta di scherzare e di giocare in un momento così drammatico.
La seconda, successiva, modalità di esercitare attivamente il ruolo di grande elettore consiste nel fare il franco tiratore, usando nel segreto dell’urna il “voto a perdere”, anzi a far perdere.
In definitiva, come spesso succede nella vita, anche in questo caso è dunque una questione di metodo, perché sono le regole del gioco che ne orientano lo svolgimento. Per questo anch’io spero che questa sia l’ultima volta in cui il Presidente della Repubblica è scelto così e che la prossima volta
siano i cittadini a scegliere il successore.
P.s. Naturalmente, vi è anche il caso in cui la scelta dei pochi coincide con quella che il grande elettore avrebbe fatto personalmente. Questa circostanza però nulla toglie al fatto che è tempo di affidare ai cittadini l’elezione del Capo dello stato.