Chip shortage, da almeno un anno è esplosa la questione microchip che scarseggiano. Lo ha ricordato lo stesso presidente del Consiglio Mario Draghi nell’intervento alla Camera del 23 marzo 2022: “Una priorità è aumentare la produzione di microchip in Europa” ha detto. Ma cosa sta succedendo a questa industria?
Dopo il taglio del 40% annunciato dalla giapponese Toyota, ad agosto 2021 Stellantis e Volkswagen sono dovuti intervenire per far fronte alla mancanza di micro chip. Stellantis è stata costretta a fermare la produzione in due fabbriche in Francia, a Janais e Sochaux. Volkswagen ha annunciato il taglio della produzione dell’impianto di Wolfsburg, il principale del gruppo tedesco.
Questi sono solo alcuni dei principali contraccolpi – e considerando solo il settore dell’Automotive – provocati dalla carenza globale di microchip, scoppiata improvvisamente nella primavera 2021, e che ha ripercussioni in tutti i settori legati ai componenti Hi-tech, quindi non solo auto, ma anche elettronica, informatica, telefonia, computer, console per videogiochi, robotica e quant’altro.
Il risultato immediato della crisi, l’anno scorso, è stato: un milione di veicoli prodotti in meno, soltanto in Europa, rispetto al 2020. Tempi di consegna che si allungano moltissimo, e che per alcuni modelli di vetture arrivano a raddoppiare e anche triplicare l’attesa dagli standard abituali. Difficoltà e rallentamenti nella produzione che pesano come macigni sulle performance aziendali. E sulle prospettive future.
Ad agosto 2021 l’amministratore delegato di Apple, Tim Cook, ha anticipato che i limiti di fornitura dei processori in silicio hanno influito sulle vendite di iPhone e di altri prodotti come l’iPad, in termini ancora da quantificare. Finora gli smartphone sarebbero stati più protetti dalla carenza di chip, rispetto ad altri settori, poiché i grandi produttori avevano già accumulato scorte dei componenti critici. Ma ora l’onda anomala dei microchip starebbe per travolgere anche l’industria dei device mobili.
L’esortazione di Mario Draghi nel 2022
A ricordare l’importanza dei microchip per l’industria europea e italiana è stato anche il presidente del Consiglio Mario Draghi nel suo discorso alla Camera del 23 marzo 2022, incentrato sul conflitto in Ucraina, ma che ha toccato anche altri temi, tra cui appunto questo: “Il rafforzamento dell’economia europea passa anche dalla tutela delle aree industriali strategiche, da sostenere con adeguati investimenti in innovazione e ricerca scientifica e tecnologica” ha detto Draghi. “Una priorità – ha proseguito – è aumentare la produzione di microchip in Europa. Un recente studio del Fondo Monetario Internazionale ha stimato che l’anno scorso le strozzature nelle catene del valore sono costate all’area euro circa il 2% di prodotto interno lordo. La carenza di semiconduttori – essenziali per molte industrie strategiche come i mezzi di trasporto, i macchinari industriali, la difesa – è stata particolarmente dannosa. L’ambizione europea è aumentare la propria quota di mercato dal 10 al 20 per cento della produzione globale di chip entro il 2030. Questo incremento ci permetterebbe di garantire la sicurezza degli approvvigionamenti a fronte di eventuali ritardi nelle importazioni. Il “Chips Act” della Commissione europea costituisce un importante passo in avanti per raggiungere questi obiettivi. Intendiamo aumentare gli investimenti nella ricerca, e sviluppare e rafforzare una capacità produttiva verticalmente integrata, che assicuri un’effettiva autonomia nella produzione e packaging dei microchip. Dobbiamo accelerare la realizzazione del secondo Importante Progetto di Comune Interesse Europeo nella microelettronica”
Chip shortage, gli effetti negativi sull’automotive
È una crisi destinata a protrarsi nel tempo – con la sua lunga coda di effetti negativi –, e le vie d’uscita non sono né molte né veloci. In più, le auto del futuro, come in genere tutti i prodotti Hi-tech del futuro, avranno ancora più bisogno di semiconduttori, rispetto a oggi.
Per questo, “da qui a 5 anni, è fondamentale impostare e poi sviluppare una nuova strategia europea per i microchip, in modo che l’Europa diventi più autonoma e meno dipendente da altri, perché su queste componenti elettroniche l’intera industria del Vecchio continente si gioca la sua competitività futura, rispetto innanzitutto agli altri due colossi, Stati Uniti e Cina, e più in generale rispetto ai Paesi dell’Asia e delle Americhe”.
Lo rimarca Marco Stella, vice presidente di Anfia (Associazione nazionale filiera industria automobilistica) e presidente del Gruppo Componenti della stessa Associazione. Che, facendo il punto della situazione, e tracciando le prospettive per il futuro, ad alcuni mesi dal fragoroso scoppio del Chip shortage, come lo chiamano nei Paesi anglosassoni, taglia corto: “un milione di veicoli prodotti in meno, a livello europeo, rispetto agli standard abituali, è un contraccolpo molto pesante per tutto il settore Automotive e per tutta la sua filiera. Per alcuni modelli di veicoli, poi, i tempi di consegna sono passati da un mese e mezzo o due, a un’attesa di cinque o sei mesi. Sono ritardi e freni che condizionano molto il mercato”.
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Chip shortage, i possibili nuovi effetti
Tutte le case automobilistiche hanno perso consistenti volumi produttivi, dovendo quindi decidere su quali modelli e linee di veicoli andare a tagliare. Il risultato è che quasi tutti i costruttori europei presentano dati e performance del primo semestre 2021 che, da un lato, segnano buoni e anche ottimi risultati di vendite e migliore reddittività – rispetto al collasso del 2020 –, e allo stesso tempo mettono in guardia da ancora nuovi contraccolpi e ricadute negative dovuti al rischio Chip shortage, che durerà ancora parecchio.
Tra l’altro, le case automobilistiche utilizzano in gran parte chip più grandi e datati, mentre i produttori di telefoni e tablet utilizzano i processori più recenti: da considerare anche che gli smartphone vengono venduti in volumi molto più alti rispetto ai veicoli, il che li rende un cliente preferito dei fornitori.
Microchip: 2 aziende detengono il 70% del mercato mondiale
Quando si parla di semiconduttori, si parla soprattutto di due aziende: la Tsmc di Taiwan e la coreana Samsung, che insieme detengono il 70% del mercato della produzione. I grandi impianti che trattano il silicio, e realizzano i componenti di base dei microchip, lavorano già abitualmente quasi a pieno regime, a livelli di capacità produttiva vicini alla saturazione, attorno al 90-95% del potenziale massimo, perché altrimenti non sono profittevoli. Quindi, in pratica, non ci sono nel mondo impianti in grado di aumentare sensibilmente la produzione dei semiconduttori, mentre per realizzare e avviare impianti nuovi occorrono forti investimenti, nell’ordine di diversi miliardi di euro, e tempi medio-lunghi, non inferiori ad almeno cinque anni o più.
Non esistono neanche alternative o rimedi di tipo tecnologico, e anche per quanto riguarda le catene di fornitura non ci sono nuove soluzioni all’orizzonte, perché il sistema di fornitura dei semiconduttori è molto poco flessibile, proprio in quanto la capacità di produzione è già satura, e tutto ciò che esce dalle fabbriche specializzate viene subito assorbito dalle industrie dei vari settori. In pratica, la coperta è corta, molto corta, e a breve non c’è verso di allungarla.
Una questione strategica per la competitività delle aziende europee
Ci sono mercati, come ad esempio quello dell’informatica e dei beni di consumo elettronici, che in genere seguono anche precise stagionalità, con la domanda di prodotti che si impenna ad esempio dopo l’estate e con l’avvicinarsi del periodo natalizio. Proprio queste stagionalità e queste ‘montagne russe’ nel consumo di microchip potrebbero nei prossimi mesi provocare altri effetti domino e contraccolpi importanti su tutti i settori coinvolti.
L’intera industria mondiale delle quattro ruote vale nel campo dei microchip una fetta (appena) del 10% sul totale – l’Automotive è quindi un cliente abbastanza piccolo –, ma l’Europa di questa fetta rappresenta quasi il 40% della domanda complessiva. Tutto ciò significa che “una nuova e importante capacità produttiva europea di microchip è strategica per garantire la competitività futura dell’intera industria a livello continentale”, sottolinea il vice presidente di Anfia, “occorre una strategia precisa e comunitaria, guidata necessariamente e in primis dalle istituzioni, Unione europea e governi nazionali”.
E questo perché “è evidente che per creare una produzione europea di microchip occorreranno ingenti investimenti, per decine di miliardi di euro, e questi notevoli impegni finanziari – come accade già in altre parti del mondo, tra cui gli Stati Uniti – sono partecipati in parte con finanziamenti pubblici e risorse che fanno capo alle istituzioni”. Anche perché, fa notare Stella, la strategia comunitaria per un’Europa più digitale “deve pensare anche all’approvvigionamento di una materia prima fondamentale”, come i microchip.
(Aggiornamento al 23/03/2022)