Cosa bisogna fare in azienda quando c’è una crisi? “Analizzare le proprie azioni e quelle degli altri, essere brutalmente onesti su cosa funziona e cosa no, e individuare chi sta facendo abbastanza e chi invece non agisce. Ma la cosa più importante è: dare risposte“. A spiegarlo a EconomyUp è Michele Wucker, specializzata proprio in anticipazione delle crisi.
Chi è Michele Wucker
Nata nel 1969, vissuta a New York ma oggi residente a Chicago, Wucker è autrice di vari saggi, commentatrice e analista politica. Nel 2009 è stata nominata Young Global Leader del World Economic Forum e nel 2007 è stata premiata con la Guggenheim Fellowship per aver “dimostrato capacità eccezionali nella produzione culturale”. È stata Presidente del World Policy Institute, Vicepresidente del Chicago Council on Global Affairs, capo dell’area America Latina della International Financing Review.
Cos’è il “rinoceronte grigio”
Sulla possibilità di anticipare e contrastare le crisi, Wucker ha scritto un saggio, Il rinoceronte grigio. Come prevedere e affrontare i pericoli ovvi che spesso ignoriamo (ROI Edizioni), pubblicato negli Usa nel 2016. Nel libro spiega appunto come le organizzazioni e i loro leader possono riconoscere in tempo e affrontare eventi potenzialmente catastrofici, guadagnandosi un vantaggio competitivo rispetto a chi non ha avuto la stessa lungimiranza. Negli anni il testo, pubblicato l’anno scorso anche in Italia, è diventato un riferimento per politici e governi a livello mondiale: per esempio il presidente cinese Xi Jinping ne tiene una copia nel suo studio. Di questi e altri argomenti, come la “social agency” (un concetto da lei coniato in epoca recente) e l’uso dell’AI in azienda, Wucker ha parlato con EconomyUp in occasione del Leadership Forum a Milano.
Combattere i “rinocenti grigi” con le risposte
Dottoressa Wucker, nel suo saggio rievoca lo scoppio della crisi dei mutui subprime nel 2008, i numerosi disastri naturali degli ultimi anni e la pandemia da Coronavirus: tutti fenomeni prevedibili, annunciati da una serie di indizi. Eppure i leader li hanno ignorati finché non è stato troppo tardi. Perché? Ma, innanzitutto, cos’è un rinoceronte grigio?
È una minaccia altamente probabile e di forte impatto: qualcosa di cui dovremmo renderci conto, come ci accorgiamo se un rinoceronte di due tonnellate punta verso di noi e si prepara a caricare. Proprio come suo “cugino”, l’Elefante nella stanza, un Rinoceronte grigio è qualcosa che dovremmo essere in grado di vedere chiaramente, se non altro per via della sua portata. Eppure è proprio l’ovvietà a renderci incapaci di reagire. Non siamo in grado di riconoscere l’ovvio e quindi di prevenire crisi altamente probabili e ad alto impatto.
Come contrastarlo dunque?
La chiave è ammettere l’importanza di dare risposte. La teoria del rinoceronte grigio implica analizzare le proprie azioni e quelle degli altri, essere brutalmente onesti su cosa funziona e cosa no, e determinare chi sta facendo abbastanza e chi no. Sono spesso sorpresa da quante persone mi chiedano di aiutarli a identificare i rischi. Il punto è che non dovrebbero aver bisogno di me per identificarli: sono troppo concentrate sull’identificazione piuttosto che sulla risposta, che è la vera sfida.
Alcune metafore, come quella del “cigno nero”, che descrive un evento non previsto, sono spesso fraintese. Le persone pensano che si possa individuare il prossimo grande rischio come si identificherebbe un cigno nero, ma il punto è che non puoi sempre prevederlo. In realtà stanno solo cercando di dimostrare di essere intelligenti prevedendo i rischi, quando in realtà stanno perdendo di vista il punto.
La pandemia di COVID-19 è stata un rinoceronte grigio e ne portiamo ancora le ferite. Cosa pensa che le aziende dovrebbero fare per guarirle definitivamente?
Guarire le ferite della pandemia richiede sforzi da parte delle aziende, degli individui e dei responsabili politici. Ognuno ha un ruolo: in troppi cercano una soluzione miracolosa, pensando che o il governo o il settore privato da soli possano risolvere tutto. Non è così. Io penso che, in termini di relazioni governative, le aziende dovrebbero essere più favorevoli a politiche che promuovono la resilienza invece di concentrarsi solo su tasse più basse e meno regolamenti. Serve resilienza, servono imprese fisiche che producano cose e impieghino persone, serve un ambiente operativo relativamente stabile e prevedibile. Ci sono gli investitori che traggono profitto dalla volatilità, ma i loro interessi sono diametralmente opposti a quelli delle aziende fisiche, e questo è un problema negli Stati Uniti. È diverso in Europa, certo. Negli Usa c’è questo approccio generalizzato del “non abbiamo bisogno di regolamentazione” e “non abbiamo bisogno di tasse aziendali”. A mio parere, serve una regolamentazione che sia il più leggera possibile pur raggiungendo il suo scopo, e lo stesso vale per le tasse. Ma questi argomenti non sono al centro del dibattito in corso in questo momento nel Paese.
L’importanza della “social agency”
Nel corso del suo intervento al Leadership Forum ha anche introdotto il concetto di social agency, che in qualche modo significa capacità di esercitare una propria autonomia di decisione all’interno di un contesto sociale.
È più importante per un’azienda consolidata o per una startup?
Penso che il concetto di social agency sia più importante e utile per le aziende consolidate, che sono molto meno propense a incoraggiarlo. È più probabile che siano ostacolate da problemi burocratici e siano meno flessibili, per la natura stessa delle loro dimensioni. Fanno eccezione quelle che hanno acceleratori interni o programmi di imprenditorialità. Ma penso che ci sia sicuramente spazio per molta più social agency nelle grandi aziende perché so quanto siano frustrate tante persone che vi lavorano.
Cosa suggerirebbe a un CEO o a un CIO per infondere più social agency all’interno dei propri team?
La frase “Mi fido del tuo giudizio”‘ è molto potente. I manager che non sono abituati a dirlo dovrebbero cercare di capire di cosa hanno bisogno per sentirsi più sicuri nel fidarsi di qualcuno. Deve esserci una comprensione reciproca delle rispettive personalità e va capito se il dipendente ha le competenze necessarie per il compito che deve svolgere. I manager devono chiedersi se stanno fornendo ciò di cui il loro team ha bisogno per svolgere il lavoro in modo efficace. Se un manager ha difficoltà a fidarsi, dovrebbe trovare un coach o qualcuno con cui lavorare su questo. L’opposto è un manager che è troppo fiducioso, il che può avere anche risultati problematici. La comunicazione è davvero fondamentale. I manager dovrebbero essere in grado di comunicare e dire: ‘Ehi, ho una domanda su questo’, o ‘Penso che mi serva questo per svolgere il lavoro in modo efficace’, così entrambe le parti possono essere sicure.
Ripensare l’AI
Passando a un argomento molto caro sia ai manager sia ai dipendenti, ovvero l’uso dell’AI in azienda, lei cita una ricerca del Pew Research sull’intelligenza artificiale secondo la quale la maggior parte dei lavoratori statunitensi considera l’intelligenza artificiale una minaccia ed è preoccupata per le possibili ripercussioni della tecnologia sul mondo del lavoro. Alla luce di questi dati, cosa suggerirebbe alle aziende che stanno implementando l’AI per evitare future crisi in ambito lavorativo?
Il primo passo è che le aziende che hanno frettolosamente adottato l’AI per i chatbot del servizio clienti ne ripensino l’utilizzo. Hanno bisogno di un controllo qualità molto più rigoroso e dovrebbero coinvolgere esperti di UI/UX perché i risponditori automatici, una prima forma di AI, non sono mai stati eccezionali. Senza aver pensato a perfezionarli, hanno successivamente introdotto l’AI, che però può continuare ad offrire esperienze frustranti.
Molte società stanno usando l’AI come parola d’ordine. Ma c’è piena comprensione delle sue potenzialità e dei suoi effetti?
Non sempre e non del tutto. Quindi io dico: non usate l’AI come una buzzword. Se avete intenzione di includerla, fatelo in modo responsabile. C’è bisogno di sottolinearlo perché molte aziende non lo fanno. Alcune pensano che l’AI sia una soluzione magica, altre ne parlano perché è quello che gli investitori vogliono sentire in questo momento. Ma gli investitori devono essere più intelligenti riguardo ai segnali che inviano alle imprese. Studi recenti mettono in dubbio che tutti i soldi investiti nell’AI porteranno i risultati promessi. La mia idea è no, non porteranno tutti quei risultati: vedo qualcosa di simile al boom delle dot-com nel 1999-2000. Ecco perché c’è necessità di ripensare l’uso dell’intelligenza artificiale nelle aziende.
Eppure sono innegabili i vantaggi e le potenzialità.
“Ci sono alcune cose che sono davvero impressionanti, ma ce ne sono altre che semplicemente…non ci sono ancora! Quello che mi sorprende è quanta attenzione sia stata data ai Large Language Models (LLM), che compilano ogni tipo di informazione senza distinguere tra ciò che è utile e ciò che non lo è, spesso plagiando fonti come Wikipedia. Penso che il maggiore utilizzo dell’AI sia in aree dove si può controllare il contenuto e riporvi fiducia, come nell’analisi di grandi quantità di dati. Ho scoperto che l’AI non è brava a riassumere le chiamate Zoom, per esempio. Ho provato assistenti AI che si limitano a elencare gli argomenti discussi senza fornire passaggi logici o elaborazioni sensate. Finché l’intelligenza artificiale non sarà in grado di fare queste cose in modo efficace, le aziende dovrebbero stare attente a come la utilizzano.
Rischi eventuali?
Diverse persone hanno parlato della possibilità di un “collasso del modello”, laddove il materiale generato dall’AI viene utilizzato per addestrare altre AI, portando in ultima analisi a risultati incomprensibili. Le generazioni successive di questi strumenti potrebbero essere meno efficaci rispetto a quelle precedenti.
A proposito, con le prossime elezioni negli Stati Uniti, quali ricadute pensa che ci saranno nell’ecosistema dell’innovazione in un senso o nell’altro?
La mia impressione è che un’amministrazione Harris sarebbe più favorevole alle piccole imprese e all’innovazione nel settore delle tecnologie pulite, il cleantech, insieme ad altri settori tecnologici. D’altra parte, penso che un’amministrazione Trump promuoverebbe gli interessi dei “tech bros”, i ragazzi che lavorano nella tecnologia, supportando gli interessi di persone come Elon Musk e di coloro che vivono secondo la mentalità del ‘”muoversi velocemente e rompere le cose”. In definitiva, penso che un’amministrazione Harris si concentrerebbe maggiormente sulle buone politiche, mentre un’amministrazione Trump potrebbe concentrarsi su ciò che è vantaggioso per gli amici di Trump.