Non di soli utenti vivono le big tech. All’inizio di febbraio 2024, Meta – la parent company che controlla asset come Facebook, Instagram e WhatsApp – ha scritto una nuova pagina nella storia evolutiva dei colossi del tech a stelle strisce: unitamente, infatti, a risultati record, il boss Mark Zuckerberg ha annunciato che inizierà la distribuzione dei dividendi ai propri azionisti.
Meta, in occasione della comunicazione ai mercati dei suoi conti, ha deliberato di restituire fino a 86 miliardi di dollari ai suoi azionisti già nel corso di questo 2024, con pagamenti di dividendi trimestrali di 50 centesimi per azione e un programma di riacquisto di azioni – i cosiddetti buyback programme – da 50 miliardi di dollari.
Perché di solito le Big Tech non distribuiscono dividendi agli azionisti
Musica per le orecchie degli investitori che non sono abituati a questo tipo di attività nei propri confronti da parte delle cosiddette big tech che tipicamente non distribuiscono dividendi ai propri azionisti. Questo, per un motivo apparentemente molto semplice: le grandi aziende tecnologiche sono propense a reinvestire i propri utili al fine di sviluppare nuovi prodotti o servizi. Alternativamente, gli stessi utili non distribuiti possono essere utilizzati per effettuare acquisizioni che si possono rivelare anche molto costose e, da questo punto di vista, la storia della stessa Meta è costellata di operazioni estremamente cash required.
Oltre la lettura “tecnica” dell’operazione, preme qui sottolineare un’evoluzione in atto nel rapporto tra gli stakeholders gravitanti intorno alle big tech. Fino ad oggi, infatti, gli investitori – almeno quelli “piccoli” e polverizzati nelle transazioni borsistiche – sono sempre stati trattati quantomeno con un disinvolto disinteressamento che li ha probabilmente posti in “coda” rispetto ad altri stakeholder. Non ci si riferisce, quindi, ai grandi fondi tipo Sequoia et similia – gli interessi e le richieste di investitori di quella portata sono sempre posti al centro delle decisioni strategiche delle grandi aziende da loro investite, bensì proprio ai piccoli investitori che comprano un tot di azioni in borsa sperando di guadagnarci qualcosa. In tal senso, gli investitori piccoli spesso possono beneficiare di pressioni dei grandi investitori, tipo i fondi attivisti, che spingono sulla leadership aziendale al fine di prendere determinate decisioni e non è affatto inverosimile che anche in questa decisione epocale di Meta si possa essere innescato un meccanismo a cascata di questo tipo.
Fatto sta, comunque, che fino ad oggi sono stati indubbiamente gli utenti, nel senso classico del termine, gli stakeholder privilegiati nelle scelte delle big tech, anche nelle scelte prettamente finanziarie: strategie e decisioni conseguenti spesso formulate ed eseguite per massimizzare innanzitutto il numero degli utenti e poi, in maniera residuale, per fare tutto il resto.
Big tech: sta finendo “l’ossessione” per gli utenti
L’ossessione per gli utenti, dalla crescita puramente numerica alla qualità (e redditività degli stessi), è inoltre tipicamente presente nelle fasi iniziali e di scaling delle società tecnologiche che, man mano che crescono, iniziano però a doversi confrontare e – quindi – relazionarsi con tanti altri stakeholder, certamente ben più complessi per svariate ragioni. Si pensi, sempre con Meta come riferimento, alla trafila di stakeholder di tipo regolatorio o giudiziario con i quali, nel corso degli ultimi anni, si è dovuta confrontare e scontrare, per esempio nell’affaire Cambridge Analytica, che provocò nell’ormai arcaico 2018 uno scandalo internazionale legato all’utilizzo dei dati personali ottenuti illecitamente proprio da Facebook.
Diventare “grandi” per una corporate, anche nel caso del dominio tecnologico, vuol dire imparare a relazionarsi con diversi tipi di stakeholder che, per definizione, hanno interessi anche molto distanti tra loro e, non di rado, addirittura confliggenti e opposti.
Nel caso degli investitori, e qui torniamo a unificarne l’interesse – siano essi fondi di investimento giganteschi o piccoli risparmiatori – certamente uno degli interessi classici ricade proprio nell’ottenere lo stacco dei dividendi da parte delle aziende in cui investono, andando a beneficiare di un pezzetto degli utili e, quindi, del valore creato dall’agire aziendale.
Si nota, in tal senso, anche un allineamento di interessi, per esempio, tra il founder di Meta – il vecchio Mark – e il resto dei suoi investitori: certamente, per il papà e amministratore delegato di Meta, ricevere un pagamento di circa 700 milioni di dollari proveniente proprio dallo stacco del primo dividendo in assoluto nella storia della sua creatura, non deve essere stato spiacevole, per usare un eufemismo.
Investitori nelle big tech: tutto si basa sulle aspettative
Ma la lingua che si parla con gli investitori è molto diversa da quella che si parla con gli utenti e, di conseguenza, la relazione da gestire è molto diversa seppur accomunata da un aspetto fondamentale: tutto si basa sulle aspettative. Per i mercati avere aspettative di un certo tipo e vederle rispettate è il “minimo sindacale”, fare peggio delle aspettative può essere devastante e far bruciare miliardi di capitalizzazione in una sola seduta di borsa (scatta, solitamente, un over selling sulle azioni di turno) mentre far meglio delle aspettative di solito premia un titolo e gli mette le ali.
Per gli utenti, il meccanismo è più o meno lo stesso: se penso che andando su una determinata piattaforma social potrò trovare l’anima gemella e poi questo non succede o incorro soltanto in profili non in linea con quanto promesso, sarò propenso ad abbandonare quella determinata piattaforma che, appunto, ha deluso le mie aspettative. Questo è proprio uno dei meccanismi che sta facendo collassare gran parte degli ex colossi del dating che, attualmente, non se la passano molto bene e non riescono più ad essere al passo con i tempi. Aspettative, quindi, come leva principale per relazionarsi, con successo o insuccesso, nei confronti di stakeholder molto diversi (e che, ovviamente, possono anche coincidere).
Uber sulla scia di Meta?
La strada tracciata da Meta sta già facendo nuovi proseliti nel mondo tech: recentissimo, ad esempio, è il caso di Uber che ha chiuso il suo anno fiscale per la prima volta in utile e che non ha escluso di poter considerare a breve di attivare un programma di buy back. Anche in questo caso, gli analisti delle principali banche d’affari globali che coprono il titolo e il settore non escludono però che, anche in questo caso, si possa andare verso lo stacco di dividendi. Anche chi scrive pensa che ciò è verosimile e, anzi, è razionale ipotizzare di vedere nei prossimi mesi e anni sempre più attività di remunerazione degli azionisti da parte delle big tech.
Sarebbe altresì semplicistico e forse anche ingenuo immaginare il prossimo futuro come caratterizzato da un ruolo di pagatori di dividendi seriali da parte delle big tech: i titoli per i cassettisti (se mai ce ne fossero ancora, oltre all’oracolo Warren Buffet e qualche altro sopravvissuto, ovviamente in senso più che ironico) saranno sempre altri e molto probabilmente ricadenti in settori economici più old style, dalle utility ai grandi conglomerati industriali e finanziari.
Tuttavia, il dado è tratto, si potrebbe dire: anche Meta e gli altri giganti tecnologici si stanno accorgendo di quanto è bello ricevere un like non soltanto dagli utenti ma anche – e soprattutto – dagli investitori. Ora, la sfida, sarà sempre più affinare la capacità di leggere le aspettative e i bisogni dei mercati anche da parte di questi colossi, relazionandosi di conseguenza in maniera forse più matura rispetto a quanto fatto fino ad oggi e restituendo ogni tanto un po’ dell’immenso valore creato con i rispettivi business, staccando perché no i tanto adorati dividendi.