L'INTERVISTA

Lucio Stanca: “Io, primo ministro dell’innovazione voluto da Silvio Berlusconi, vi racconto come andò”

“Silvio Berlusconi aveva le idee chiare: voleva un ministero dedicato a innovazione e tecnologia, come il governo inglese di Blair”, ricorda Lucio Stanca, ex top manager IBM, primo ministro dell’innovazione nella storia italiana. “Vent’anni fa furono lanciati molti semi, non tutti hanno germogliato. E vi dico anche perché”

Pubblicato il 14 Giu 2023

Lucio Stanca

“Non ci conoscevamo. Mi convocò ad Arcore e mi chiese: vuole fare il ministro? “. Lucio Stanca ricorda così come diventò il primo ministro dell’innovazione nella storia italiana. Il giorno dopo la scomparsa di Silvio Berlusconi è provato e commosso ma è contento di poter riconoscere al fondatore di Forza Italia “la lungimiranza e la visione che gli fatto intuire l’esigenza di avere un dicastero dedicato alla tecnologia, a quel cambiamento che allora ci comincia a intravvedere ma non era ancora certo percepito da tutti”.

Stiamo parlando del 2001, era appena finita la stagione inebriante della New Economy con lo scoppio della bolla delle dotcom, Google aveva appena cominciato a vendere gli annunci legati alle keyword, Amazon lanciava il suo marketplace e Facebook non c’era ancora. Lucio Stanca, classe 1941, pugliese con la stoffa del granatiere di Sardegna, era alla guida di IBM – dove ha lavorato per oltre 30 anni – con la responsabilità di Europa, Medioriente e Africa

Ingegnere, come si ritrovò dalla guida di una multinazionale della tecnologia alla poltrona di ministro per l’innovazione e la tecnologia dal 2001 al 2006?

“Dottore, semmai. Ho fatto economia e commercio alla Bocconi”

Mi scusi, pensavo che solo un ingegnere potesse fare in IBM una carriera come la sua…

Ha ragione, ma io ho sempre detto che ho fatto quella carriera proprio perché ero diverso.

Conosceva già Berlusconi?

L’ avevo visto una volta in occasione di una giunta di Confindustria, ma probabilmente neanche si ricordava di me. Lui era già una celebrità, uno dei volti nuovi dell’economia italiana.

Torniamo allora al suo primo vero incontro…

Era la primavera del 2001. Io ero vicino ai 60 anni e in IBM, come in molte multinazionali, è l’età in cui bisogna smettere. Stavo valutando se rientrare in Italia ma non sapevo per fare cosa. E mi arriva la convocazione ad Arcore. Berlusconi mi chiede del mio lavoro, allora ero presidente e direttore generale di IBM Europa, si mostra interessato al fatto che da me dipendeva una organizzazione con circa 100mila persone e 30 miliardi di fatturato. E poi mi dice: a giugno ci sono le elezioni, vuole fare il ministro?

E lei?

Francamente non me lo aspettavo. Gli dico che avrebbe avuto certamente la coda di pretendenti, pensavo a un impegno nell’area dell’economia. Ma lui risponde: ‘ha visto che Tony Blair ha un ministro dell’innovazione digitale? Mi hanno portato uno studio abbastanza sconfortante sulla situazione italiana. Anche io voglio un ministro dedicato alla tecnologia. Mi butti giù una paginetta e ci vediamo lunedì prossimo a colazione.

E cosa avrebbe dovuto fare quello che poi a Porta a Porta, da Bruno Vespa, Berlusconi lanciò come Mister I?

Il presidente Berlusconi pensava soprattutto alla pubblica amministrazione, ma io lo convinsi ad allargare l’area di attenzione: a che serve digitalizzare i servizi della pubblica amministrazione, se poi i cittadini non li usano? A quel tempo avevo la netta sensazione che anche top manager di importanti aziende internazionali pensassero che il digitale fosse destinato a sparire, una bolla appunto. Dopo una settimana, mi sono ripresentato ad Arcore con la mia paginetta e le mie idee sulla pubblica amministrazione, le imprese, i cittadini. Allora il livello di utilizzo di Internet era imbarazzante rispetto ad altri Paesi europei. E così a giugno 2001 giurai per la prima volta come ministro.

Che cosa la colpì in quei suoi primi incontri con Silvio Berlusconi?
Mi ha colpito la determinazione a creare questo nuovo ministero, ad accendere l’attenzione sui temi dell’innovazione e della tecnologia, perché era convinto che fossero strategiche pur non comprendendo appieno il nuovo mondo digitale che cominciava a prendere forma. La richiesta fu precisa: aveva le idee chiare. Mi colpì anche la sua estrema gentilezza: in fondo non ci conoscevamo, ci davamo del lei, ma ero completamente a mio agio. Come tanti hanno detto in questi giorni, era un seduttore ma anche un grande motivatore, riusciva sempre a trasmetterti ottimismo e la carica per quello che dovevi fare”.

Dottor Stanca, che cosa ricorda con piacere di quegli anni da ministro?

Pur avendo limitate risorse, perché furono meno di quello che mi aspettavo anche per il cambiamento del quadro economico, ebbi sempre il pieno supporto del Presidente. Veniva spesso a trovarci nel nostro dipartimento, incontrava le persone, le motivava. E poi penso di aver buttato più di un seme per quanto riguarda la digitalizzazione della pubblica amministrazione e non solo: il codice dell’amministrazione digitale, la legge sull’accessibilità delle tecnologie informatiche che porta il mio nome, la firma digitale e altri progetti. Io sentivo un impegno forte, anche perché nel preambolo del discorso alla Camera il presidente Berlusconi aveva dato grande rilevanza all’innovazione e alla tecnologia.

E che cosa invece ricorda come un rimpianto, qualcosa che non è riuscito a fare?

La scarsa attenzione per l’innovazione e la tecnologia, a tutti livelli, da diversi membri del Governo alla Pubblica Amministrazione centrale fino alle sue articolazioni territoriali. Non voglio parlare di resistenza perché sarei severo, ma certamente non c’era grande sensibilità per questi temi. Non ha idea della fatica fatta per la gestazione del Codice, il primo framework giuridico per governare le aree e gli strumenti necessari, dal valore dei documenti digitali alla firma digitale. Purtroppo, vedo che molti di quei progetti si sono arenati e alcune norme restano in parte ancora disattese, come l’accessibilità dei siti Internet, anche da parte delle aziende.

Come vede la situazione dell’innovazione e della tecnologia vent’anni dopo?

Devo essere sincero?

Può, assolutamente.

Sento ancora dibattiti su cose di cui discutevamo vent’anni fa, come l’identità digitale. Noi lanciammo la CIE, nonostante le resistenze del Ministero degli Interni, che ha proceduto nella distribuzione con una lentezza esasperante, tanto è vero che ancora molti italiani vanno in giro con la carta d’identità cartacea. Poi è stata lanciata la SPID. Adesso si vuole tornare alla CIE. A me sembra il gioco dell’oca, dove si torna sempre al punto di partenza. Vuole un altro esempio?

Magari…

La cartella sanitaria digitale. Fu lanciato come un progetto fondamentale vent’anni fa, per portare una standardizzazione in un settore in cui, non ogni Regione, ma spesso ogni ospedale aveva un suo modello, situazione che non ovviamente permetteva la circolazione dei dati. È stata fatta? La risposta è no.

Dottor Stanca, lei ha guidato una multinazionale, è stato il primo ministro dell’innovazione in Italia. Può dirci perché succede questo?

Vede, io ho potuto contare su una certa continuità di azione, cinque anni, che mi ha consentito di seminare e di avviare numerosi progetti. So bene che molti sono abortiti o sono stati abbandonati ma parecchi hanno rappresentato un germe che non ha avuto possibilità di fiorire, perché ad ogni cambio di Governo, il nuovo ministro ripartiva da zero. Così l’innovazione digitale non può seguire le strade che permettono di progettarla, implementarla e diffonderla. Forse è il paradosso innovazione: gli innovatori vogliono sempre cambiare, tutto e continuamente.

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Giovanni Iozzia
Giovanni Iozzia

Ho studiato sociologia ma da sempre faccio il giornalista e seguo la tecnologia . Sono stato direttore di Capital, vicedirettore di Chi e condirettore di PanoramaEconomy.

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