L’INTERVISTA

Luciano Floridi: “Aziende e intelligenza artificiale: non è un matrimonio, è un divorzio”



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Il filosofo Luciano Floridi spiega a EconomyUp l’atteggiamento che CEO e dirigenti dovrebbero avere nei confronti dell’applicazione dell’AI in azienda. E sottolinea: non saremo una società senza occupazione, ma con una crescente domanda di lavori ancora inesistenti

Pubblicato il 10 ott 2024

Luciana Maci

Coordinatrice editoriale EconomyUp



Luciano Floridi parla di AI e aziende all’evento Orbits
Luciano Floridi parla di AI e aziende all'evento Orbits

Quello tra le aziende e l’intelligenza artificiale non è un matrimonio, è un divorzio: è la teoria del filosofo Luciano Floridi, attualmente direttore del Centro di etica digitale della Yale University dopo una prestigiosa carriera accademica internazionale. Una teoria illustrata nel suo ultimo libro, “Filosofia dell’informazione” (Raffaello Cortina Editore) e di cui ha parlato in un recente evento a Milano, la prima del tour internazionale Orbits – Dialogues with intelligence. Un esperimento nuovo, una sorta di lectio magistralis riletta in chiave divulgativa per dirigenti, imprenditori e addetti ai lavori, nell’ambito della quale EconomyUp ha potuto intervistarlo.

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Luciano Floridi

L’unicità di essere umani dopo l’AI

Ci sono compiti che l’intelligenza artificiale può svolgere come e meglio di un essere umano e altri che invece devono continuare ad essere eseguiti dalle persone, evidenzia Floridi. Perciò, in un contesto aziendale, quei processi che possono essere tranquillamente assegnati all’AI devono “divorziare” da ciò che invece resta appannaggio dell’umano. Non c’è la necessità di mettere retoricamente “l’uomo al centro”, perché, sottolinea il filosofo, è da secoli che l’umanità ha perso la propria presunta centralità nell’universo, più o meno da quando si è capito che è la Terra ad orbitare intorno al Sole. “Invece di dire ‘uomo al centro’ – afferma il pensatore – l’essere umano dovrebbe stare un po’ in periferia e riuscire a guardarsi. Per capire così che l’intelligenza non è una caratteristica dell’intelligenza artificiale. Noi umani siamo a beautiful glitch in the universe, un’anomalia meravigliosa” dice il pensatore. “L’era digitale ci dà un’opportunità e ridisegna il nostro ruolo nella società contemporanea”. Ovviamente ridisegna anche i processi nel mondo delle aziende. Ed è qui che Floridi introduce il concetto di divorzio.

Professor Floridi, perché lo ritiene la chiave dell’applicazione dell’AI in azienda?

Perché è essenziale distinguere tra ciò che l’intelligenza artificiale può eseguire in modo ottimale e ciò che è meglio gestito dagli esseri umani. Attualmente disponiamo di strumenti straordinari, destinati a migliorare ulteriormente, capaci di svolgere una vasta gamma di attività con maggiore efficienza ed efficacia rispetto a noi, nonostante manchino di intelligenza. Questo concetto di separazione è essenziale. Tuttavia, per integrare l’intelligenza artificiale nei processi produttivi e gestionali, è fondamentale ripensare tali processi. In sostanza, l’innovazione si fonda sull’integrazione, che richiede un certo grado di separazione. Un CEO o un dirigente che comprende questo principio saprà riconoscere quando e dove è possibile sostituire l’intervento umano, ottenendo risultati equivalenti o superiori, anche senza intelligenza. Questa riflessione è cruciale per qualsiasi azienda. Solo coloro che sono in grado di farla potranno competere efficacemente a livello globale. Altrimenti un’azienda si limita a restare sul mercato, ma senza avere realmente voce in capitolo.

PMI e intelligenza artificiale: l’importanza di sperimentare

L’atteggiamento delle aziende nei confronti dell’AI spesso oscilla ancora tra l’entusiasmo e la diffidenza. Qual è il giusto approccio? E in Italia siamo pronti?

Alcune aziende italiane potrebbero trovarsi in ritardo o non aver compreso pienamente le implicazioni dell’innovazione tecnologica. Talvolta l’entusiasmo è eccessivo, altre volte insufficiente. Risulta complesso far comprendere alle imprese come una trasformazione di tale portata possa concretizzarsi nel contesto lavorativo e in generale nella società. Spesso c’è una tendenza al disinteresse, con l’idea che “non mi riguarda, non fa parte del mio lavoro”. Tuttavia l’approccio ideale è equilibrato: occorre analizzare le attività aziendali per identificare i punti critici che l’intelligenza artificiale potrebbe ottimizzare. Questo non implica semplicemente acquistare una tecnologia per poi decidere il suo utilizzo in futuro, né adottare un atteggiamento attendista, aspettando che altri la implementino per primi. L’Italia è caratterizzata da un tessuto imprenditoriale di piccole e medie imprese, la cui forza risiede nella flessibilità. A differenza delle grandi aziende, che raramente possono permettersi di sperimentare e poi cambiare rotta, le PMI hanno questa possibilità. Pertanto è consigliabile intraprendere sperimentazioni mirate, individuando dove l’intelligenza artificiale possa portare vantaggi in termini di riduzione dei costi e aumento della produttività. Si può fare bene anche con investimenti relativamente contenuti. Tuttavia non esiste una soluzione uniforme per tutte le aziende.

Quanto sono importanti le nuove generazioni in azienda per l’introduzione e l’implementazione dell’AI?

Sono cruciali, come sempre, ma in questo contesto offrono un’opportunità aggiuntiva: possono introdurre nuove idee, abitudini e, soprattutto, aspettative. Nessuno meglio di un giovane è in grado di spiegare quali siano le modalità operative attese oggi. Questo non implica necessariamente che sappiano eseguire le attività in quel modo, ma si aspettano che sia così. Di conseguenza l’azienda si adatta per soddisfare tali aspettative.

AI in azienda: la questione occupazionale

Dietro l’intelligenza artificiale in azienda appare spesso lo spettro della jobless society: le persone temono che le macchine arrivino a sostituirle. Cosa possiamo rispondere a questi timori?

La questione delle implicazioni sul mondo del lavoro è rilevante, ma deve essere inquadrata correttamente. Non ci stiamo dirigendo verso una società senza occupazione, bensì verso una società con una crescente domanda di lavori ancora inesistenti. Il problema non è la mancanza di domanda, ma la disconnessione tra domanda e offerta. C’è un forte bisogno di professionisti nel campo dell’intelligenza artificiale, con milioni di posizioni aperte a livello globale, ma fatichiamo a trovarli. È quindi essenziale investire in una formazione adeguata, che rappresenta un elemento cruciale per accelerare e facilitare questa transizione. In Italia, le academies stanno svolgendo un ottimo lavoro, ma è necessario intensificare e migliorare ulteriormente gli sforzi in tal senso per rendere questa fase di cambiamento il più rapida e indolore possibile.

Servirà un progetto di welfare per renderla meno dolorosa?

Sì, è necessario considerare anche il tema del welfare. Esiste una generazione che sta sostenendo i costi di questa straordinaria trasformazione, e non dovrebbe sopportarne esclusivamente gli oneri. Dovremmo cercare di anticipare alcuni dei benefici derivanti da questa trasformazione e condividerli con coloro che stanno pagando un prezzo elevato per ottenerli.

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