Lorenzo Franchini (Fondo Boost Innovation): aziende, fate startup per innovare e crescere

È l’appello del responsabile del Fondo Boost Innovation, lanciato un anno fa da CDP Venture Capital a sostegno dell’open innovation. “Ragioniamo come un venture builder ma lo facciamo con gli strumenti di un fondo”, dice Lorenzo Franchini. “Il taglio medio degli investimenti è di 5 milioni, sempre in match con l’azienda”.

Pubblicato il 09 Dic 2021

Lorenzo Franchini, Responsabile Fondo Boost Innovation

In Italia sono rari i fondi che fanno venture building insieme alle grandi aziende” E Lorenzo Franchini, Responsabile del Fondo Boost Innovation di CDP Venture Capital Sgr, non ha dubbi che ce ne sia bisogno: “Oggi per le aziende la capacità di innovare rapidamente è fondamentale per affrontare le sfide della competizione, della tecnologia, delle risorse e della sostenibilità.”. Ma non sempre sanno che cosa fare e come farlo.

Un fondo per l’open innovation, quindi, ma non a sostegno del corporate venture capital. La mission è un’altra: “supportare le corporate italiane nell’avvio e nel funding di startup con un forte impatto innovativo per il business delle corporate stesse”. Si tratta quindi di fare venture building, un modello sempre più diffuso a livello internazionale che si sta affermando anche in Italia: creare una nuova impresa partendo da un bisogno, o da un’opportunità, per produrre innovazione. Un lavoro che il Fondo Boost Innovation ha cominciato a fare un anno fa, con una dotazione iniziale di 50 milioni di euro. Ne parliamo con Franchini, che in CDP Venture Capital è arrivato dopo un’esperienza ultra decennale come imprenditore e investitore con ScaleIT, piattaforma di venture capital e open innovation, creata per sostenere lo sviluppo internazionale delle migliori scaleup italiane e con IAG, della quale è stato socio co-fondatore, investitore e managing director nei primi 6 anni di attività.

Cominciamo dalla mission del fondo Boost Innovation, Che cosa fa esattamente?

Co-crea startup insieme alle corporate che hanno maturato l’interesse per far partire una nuova iniziativa imprenditoriale in un ambito specifico. L’azienda in noi trova qualcuno con cui confrontarsi su come e quando decidere di fare una nuova venture, se farla insieme a noi, se co-finanziarla o meno. Insomma, non siamo solo un partner finanziario.

Quindi fate il lavoro del venture builder?

Sì, siamo un venture builder in forma light. Ragioniamo come un venture builder ma lo facciamo con gli strumenti di un fondo. Nel mondo è un modello che si è sviluppato da almeno cinque anni in modo significativo. E cito solo i casi di Kamet Ventures di AXA, BP Launchpad o RBC Ventures di Royal Bank of Canada: noi abbiamo trovato una dozzina di esempi. Per le aziende noi diventiamo dei partner.

E qual è la difficoltà più grande che si incontra affiancando le aziende?

La sfida più grande è spingere la corporate a ragionare e ad agire seguendo il metodo lean delle startup. Da consulente è difficile, ma se ti poni al pari, se lo fai da partner che si mette in gioco, diventa più semplice e il lavoro di venture builder diventa più efficace.

Su che cosa le corporate fanno resistenza di solito?

C’è un gap di cultura imprenditoriale che si manifesta in diversi modi. Faccio un esempio: la formazione del team. Di solito l’azienda è abituata a scegliere un gruppo di bravi manager e affidar loro un budget e comincia a fare fatica quando si comincia a parlare di dar loro quote della nuova venture: noi proponiamo di solito una forbice fra il 20 e il 30%. Oppure il funding: magari vengono allocate risorse importanti all’inizio e poi si va a ridurre. Quando invece una startup fa esattamente il contrario: parte con poco, realizza un MPV e se funziona comincia a investire. Ecco, a questo punto, spesso le aziende cominciano a tentennare quando invece sarebbe il momento di metterci capitali maggiori.

Quindi con il Fondo Boost Innovation nascono spin-off aziendali?

A volte può accadere, ma non è detto che accada sempre. In qualche caso c’è la volontà di uscire dal perimetro aziendale, perché c’è la consapevolezza che altrimenti si rischierebbe di soffocare la nuova impresa o perché si vuole andare sul mercato. In altri casi, invece, si può semplicemente sviluppare un’idea interna che può portare a una vera innovazione del business.

Per quali tipo di aziende il Fondo Boost Innovation è l’interlocutore ideale?

Sia la media impresa, che sta fra i 100 e 500milioni di fatturato, sia la grande. Abbiamo già avuto modo di verificare che lo switch, indipendentemente dalle dimensioni, c’è quando l’azienda ha capito che il tema dell’innovazione è strategico e magari ha già fatto attività di scouting. Se non c’è stata prima una decisione strategica, è difficile convincere un’azienda a fare venture building. Ci sono grandi aziende che magari investono molto in tecnologia, ma non hanno fatto questo passo strategico. Mentre ci sono medie imprese molto più reattive.

E voi come coinvolgete le imprese?

Quelle più mature arrivano direttamente da noi. In altri casi noi abbiamo una progettualità interna che guarda ai settori strategici per il Paese, dalla digitalizzazione alla transizione ecologica, dalla smart health all’industria 4.0, identifichiamo delle aree di opportunità e li dove le troviamo andiamo a cercare le corporate e le ingaggiamo con vari livelli di collaborazione. Lo abbiamo già fatto con 5 progetti, alcuni dei quali verranno lanciati nel primo trimestre 2022.

Quindi fate anche da “provocatori” dell’open innovation?

Abbiamo l’ambizione di portare le corporate a fare davvero startup. Una scelta, che se portata a fondo, finisce per coinvolgere tutta l’azienda, le line di business, la comunicazione, il legal. Insomma, diventa l’avvio di un vero processo di trasformazione.

Quale sarà il taglio medio dei vostri investimenti?

Sui 5 milioni, mai meno di 2, mai più di 10. Devono comunque essere investimenti in match con le corporate che deve mettere almeno il 50% dell’’investimento, mai di meno.

Franchini, chiudiamo con un appello alle aziende.

Le migliori startup sono fatte da 35-45enni che lasciano le aziende per fare impresa. Le corporate possono e devono intercettare questi talenti imprenditoriali per produrre innovazione e sviluppare nuovo valore. Noi offriamo un team indipendente, che garantisce efficienza nell’uso dei capitali: due elementi che permettono di trovare un punto di equilibrio fra il venture corporate e la creazione di una startup. Il risultato? Velocità di execution e crescita veloce. Se si fa la stessa cosa secondo i modelli tradizionali, non si otterranno mai gli stessi risultati.

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Giovanni Iozzia
Giovanni Iozzia

Ho studiato sociologia ma da sempre faccio il giornalista e seguo la tecnologia . Sono stato direttore di Capital, vicedirettore di Chi e condirettore di PanoramaEconomy.

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