Sta arrivando l’inverno dell’open innovation.
Anche quest’anno sono stato invitato ad aprire SMAU per “misurare il polso” dello stato dell’open innovation in Italia.
Strutturalmente la situazione è infinitamente meglio rispetto anche solo a pochi anni fa. Il sistema delle startup è cresciuto tanto e il mondo delle imprese è decisamente più ingaggiato.
Però l’aria non è frizzante.
Colpa del contesto globale improntato alla recessione (interessi alti, calo della crescita, tensioni geo-politiche) e dello scenario del venture capital che, dopo l’anno dei sogni (il 2021), ha avviato, a partire dal secondo trimestre dello scorso anno, una forte contrazione degli investimenti (il cosiddetto “VC pullback”) che dal late stage si è diffusa progressivamente a tutti gli stadi, early e seed inclusi. In Europa e, in particolare, in Italia la bassa marea del venture capital è arrivata con 6-9 mesi di ritardo. I dati del 2022 (il nostro anno migliore di sempre) hanno forse illuso qualcuno che il freddo non avrebbe colpito il Bel Paese. E invece no. L’inverno delle startup è arrivato.
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L’inverno dell’open innovation: budget ridotti nel 2024
E purtroppo la temperatura è destinata ad abbassarsi anche perché molte imprese per il 2024 rivedranno i budget da dedicare all’innovazione. La crisi economica porterà le aziende non solo a rivedere i budget ma, in parallelo, anche a fare valutazioni circa l’efficacia delle iniziative di open innovation finora attuate. In Italia questo processo per le grandi aziende partecipate è associato al cambiamento della governance: nuovo AD, nuovo CIO, rivalutazione del percorso fatto.
E’ comunque ormai definitivamente alle spalle quella che siamo soliti chiamare l’“era del marketing”, quando il solo annunciare di lavorare con le startup era considerato cool e il motivo prevalente delle iniziative delle aziende in tal senso era meramente quello di comunicare. Oggi le aziende stanno rapidamente transitando all’“era dei risultati”.
Il che è una buona notizia. Perché c’è bisogno di fatti, non di annunci.
Cosa non ha funzionato
Però la realtà è che molte iniziative non hanno prodotto molto e che comunque, per molte di queste, i risultati sono difficili da misurare. Nello specifico:
- Gli acceleratori corporate strutturalmente si sono rivelati poco efficaci (non a caso a livello internazionale molte aziende si sono disimpegnate o sono sul punto di farlo);
- Il venture client, se bene applicato, ha dimostrato di poter produrre progetti pilota (poc) e collaborazioni che però spesso faticano a passare alla fase di industrializzazione e pertanto ad avere impatto significativo sul conto economico;
- Gli investimenti (CVC) per loro natura hanno orizzonti di ritorno a lungo termine e mal si prestano per valutazioni ad interim; il loro indubbio contributo strategico è difficile da misurare;
- Il Venture Builder è appena partito e quindi pensare di poter mostrare qualsivoglia risultato è pura fiction.
Ma sarebbe un errore buttare via il bambino con l’acqua sporca.
Per questo è fondamentale riuscire a misurare e trasmettere il reale impatto delle iniziative di open innovation, che è in primis di trasformazione strategica e culturale. E’ ciò che viene definito un “intangible asset”: difficile da valorizzare ma non impossibile.
Dotarsi di metriche e benchmark internazionali è pertanto essenziale per poter difendere i budget e potersi così continuare a concentrarsi sul fare.
Perché i risultati economici e finanziari arriveranno.
E perché non c’è alterativa all’open innovation, perlomeno per le aziende che intendono sopravvivere.