OPEN INNOVATION IN PRACTICE

Leonardo Spa, le sfide di open innovation di un big di difesa e aerospazio

Per la multinazionale italiana l’innovazione è fondamentale nelle aree cybersecurity, comunicazioni e trasporto aereo. Le grandi dimensioni e i suoi prodotti, duraturi e con lunghi tempi di progettazione, sembrano portarla lontano dall’open innovation. Invece è decisa a gestire in modo costruttivo le peculiarità del settore

Pubblicato il 09 Feb 2018

leonardospa

Leonardo S.p.A. è una delle più grandi multinazionali italiane, attiva nei settori della difesa, dell’aerospazio e della sicurezza. Nata nel 1948 opera in tutto il mondo, con una rilevante presenza industriale in Italia, Regno Unito, USA e Polonia, conta oltre 45.600 dipendenti e nel 2016 ha registrato un fatturato di circa 12 miliardi di euro. Il Ministero dell’economia e delle finanze italiano è l’azionista di maggioranza con una quota di circa il 30%.

L’azienda opera in un mercato caratterizzato da un alto contenuto tecnologico in cui l’innovazione ricopre un ruolo fondamentale, come sottolineato da Giorgio Mosca, Responsabile Analisi Competitiva, Strategie e Tecnologie della Divisione Sicurezza e Sistemi per l’Informazione, intervenuto come relatore al Convegno “Corporate Entrepreneurship e Open Innovation: innovare con un occhio alle startup!”. In particolare, «la nostra Divisione opera su aree di attività, ad esempio cybersecurity, comunicazioni, trasporto aereo, che stanno evolvendo molto rapidamente e richiedono che il prodotto si arricchisca di nuove funzionalità, anche a supporto di un processo sia di digitalizzazione che di trasformazione delle soluzioni in servizi per il cliente». Questa accelerazione richiede di ricercare sul mercato quei player, più PMI innovative che startup, che stanno generando innovazione digitale, in un’ottica di innovazione aperta.

Un primo approccio nei confronti dell’Open Innovation da parte di Leonardo era avvenuto già intorno al 2006, quindi quando Chesbrough l’aveva da poco definita, ma si era trattato fondamentalmente di un’attività esplorativa.

Chi è il padre dell’open innovation, Henry Chesbrough, e perché la sua teoria aiuta le imprese a crescere

Ora si sta effettuando il secondo step, cercando di superare quelle difficoltà che non riguardano la ricerca e l’identificazione di player esterni, ma che sono insite nella natura stessa dell’azienda. Giorgio Mosca ha identificato due principali ostacoli nell’attuazione di un approccio di Open Innovation: prima di tutto la dimensione dell’azienda, «perché all’interno della Divisione operano circa 1.000 persone che partecipano a qualche titolo al processo di innovazione. Nel momento in cui andiamo a cercare o stimolare innovazione dall’esterno, molti rischiano di soffrire della sindrome del not-invented-here o di sentirsi insoddisfatti per l’impossibilità di sviluppare innovazione radicale, essendo il processo interno più orientato all’innovazione incrementale, forse meno interessante, ma assolutamente necessaria». Il secondo ostacolo è connaturato alla natura dell’azienda e dei suoi modelli diffusi di innovazione, realizzati per «prodotti che vivono molto a lungo e richiedono tempi di progettazione e realizzazione altrettanto estesi, un paradigma che potrebbe sembrare lontano dal mondo dell’Open Innovation».

La necessità e la principale sfida per Leonardo è quindi quella, come spiegato da Mosca, «di far convivere questi due approcci e queste due culture, nell’ambito di un’azienda che ha una struttura molto solida e che deve gestire in modo costruttivo la peculiarità proprie e del settore a cui appartiene».

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Alessandra Luksch
Alessandra Luksch

Direttore dell'Osservatorio Startup Thinking degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano

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