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Le ragioni del ritardo dell’Europa (e dell’Italia) sull’innovazione



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L’Europa si era posta l’obiettivo di investire in ricerca il 3% del PIL, 25 anni dopo siamo al 2%. Le risorse pubbliche non sono tanto meno che negli USA, ma sono molto frammentate. E quindi poco efficaci

Pubblicato il 26 nov 2024



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Lo scorso 15 novembre a Varese abbiamo avuto come ospite alla Giornata della ricerca del Dipartimento di Economia dell’Università degli Studi dell’Insubria Massimo Gaudina della Commissione Europea.

È stato un confronto molto interessante. Tra i tanti spunti, in particolare due osservazioni di Massimo mi hanno fatto mettere in prospettiva le ragioni che stanno dietro al ritardo dell’Europa (e dell’Italia) sul fronte dell’innovazione.

Chi investe poco, difficilmente raccoglie frutti

Perché l’Europa e, ancora più, l’Italia hanno perso il treno dell’innovazione? Massimo lo ha spiegato in 20 secondi.

  • L’Europa si era posta l’obiettivo di investire in ricerca il 3% del prodotto interno lordo.
  • Oggi, 25 anni dopo, siamo al 2%.
  • Solo due paesi sono sopra al 2%.
  • L’Italia è tra 1.3-1.4%.

Se si cammina, quando il resto del mondo corre è difficile vincere le partite.

La frammentazione delle risorse rispetto agli Stati Uniti

Se però si guarda alle risorse pubbliche investite in R&D & sviluppo ed innovazione, la differenza con gli USA non è poi così grande.

La grande differenza con gli Stati Uniti sta nella frammentazione degli interventi.

  • Noi abbiamo 27 politiche di innovazione, 27 agenzie, tanti programmi diversi, tante legislazioni.
  • In America grandissima parte delle risorse sono gestite a livello federale.
  • In Europa il 90% è gestito a livello nazionale, con meno del 10% investito a livello europeo.

Finché non mettiamo a sistema le risorse, l’output saranno risultati subottimali.

In Europa investiamo meno e investiamo male

Investiamo meno, investiamo male (nel senso in modo non coordinato), non aspettiamoci miracoli.

Ma non diamo la colpa all’Europa che, come ci ha ricordato Massimo, ha prodotto tanto: il mercato unico, la moneta unica, la strategia vaccinale, il debito comune per il Next Generation, i programmi di ricerca, l’Erasmus (senza dimenticare la fine della guerra intra-europea) sono realtà concrete.

Ma certo non bastano. Alla fine i settori dove c’è più bisogno di Europa sono quelli in cui i Paesi non hanno ancora condiviso le loro competenze: difesa, politica estera, fisco, immigrazione, innovazione.

Qui serve un passo avanti, che, in questo momento storico, purtroppo, sembra alquanto improbabile. Ma la storia spesso mostra come in situazioni estreme si facciano passi importanti.

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