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Le metriche dell’innovazione: la sindrome delle aspettative lineari e quella dello struzzo



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Quali sono le metriche dell’innovazione realmente utili? Le metodologie non mancano ma non c’è ancora uno standard. Importante è non cadere in due atteggiamenti opposti (fare come per altre attività o evitare il problema) e trovare il modo di rendere digeribile l’incertezza

Pubblicato il 10 ott 2024

Andrea Contri

Innovation Director



metriche innovazione

E poi arriva il momento delle metriche dell’innovazione.

L’obiettivo finale delle pratiche di innovazione è molto chiaro: individuare e sfruttare nuove opportunità di creazione del valore (interno o esterno), per contribuire in modo significativo ai risultati di business in una prospettiva di lungo termine.

Tuttavia, in contesti aziendali votati all’esecuzione efficiente e all’ottimizzazione, può essere molto sfidante misurare i progressi degli sforzi di innovazione.

Vediamo quali sono le principali questioni riguardanti le metriche dell’innovazione.

Metriche dell’innovazione, l’innovation accounting

Storicamente ci si è concentrati su indicatori quali il numero di brevetti o la percentuale di ricavi reinvestiti nella ricerca e sviluppo, ma si tratta di misure aggregate e focalizzate soprattutto sugli input piuttosto che sugli effettivi esiti di business.

Per converso, misurare la percentuale di ricavi o profitti derivanti da nuovi prodotti o servizi, per quanto utile e necessario ai fini strategici, è possibile solo in maniera retrospettiva.

Ma quali metriche dell’innovazione sono realmente utili per prendere decisioni in corso d’opera?In letteratura si parla di innovation accounting per indicare l’insieme dei tentativi di risposta a questa domanda.

Il termine è stato coniato da Eric Ries nel suo classico libro Partire Leggeri (The Lean Startup), e nel tempo è arrivato a descrivere una serie di metodologie che purtroppo risultano ancora molto frammentarie e lontane dal rappresentare uno standard come quello dei princìpi contabili.

Metriche dell’innovazione, gli atteggiamenti da evitare

Ciò che secondo la mia esperienza si può generalizzare, però, sono i due atteggiamenti estremi da evitare.

La sindrome delle aspettative lineari

Nel primo caso, che potremmo definire “sindrome delle aspettative lineari” si applicano per familiarità gli stessi metodi utilizzati nell’attività principale d’impresa, senza tenere conto della natura rischiosa e incerta dell’oggetto che si sta misurando.

Per esempio, si richiedono business case molto dettagliati, si adottano modelli finanziari rigidi che lasciano poco spazio all’evoluzione simultanea di molte variabili, si privilegiano i ritorni di breve periodo, e non si contempla l’eventualità di dover fare dei reloop.

Questo però riduce implicitamente la necessaria propensione al rischio, portando ad una eccessiva incrementalità e cautela: nella mia esperienza ho spesso visto appiattire i funnel di innovazione fino a renderli dei “tubi digerenti” quasi completamente sequenziali, oppure scambiare stime di potenziale per promesse puntuali, sorprendendosi poi quando i dati consuntivi si scostano dalle previsioni.

È l’atteggiamento a cui si riferiva Seth Godin:

Se il fallimento non è un opzione, allora non lo è neanche il successo

All’estremo opposto, che chiameremo “sindrome dello struzzo”, si rinuncia del tutto ad affrontare le difficoltà della misurazione e ci si assesta su un livello aspirazionale.

La sindrome dello struzzo

Succede ad esempio quando ci si focalizza eccessivamente su metriche di processo (come il numero di idee ai vari stadi di un funnel) solo perché sono facili da rilevare, senza metterle necessariamente in relazione con gli obiettivi e i risultati aziendali. Oppure quando si privilegiano le valutazioni qualitative (come il fit strategico o la diffusione della cultura dell’innovazione) senza però tramutarle in numeri, anche stimati, che siano di reale supporto alle decisioni.

Sia chiaro: gli elementi di processo e qualitativi sono fondamentali, ma lavorando solo su quelli si diventa presto autoreferenziali, erodendo la fiducia del resto dell’azienda ma soprattutto perdendo il rigore necessario per sostenere le iniziative che si dimostrano più promettenti oltre le fasi embrionali.

Come quantificare l’incertezza e renderla digeribile

Quindi, nella cassetta degli attrezzi dell’innovatore in azienda non possono mancare strumenti che permettano di colmare il divario tra questi due estremi, quantificando l’incertezza e rendendola “digeribile” anche ai vertici aziendali.

Alcuni esempi pratici sono l’allocazione delle risorse in logica di portafoglio, le simulazioni Monte Carlo per stimare gli scenari quando si hanno tante ipotesi e poche evidenze, le hill chart per gestire le attività progettuali tenendo conto delle incognite sconosciute, e le riunioni post-mortem per catturare e celebrare gli apprendimenti di ogni iniziativa.

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