La corsa al digitale di aziende e consumatori sta riportando alla crescita il settore ICT italiano dopo cinque anni di flessione. E farà ripartire l’intera economia italiana, a patto che gli investimenti nell’innovazione si rafforzino, e siano stimolati e indirizzati dal governo.
Questo il senso del convegno Assinform tenutosi ieri 2 luglio non a caso nella cornice dell’Expo di Milano, in cui l’associazione ha presentato “Digitale per crescere – Manifesto per l’Italia che ci crede”.
«Le imprese del settore ICT guardano con responsabilità alla digitalizzazione del Paese e vogliono fare la loro parte mettendo a disposizione tecnologie, competenze, visioni», ha detto Agostino Santoni, presidente di Assinform, presentando il manifesto scritto con Confindustria Digitale: «Siamo convinti che tra le azioni previste dalla strategia per la crescita digitale del Governo, alcune devono avere priorità perché possono accelerare il cambiamento».
Le priorità sono sette, e raccomandano la veloce digitalizzazione della cultura dei cittadini, in termini di programmi per l’istruzione e la formazione; degli ecosistemi (promuovendo piattaforme per scambiare dati e condividere servizi tra imprese, enti, comunità); della vita quotidiana dei cittadini (valorizzando iniziative di Smart City basate sull’internet of things); della Pubblica Amministrazione (ricominciando a investire in innovazione e istituendo una governance sistematica); dell’impresa (incoraggiando a tutti i livelli gli investimenti); delle conoscenze comuni, attraverso piattaforme open data e Big Data; e infine la sicurezza e privacy delle informazioni.
La risposta a queste sollecitazioni durante il convegno è arrivata da due rappresentanti delle istituzioni: Paolo Barberis, consigliere per l’Innovazione della presidenza del Consiglio, e Antonio Samaritani, il direttore dell’AgiD. «In Italia abbiamo oltre 100mila servizi online, molto frammentati, e pochissimi sono mobile friendly – ha detto Barberis -. Stiamo lavorando a un nuovo ecosistema digitale per lo sviluppo open di servizi e applicazioni per il cittadino, poggiato su quattro pilastri, e che lascia tutto il resto al mercato, con gli opportuni vincoli e linee guida».
Il pilastro principale è Italia Login, l’erede di italia.it, un portale che farà da sistema pubblico di identità digitale per il cittadino, e quindi da unico punto d’accesso per tutti i servizi, sia esistenti che nuovi, adattabili a qualsiasi device. Gli altri sono l’anagrafe digitale unificata, un sistema di notifiche per il cittadino, e un sistema unico di pagamenti da cittadino a PA. E l’Agid, sottolinea Barberis, sarà il centro di questo ecosistema, coordinando identity provider, service provider e application provider coinvolti.
«Stiamo preparando il master plan per realizzare tutto questo», ha spiegato Samaritani, precisando che al di là di Italia Login ci sono altri progetti, sia infrastrutturali, tra cui SPID, il sistema pubblico di identità digitale (e poi data center, cloud, security), sia di contenuti per le varie filiere, come sanità digitale, pagamenti alla PA e così via.
«Stiamo lavorando a macchia di leopardo, andare in sequenza richiederebbe tempi troppo lunghi. Le priorità sono due: SPID sul lato infrastrutture, e i pagamenti per la parte contenuti». Su SPID è in corso la pianificazione di dettaglio: «La prima fase riguarda le regole per la selezione degli identity provider, società private che certificheranno l’identità digitale: siamo in corsa col garante per pubblicarle prima dell’estate, e sul fronte tecnico sono iniziate le sperimentazioni con alcuni enti pubblici».
Per quanto riguarda i pagamenti, «nelle PA aderenti al Nodo dei Pagamenti tutto funziona già, per ora sono 230 su 20mila enti pubblici, stiamo spingendo per aumentare le adesioni». Un altro aspetto importante, ha concluso Samaritani, è che cambierà l’approccio agli acquisti, e quindi i rapporti con Consip, Sogei e così via.
«Il procurement sarà gestito nell’ambito dell’infrastruttura generale in definizione, per cui occorre decidere in quale o quali data center allocare e aggregare questi servizi. In questo caso ci vorranno 7-8 mesi per avere i primi effetti». A suggellare l’auspicio di un ambiente fortemente favorevole all’innovazione digitale anche in Italia, Assinform ha dato spazio anche a tre dei principali venture capitalist italiani.
«Ho circa 50 milioni in dotazione, investiti in 18 società – ha spiegato Andrea Di Camillo, founder di Programma 101 -. In italia oggi i capitali pro capite disponibili per questo tipo di investimenti sono oltre 70 volte minori rispetto agli USA: un gap enorme. Ma anche la Francia, una realtà economica molto simile all’Italia, investe 10 volte tanto. Incontriamo ogni anno 1500 iniziative, tipicamente investiamo in una su 100. E gli altri? Magari non riescono a fare un’azienda propria ma compongono un knowhow di alto livello, che le grandi aziende dovrebbero sfruttare. Una cosa mi sento di raccomandare con forza: non aspettiamoci che la startup diventi un caso di successo dopo due mesi. Non dobbiamo avere fretta, non dobbiamo rimanere delusi subito».
«È fondamentale il concetto di community: l’innovazione digitale nasce dal basso – ha detto Davide Dattoli, co-founder di Talent Garden -. Quindi mettere insieme le persone è importante, e oggi in Italia abbiamo 4000 startup sparpagliate in tutto il paese, al di fuori del mondo classico di grandi imprese e associazioni industriali. Abbiamo creato Talent Garden per dare una casa agli “startupper”, per fargli fare sistema, creare sinergie. Esistono altre 3000 startup italiane con sede all’estero, in italia è difficilissimo, e non è solo un problema di leggi inadeguate: i venture capital sono pochissimi e anche le aziende grandi fanno molto poco. Per questo dico loro: esplorate questo mondo, eventi come startupweekend e supernova, incubatori come Digital Magics, luoghi come Talent Garden: contaminatevi».
Infine Massimiliano Magrini, co-founder United Ventures: «Tutte le multinazionali tecnologiche sono nate da venture capital, la pazienza di questi investitori è fondamentale: finanziamo imprenditori che hanno l’ambizione di ridefinire interi settori, e che hanno bisogno di tempo e di capitali. Mi chiedono sempre se esiste in Italia gente del genere, ma la capacità imprenditoriale qui da noi non ha niente da invidiare agli altri paesi. Il rapporto con il mondo dell’impresa tradizionale è delicato: la grande impresa non deve dialogare con le startup fino a quando queste non hanno definito un proof of concept, altrimenti le soffoca; ma a quel punto deve saper capire se la startup può trasformare il settore».