Pochi giorni fa è uscito un articolo di Henry Chesbrough, padre del concetto di Open Innovation, dedicato all’emergenza coronavirus in cui sottolinea come in tempo di crisi, come quello che stiamo vivendo a livello mondiale, la velocità sia cruciale, perché prima conosciamo e prima possiamo agire, con beneficio per tutti.
Altrettanto cruciale è sapersi aprire alle collaborazioni perché questo può potenziare i progressi, offre la possibilità di testare le soluzioni in parallelo, di condividere i risultati, di aumentare la creatività. E nell’articolo Chesbrough fa una vera e propria chiamata alle armi a una nota azienda che produce mascherine, a chi produce ventilatori, ma anche ad aziende farmaceutiche e laboratori di ricerca affinchè mettano a disposizione i propri bevetti (magari inutilizzati) e i propri asset per fronteggiare l’emergenza.
Se ci avessero chiesto qualche settimana fa quanto l’open innovation sia radicata in Italia, sulla base delle nostre ricerche avremmo affermato che lo è principalmente nelle grandi imprese ma che serve ancora cultura e un ecosistema solido.
Eppure, da quando questo terribile nemico ci ha attaccati, senza fare alcuna distinzione tra giovane o vecchio, ricco o povero, imprenditore o impiegato, ecco che in un momento di profonda crisi, è emersa tutta la forza del nostro ecosistema di innovazione che si sta affermando con sana prepotenza.
Un brillante esempio è il caso della startup bresciana Isinnova, guidata da Cristian Fracassi con cui abbiamo avuto l’onore di avere un’emozionante chiacchierata in questi giorni: una di quelle telefonate che mettono la carica!
Alla richiesta di aiuto, urgente e disperata, dell’Ospedale di Chiari, Isinnova ha risposto immediatamente e ha progettato e sta realizzando valvole per i respiratori necessari per i pazienti affetti da Covid-19, tramite la tecnologia della stampa 3D, da installare su maschere da sub di Decathlon.
Non solo, dopo aver ideato tale valvola, denominata Charlotte, ha rilasciato il disegno e il brevetto, a patto che non venisse usato a scopo di lucro, cosicché altre aziende, dotate di macchinari per la stampa in 3D, potessero aiutare nella produzione di questi componenti salva-vita.
Ad oggi sono stati fatti download del disegno Isinnova per oltre due milioni di pezzi, di cui ben 3000 in Brasile, per fare un esempio. Si sta ora ultimando il fascicolo tecnico che sarà inviato all’ospedale di Brescia per stilare il protocollo finale. Centinaia di aziende hanno contattato Isinnova per aiutare nella stampa, da Beretta, a Leonardo e A2A ma anche tante piccole imprese e alcuni privati; non sono mancati contati dall’estero, da Polonia e Francia ad esempio.
Alla richiesta di 500 pezzi di supporto fatta da Isinnova ad altre aziende ne sono giunti oltre 1000. Decathlon ha comunicato di voler donare 10.000 maschere da sub Easybreath alle Regioni italiane, oltre a mettere a disposizione il proprio gruppo di ingegneri per collaborare a implementare la soluzione realizzata dal Fracassi.
E per completare questo quadro di collaborazione, il gruppo bergamasco Oldrati, che stampa le maschere di Decathlon, ha nel frattempo realizzato anche lo stampo per la produzione a iniezione del respiratore ideato da Isinnova, andando a inserirlo in un progetto già ben conosciuto, quello delle maschere della Decathlon, in modo da aumentare la disponibilità dei pezzi prodotti e sostenere questa iniziativa fondamentale. Le prime 2000 prodotte da Oldrati saranno donate.
Al momento ci sono almeno già 15 ospedali in Italia e 3 a Londra che provano le maschere Isinnova e Cristian Fracassi è in quotidiano contatto con i medici. Al telefono ci dice che probabilmente è immune al virus avendo avuto “contatti” con centinaia di malati Covid negli ospedali! Charlotte non si ferma qui, esistono ormai più di 11 versioni di questa valvola, ognuna con un piccolo miglioramento o specializzazione.
Il caso Isinnova fortunatamente non è isolato nel nostro Paese. Anche la romagnola Wasp ha sospeso i progetti della R&S per favorire la messa in cantiere di dispositivi necessari nell’attuale situazione di emergenza sanitaria, rilasciando sul proprio sito web il progetto in open source. L’Associazione Startup Turismo ha promosso, ideato e lanciato in meno di quattro giorni, con la collaborazione di diverse startup, la piattaforma gratuita Consegnaacasa.org. Siare, unica realtà italiana attiva nella produzione di ventilatori polmonari, è passata a produrre da 5 a 20 ventilatori giornalieri, riducendo del 50% il prezzo dei macchinari e collaborando con Ferrari, FCA Torino e Magneti Marelli. Q8 ha lanciato un servizio di trasferimento taxi gratuito per gli operatori sanitari su Milano e Roma.
Molti sono i contest per trovare soluzioni alle sfide economiche e sociali derivanti dalla crisi causata dall’epidemia del Coronavirus sia per l’emergenza sia per la ripartenza, come quello di Novartis “Un’Italia a prova di futuro” e “Hack for Italy”, un evento pubblico virtuale tenutosi dal 27 al 29 marzo. A Milano è stato costruito in 10 giorni, con turni continuativi sulle 24 ore, l’ospedale speciale negli spazi Fiera Milano City che avrà 200 posti dedicati alla terapia intensiva, grazie a 21 milioni di euro raccolti con una gara di solidarietà alla quale hanno contribuito 1.200 donatori. Questo sta succedendo in molte altre città.
La lista non finisce certo qui! L’Open Innovation non è quindi solo teoria, ma si sta dimostrando un comportamento pratico che può aiutarci grandemente nei momenti non solo di crisi, come in questo caso. L’Open Innovation appare anche un approccio molto affine allo spirito creativo e collaborativo che il nostro Paese sa mettere in campo.
Chiudiamo con lo sprone delle parole del recente articolo di Chesbrough “Good ideas can come from anywhere, making openness is an imperative in these times of crisis. And it is a damn good idea in other times as well. This is one of the many lessons we are learning as we struggle to meet the challenge of our times.”