La pandemia ha reso necessari numerosi periodi di chiusura e questi hanno impattato fortemente anche sugli introiti commerciali e sulle entrate da biglietteria di musei, monumenti e aree archeologiche italiani, che hanno avuto in media una contrazione dei ricavi del 56% . In questo contesto, molte istituzioni culturali si sono cimentate nel produrre e proporre online contenuti che potessero da un lato mantenere il contatto con il proprio pubblico e dall’altro anche ampliare la scala dei fruitori e permettere di sperimentare modelli di ricavo alternativi.
2020, la spinta digitale dei musei
Come raccontato dall’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali nell’ambito del Convegno Extended Experience: la sfida per l’ecosistema culturale ben l’80% dei musei, monumenti e aree archeologiche italiane ha offerto almeno un contenuto digitale per permettere di estendere l’esperienza nel tempo e nello spazio. Il 48% delle istituzioni ha proposto laboratori e attività didattiche online, mentre il 45% tour e visite guidate online e il 13% si è cimentato anche nell’offerta di podcast, un format che si sta recentemente diffondendo soprattutto tra gli internet user più giovani. Vengono offerti anche workshop divulgativi online, corsi di alta formazione e videogiochi. Questi contenuti utilizzano molto spesso opere digitalizzate ed è stato infatti rilevato un aumento dal 40% al 70% di musei che hanno pubblicato la collezione digitalizzata sul proprio sito web tra il 2020 e il 2021.
Musei e digitale, i modelli di business
I cambiamenti avvenuti nell’ultimo periodo, sia con riferimento al comportamento del consumatore che alla risposta del mondo culturale, hanno aperto anche a nuovi ragionamenti sui modelli di business da adottare per far sì che il processo di innovazione sia sostenibile (grazie anche alla valorizzazione economica dei nuovi prodotti e servizi digitali offerti) e assuma una connotazione strutturale e non solo estemporanea.
Secondo le rilevazioni dell’Osservatorio, il 22% dei musei ha sperimentato modelli a pagamento come:
* la vendita o noleggio del singolo contenuto digitale (utilizzato dal 13% di musei, monumenti e aree archeologiche soprattutto nel caso di attività didattiche e tour virtuali);
* vendita di un pacchetto di servizi (9%) in particolare per l’offerta di corsi e podcast;
* pubblicità o sponsorizzazioni (4%) per finanziare attività come laboratori didattici svolti utilizzando materiale fornito dallo sponsor in cambio di visibilità;
* abbonamento o membership (3%) in cui l’utente paga una quota periodica per usufruire di contenuti plus come eventi online riservati, ma anche per sentirsi parte di una comunità esclusiva;
* donazione (2%), in cui il fruitore è libero di decidere la quota da lasciare
* il modello freemium (1%), in cui una versione base dei contenuti è offerta gratuitamente, mentre contenuti aggiuntivi sono disponibili a pagamento.
Due case study: i Musei Reali di Torino e la Pinacoteca di Brera
Come esempi dei modelli più innovativi è possibile citare i Musei Reali di Torino, che permettono di scaricare le audioguide sotto forma di podcast utilizzando la modalità freemium, e la Pinacoteca di Brera, che offre un abbonamento a Brera Plus+, una piattaforma che si configura come un’estensione dello spazio museale e permette di arricchire l’esperienza fisica mettendo a disposizione del pubblico contenuti aggiuntivi e di approfondimento (contenuti multimediali, programmi speciali, concerti, eventi in diretta streaming ecc.).
I risultati del primo anno di sperimentazioni sono stati positivi, considerando che le istituzioni culturali, interrogate sulla risposta del pubblico alle iniziative proposte online a pagamento, hanno espresso soddisfazione nel 62% dei casi (in particolare per via dei feedback ricevuti dal pubblico, degli elevati tassi di adesione, della possibilità di superare i confini territoriali e di fidelizzare il pubblico e per l’interesse riscontrato per le attività). Esistono tuttavia ancora ampi spazi di miglioramento via via che i prodotti verranno realizzati in modo sempre più accurato ed inserito in una vera e propria strategia digitale.
Le sfide: competenze digitali e big data
Oltre che ripensare la propria offerta, le Istituzioni culturali hanno dovuto riformulare i propri modelli di gestione e adeguare le proprie competenze. Il digitale richiede infatti delle professionalità specifiche sia per la realizzazione vera e propria dei prodotti che per l’ingaggio dei pubblici. Da ultimo è importante sottolineare come una attenta raccolta e gestione dei dati sarà un fattore determinante per il successo delle proposte di esperienza estesa abilitata dal digitale.