L’export italiano avrà una crescita moderata nei prossimi quattro anni, a un tasso medio annuo del 3,7%, fino al raggiungimento nel 2019 del valore di 480 miliardi di euro: è quanto emerge dall’ultimo Rapporto Export di SACE (Gruppo Cdp) che stimola le imprese esportatrici a reagire e competere sui mercati internazionali, seppure in un’era ad alta complessità.
Secondo le previsioni di SACE, nonostante la performance debole dei primi mesi dell’anno, le esportazioni italiane di beni potranno mettere a segno una crescita del 3,2% nel 2016, un tasso lievemente inferiore rispetto a quello dell’anno precedente (3,8%), a patto di concentrare gli sforzi sulle geografie a maggior potenziale. Il ritmo di crescita potrà aumentare ulteriormente nel triennio successivo, fino ad attestarsi al 4,1% nel 2019.
Un ritmo positivo, ma molto distante da quello pre-crisi, tenuto conto che nel 2004-2007 l’export italiano viaggiava a un tasso medio annuo del 9,2%. Una simile “frattura”, da un lato, testimonia l’impatto permanente della crisi finanziaria sull’interscambio globale e, dall’altro lato, rende imperativo per le imprese esportatrici rafforzare le proprie strategie di sviluppo internazionale con tutti gli strumenti informativi, assicurativi e finanziari disponibili.
(Leggi qui il report in versione integrale )
Nel report Sace dedica un approfondimento alla meccanica strumentale, il settore di punta e traino del Made in Italy nel mondo per capacità innovativa ed esportativa (pari a circa il 21% dell’export italiano complessivo), che potrà raggiungere entro il 2019 il valore di 100 miliardi di euro (dagli 80 attuali). Un obiettivo perseguibile solo se gli sforzi delle imprese saranno indirizzati verso tre direzioni: la crescita (la piccola dimensione delle aziende italiane è, da una parte, un importante fattore di flessibilità, dall’altra, un limite fondamentale allo sviluppo dell’intera economia del Paese), l’internazionalizzazione (per le imprese della meccanica strumentale, è naturale guardare oltreconfine) e l’innovazione, che passa dal concetto di industria 4.0.
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“In Italia si parla da tempo di industria 4.0: dopo la rivoluzione della meccanica, dell’elettricità e dell’informatica, la nuova rivoluzione industriale riguarda la “fabbrica intelligente”, i “sistemi cyber-fisici” o l’“Internet delle cose”, ossia lo sviluppo di sistemi tecnologici in grado di scambiarsi informazioni e interagire con l’ambiente esterno. Nella nuova Industria 4.0 si passerà dalla produzione centralizzata e quella decentralizzata, i macchinari comunicheranno tra loro per ottimizzare i processi e migliorare i prodotti, le tecnologie informatiche semplificheranno i flussi tra reparti e funzioni e agevoleranno il lavoro del management, anche nei rapporti con fornitori e distributori” si legge nel report.
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“Gli imprenditori – il 70% secondo l’indagine Staufen33 – sanno che il passaggio a Industria 4.0 è essenziale per crescere e per competere a livello internazionale, eppure molti ancora esitano nell’apportare cambiamenti concreti all’interno della propria azienda. Le aree più interessate a questa nuova ondata di innovazione saranno la produzione, la logistica, la gestione del magazzino, le vendite e l’assistenza post-vendita, con miglioramenti attesi sul piano dell’efficienza”.
Dall’indagine Sace emerge l’importanza che le imprese italiane imparino a muoversi con più decisione verso una maggior valorizzazione del marchio italiano, investendo non solo in automazione, innovazione ed efficienza produttiva, ma anche in iniziative di marketing, di comunicazione e distributive adeguate e pervasive.
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L’impresa italiana, insomma, in particolare quella della meccanica strumentale, deve diventare smarter: “una strada che va intrapresa e percorsa con convinzione e passa attraverso l’offerta di prodotti innovativi e di altissima qualità, il rafforzamento delle collaborazioni lungo la filiera e la preparazione delle proprie persone al nuovo paradigma – si legge ancora nel report -. Certo, rispetto alla Germania, che ha avviato il programma “Industrie 4.0” già nel 2013, coinvolgendo governo, aziende e istituti di ricerca, siamo in ritardo. Occorre un Sistema Paese forte, che metta in atto una politica industriale mirata, promuova incentivi alla formazione delle figure professionali, sostenga la ricerca e aggiusti il sistema finanziario alle esigenze delle nuove smart factory”. (Leggi il report in versione completa)