Descritto dai media internazionali come un coraggioso italiano che vuol sfidare uno dei giganti della tecnologia, Daniele Di Salvo in realtà è soltanto un imprenditore lungimirante che ha ascoltato i consigli di un suo vecchio manager e ha registrato il marchio iWatch in Europa, sei anni prima di Apple. Così la compagnia di Cupertino ha dovuto abbandonare il prefisso “i” per il suo smartwatch, interrompendo 16 anni di tradizione, da iMac a iPad, chiamandolo semplicemente “Apple Watch”.
La perdita di un marchio molto più efficace, oltre che coerente con gli altri prodotti contraddistinti dalla mela, non deve essere stata digerita bene da Tim Cook e dai suoi, i quali hanno deciso di registrare ugualmente iWatch in altri Paesi, come Giappone, Messico, Turchia e Russia. Ed è già tanto che l’azienda californiana non abbia intentato una causa legale, come in passato è accaduto con Amazon per il marchio “App Store”.
“Apple conosce bene la legge – dice Daniele Di Salvo, co-fondatore e director di Probendi – e sa che sarebbe una causa persa in partenza perché esiste una registrazione in Europa, la numero EU007125347, nella categoria nove (hardware e software), corrispondente a un prodotto preciso che è il nostro iWatch. Si è parlato di cybersquatting, ma innanzitutto un marchio è ben differente da un dominio perché corrisponde a un articolo già esistente e poi quando abbiamo registrato iWatch, il 3 agosto del 2008, non sospettavamo assolutamente la comparsa degli smartwatch”.
Stando al racconto di Di Salvo, dunque, la Apple avrebbe perso il primato sul prefisso “i” per una semplice coincidenza e per un gioco di parole. “Per noi iWatch nasce da I (io in inglese) e watch (verbo guardare) – spiega Di Salvo – ed è un’applicazione compatibile con BlackBerry, Android e iOs della piattaforma più estesa di Critical Governance, che permette di effettuare il gps tracking, inviare tempestivamente dati di posizione, fotografie, video e persino messaggi di sos, consentendo la gestione delle emergenze da dispositivi mobili. Niente a che fare con gli orologi intelligenti”. Molti dipartimenti di sicurezza, come la polizia di Vercelli, utilizzano l’app per inviare foto e informazioni alla sede centrale tramite smartphone.
È uno dei fiori all’occhiello della società Probendi, nata nel 2006 negli Stati Uniti come spin out di We-Cube spa (della quale facevano parte Italgas, Fininvest, Fiat), con sede ad Athlone in Irlanda, dopo una breve parentesi a Bogotá in Colombia. La società di Di Salvo si occupa anche di consulenza nelle telecomunicazioni e sviluppo di app, ma la storia di iWatch potrebbe portarla verso nuove frontiere. Come si può avere nelle mani un marchio così forte dal punto di vista della comunicazione e del marketing e non sfruttarne le potenzialità? Così anche la Probendi ha deciso di avventurarsi nel settore dei device wearable.
Ma se di un’offerta da parte della Apple o di un possibile accordo Di Salvo preferisce non parlare, i competitor cinesi non hanno perso tempo. “Dopo l’annuncio di Apple Watch – racconta il director di Probendi – siamo stati contattati da alcuni produttori cinesi che volevano comprare il marchio, ma abbiamo rifiutato. Altri ci hanno proposto di commercializzare i loro prodotti con il nostro nome ma non ci convincevano.
Allora, con gli altri soci abbiamo deciso di esplorare noi stessi il settore, anche se l’hardware non fa parte del nostro business, e realizzare uno smartwatch di prima qualità. Le condizioni devono essere: qualità elevata e design made in Italy, oltre a implementare alcune caratteristiche di Critical Governance. Stiamo dando uno sguardo al mercato cinese per realizzarlo perché ci sono delle eccellenze nell’elettronica di consumo”. La battaglia con la Apple si giocherà anche sul prezzo, perché l’iWatch dal design italiano si manterrà sui 200-250 euro.